Ne “La grande Gilly Hopkins”, romanzo del 1978 ancora attualissimo, Katherine Paterson non rincorre il lieto fine: con delicatezza porta i ragazzi a confrontarsi con temi importanti

Galadriel “Gilly” Hopkins, 11 anni, brillante e intelligente. Segni particolari: assolutamente pestifera.

Poco più che bambina, Gilly passa da una famiglia affidataria all’altra, evitando di instaurare qualsiasi tipo di legame, con un solo scopo: tornare dalla madre, la splendida Courtney, della quale conserva una gelosamente una foto sotto al cuscino e che le ha regalato un nome importante, quasi principesco, come uno dei personaggi dei romanzi di J. R. R. Tolkien.

Al suo arrivo nell’ennesima nuova casa, Gilly si trova di fronte a un quadro pittoresco: l’imponente e devotissima Maime Trotter, il piccolo e “speciale” William Ernest, e il signor Randolph, vicino di casa non vedente, amante della lettura e della cucina della signora Trotter.

La grande Gilly Hopkins Katherine Paterson

Per Gilly tutto è surreale: questa bizzarra famiglia impara ad amare le spigolature del suo carattere e lei, seppur controvoglia, sperimenta qualcosa di nuovo, il calore di un affetto sincero.

Si dice che bisogna fare attenzione a quello che si desidera perché si rischia di ottenerlo; è proprio così che Gilly, finalmente a suo agio in un clima di serenità, deve tornare all’improvviso dalla sua vera famiglia, ma niente è come si immaginava.

La madre non è quella bellissima attrice della fotografia e nemmeno sogna di ricucire i rapporti con la figlia, e il suo futuro è con la nonna, una signora ricchissima che non conosce affatto, sola in una casa troppo grande.

Katherine Paterson, in questo romanzo per ragazzi del 1978, ma ancora attualissimo, asseconda una filosofia già resa evidente nel romanzo Un ponte per Terabithia. Le sue storie non rincorrono il lieto fine: con delicatezza, porta i ragazzi a confrontarsi con temi importanti – relazioni familiari, amicizia, abbandono, morte, delusione -, esce dalle metafore per portare dalle pagine alla vita reale.

Ecco una citazione dal romanzo che esprime al meglio l’intento dell’autrice:

“Tutte quelle storie del lieto fine sono balle.”

“Se la vita è tanto brutta, perché sei così felice?”

“Ho detto brutta? No ho detto dura. Niente rende più felici come riuscire in un compito difficile, non è vero?”

Da questo romanzo è stato tratto il film omonimo del 2015, diretto da Stephen Herek con Kathy Bates, Glenn Close e Julia Stiles, andato in onda in Italia solo in TV.

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