Un romanzo a fumetti che intreccia riferimenti culturali (a Guy Debord, Jean Genet, Albert Camus…), toni da commedia e rigore storico nella ricostruzione del periodo che ospita la vicenda, la Parigi dei primi anni ’50…

Abituati dagli studi scolastici a trattare con freddo distacco la storia delle correnti artistiche al pari di guerre e innovazioni tecnologiche, dimentichiamo spesso un dato ampiamente sottovalutato che accomuna molti dei movimenti d’avanguardia dell’epoca moderna: l’età media dei loro protagonisti. Dal surrealismo al dadaismo, gli artisti coinvolti inizialmente erano tutti sui venti, venticinque anni. Ragazzi che, come spesso accade a tutti i ragazzi di tutte le epoche, volevano innanzitutto divertirsi, godere del presente e contestare le regole del mondo degli adulti. Potremmo dire che uno dei meriti de Il ladro di libri (Coconino Press) è certamente quello di saper raccontare questo fatto senza moralismi né snobismi, ma con onestà e consapevolezza.

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La scena si svolge a Parigi nei primi anni ’50, in un contesto estremamente fertile dal punto di vista delle nuove ricerche espressive, erede dell’influenza epocale del gruppo di Breton e premessa per la contestazione politica degli anni ’60. Daniel Brodin, il protagonista della storia scritta da Alessandro Tota, è una matricola in Legge, da poco giunto in città dalla campagna in cui é cresciuto. L’incontro con un gruppo di coetanei ribelli e anticonformisti, appartenenti al movimento “lettrista”, gli cambierà la vita per sempre.

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“Un’avventura picaresca in ambiente letterario, un libro di avventure ma di ambientazione metropolitana”, lo definisce lo stesso Tota in questa bella intervista rilasciata a Fumettologica. Un romanzo a fumetti che intreccia riferimenti culturali (numerosi i riferimenti ad autori come Guy Debord, Jean Genet, Albert Camus), toni da commedia e rigore storico nella ricostruzione del periodo che ospita la vicenda.

Il disegno di Pierre Von Hove rimanda esplicitamente alla tradizione di Robert Crumb e dell’underground statunitense (dal gusto per il bianco e nero, alla fisicità cartoonesca dei personaggi, alla suddivisione della tavola in 9 vignette) sebbene con meno esasperazione, così com’è debitore dell’esempio di Daniel Clowes nella ricerca espressiva dei personaggi e dei loro volti.

La vicenda segue il giovane Daniel nel tentativo di trovare gloria e successo grazie a un escamotage, lasciandogli scoprire di colpo che il mondo al quale aspira è tutto un’illusione, una proiezione mentale. La caduta lo salverà così da una vita di finzione, e toccando il fondo troverà finalmente il vero se stesso. Il finale si trasforma allora in un inizio, nel primo atto della sua nuova vita. Daniel comprende qual è il libro che deve (e può) scrivere: il bugiardo accetta la realtà, l’ingenuo ragazzino diventa un uomo consapevole, il ladro di libri si trasforma in scrittore. Una storia che scava nella psicologia di un certo tipo di romanziere contemporaneo, perennemente in bilico tra autoanalisi autobiografica e sperimentalismo d’avanguardia, mostrandone le origini e celebrandone l’eredità.

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