È nata in questi giorni una nuova collana di saggistica, chiamata “Le Fenici Rosse”. Luigi Brioschi, Presidente della casa editrice che la presenta, la titolatissima Guanda, ce ne ha cortesemente parlato in esclusiva per gli amici di InfiniteStorie.it

D. Saggistica da un editore così tipicamente e storicamente “letterario”? Come e perché nasce il progetto di questa nuova collana?

R. Nasce semplicemente, direi, dalla constatazione che i tempi chiedono anche a un editore letterario libri di testimonianza diretta, saggi capaci di toccare e interpretare i temi del presente, anche i più roventi. Subito dopo, naturalmente, si è avvertito il bisogno di rendere il progetto armonico a una casa editrice come Guanda. Un’armonia cercata evidentemente non solo nel nome – le classiche Fenici ora diventate Rosse – ma anche nei contenuti, nelle scelte.

D. Vuol chiarire il punto?

R. Si è pensato fin dall’inizio a libri, diciamo, con una forte impronta d’autore, con qualità di testimonianza personale, di approfondimento, e di scrittura. Testi sull’attualità, appunto, ma non per questo di breve respiro. D’altronde oggi succede sempre più spesso, e non sorprende, che scrittori italiani e stranieri passino dal romanzo alla testimonianza diretta, civile e politica (caso emblematico quello di Arundhati Roy) o al memoir non di tipo intimistico ma teso a rimettere in discussione il passato recente (penso a Roddy Doyle e al suo Rory & Ita). E non è casuale che dei primi 4 titoli ben 3 siano libri di narratori provvisoriamente passati al saggio.

D. Vuole parlarci dei primi titoli?

R. Il primo è di una giovane islamica (Irshad Manji), in parte pamphlet in parte memoir, ed è una critica, sostanziata di molte esperienze personali, alle posizioni più intransigenti e conservatrici dell’Islam. Il titolo è Quando abbiamo smesso di pensare. Il secondo è di Paola Mastrocola, recentissimo Premio Campiello, ed è un libro sulla scuola, tema a cui la scrittrice ha già dedicato due dei suoi tre romanzi. La sua è una riflessione amara sui mali antichi e recenti della scuola italiana ed è insieme una testimonianza personale in cui si riflettono molti anni di appassionato e frustrato insegnamento. Il titolo è La scuola raccontata al mio cane: un saggio che riflette l’amarezza di tante speranze deluse ma non privo di quello humour e di quell’ironia di cui la scrittrice torinese ha già dato prova. Quanto al libro di Arundhati Roy (L’impero e il vuoto) è una conversazione con David Barsamian, in cui la scrittrice indiana tocca i temi che l’hanno vista appassionata testimone in questi anni: i problemi aperti dalle globalizzazioni, i guasti della politica americana, l’opposizione alla guerra in Iraq, l’impegno in cruciali battaglie civili in India. Ma non mancano i ricordi personali, le vicende famigliari e quelle letterarie legate al successo internazionale del Dio delle piccole cose.

D. Che cosa caratterizza in particolare la collana?

R. Sarà una collana di volumi per lo più snelli, di formato piccolo. Il vestito editoriale, diciamo così, è stato confezionato da Guido Scarabottolo, che firma la grafica e le illustrazioni di copertina. Il nome, come ho già detto, allude ai temi roventi che spesso accosta.

D. Il target di riferimento?

R. Penso a un pubblico anche giovanile, impegnato, interessato alle questioni cruciali, ai problemi nuovi che si affacciano. Penso però che questi libri possano trovare anche un pubblico più ampio: cito l’argomento scuola, talmente vasto che può coinvolgere letteralmente tutti, studenti, genitori, insegnanti. E immagino anche che il lettore voglia seguire il narratore cui si è affezionato anche in una diversa dimensione di scrittura.

D. Prevalenza agli italiani o agli stranieri? Soltanto scrittrici?

R. È indifferente. Certo, guardando i primi quattro titoli (compresa Lucia Etxebarria, che uscirà più avanti), mi accorgo che per ora sono tutte scrittrici. Ma anche questo è un puro caso.

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