Incontro con Ismail Kadaré autore di La figlia di Agamennone ISBN:9788830425255

In La figlia di Agamennone Ismail Kadaré ha raccontato una storia avvincente e indimenticabile sulla crudeltà del potere e il prezzo che l’individuo è costretto a pagare. Alla sfilata del 1° maggio a Tirana, ospite della tribuna delle autorità, un invitato, l’anonimo io narrante, all’improvviso ha l’impressione di scorgere il volto dell’antico comandante greco Agamennone. Un’allucinazione? O è piuttosto l’effetto del dolore di un uomo appena abbandonato dalla donna amata, Suzanna, figlia di un alto dirigente di partito destinato a succedere al capo assoluto? La figura mitologica del comandante disposto a sacrificare gli affetti familiari per la ragione di stato è la chiave di lettura di una sconvolgente storia d’amore distrutta dalla crudele macchina del potere. Mentre il sacrificio bianco di Suzanna diventa la giustificazione del progressivo inaridimento cui andrà incontro l’Albania, uno dei tanti sacrifici che la popolazione dovrà sopportare. In occasione dei Premi Internazionali Flaiano verrà messo in scena l’adattamento teatrale di La figlia di Agamennone. Ne abbiamo parlato con lo stesso Ismail Kadaré.

D. Che cosa pensa della contaminazione fra le arti e, in questo caso particolare, tra teatro e letteratura?

R. Si tratta della cosa più naturale del mondo. C’è un momento in cui tutte le arti si incontrano. In questo caso particolare se l’opera letteraria diventa una base per altri generi, se si accetta questo compromesso, non si ha più il diritto di intervenire. L’autore deve mettersi da parte a guardare la propria opera prendere una nuova vita, un nuovo significato. L’autore è obbligato a rispettarla.

D. La sua opera spesso si è confrontata con l’epica e con il mito. Perché ha spesso preferito queste due forme di narrazione?

R. Le radici di tutta la letteratura mondiale affondano nel mito e nell’epica. Non c’è nulla di stupefacente in questo.

D. Alcuni elementi nelle sue opere ricordano il romanzo gotico: ad esempio la porta segreta nella cantina della casa de Il Successore, la leggenda dell’aquila che ritorna in diversi suoi libri, l’atmosfera misteriosa di Il Ponte a tre archi. Che cosa pensa di questo genere letterario e di autori come E.A. Poe, H.P. Lovecraft, M.G. Lewis? Quali sono in generale i suoi autori di riferimento?

R. Tutti gli autori cui fa riferimento nella domanda fanno uso dei meccanismi tipici di questa forma di letteratura. Si potrebbero aggiungere anche altri nomi. Tutti i grandi della letteratura hanno attinto in misura più o meno maggiore a questa fonte.

D. In La figlia di Agammenone (ma anche in Freddi fiori d’Aprile) le protagoniste femminili devono accettare un duro compromesso in seguito a una richiesta paterna. In un certo senso obbediscono a un dittatore: sono donne forti eppure sacrificate. Perché questa scelta?

R. Nel mondo si potrebbe dire che c’è una collezione molto varia di dittature. Ce ne sono talmente tante e diverse che è inutile fare delle distinzioni, perché il senso è sempre lo stesso. I dittatori sono di diversi tipi, come i batteri. E proprio come i batteri portano allo stesso risultato, cioè a un’umanità malata. Pur nella loro diversità hanno qualità differenti, sia che si tratti di dittature politiche, sociali, di costume o psicologiche. Si tratta però sempre di dittature.

D. I protagonisti maschili invece, e non soltanto ne Il generale dell’armata morta, sembrano averne viste troppe: sono ironici e disincantati. Rispecchiano il suo sguardo personale sulla storia e sulla vita?

R. Ho creato talmente tanti personaggi che non si può dire se questi riflettono sempre il mio sguardo personale. L’autore è ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo.

D. Come accade ai veri narratori, lei ha già dimostrato in passato di avere uno sguardo precursore dei tempi. Che cosa pensa dell’Albania di oggi e di quella che sarà? C’è ancora posto per la forte identità dell’Albania basata su un passato millenario e su fiere regole sociali?

R. L’Albania non è una cosa a sé nel panorama balcanico, anzi è un paese tipicamente balcanico. E i Balcani stessi non sono una cosa a se stante in Europa perché ne fanno parte tanto che sarebbe impossibile immaginare l’Europa senza i Balcani. Esistono con tutti i loro vizi e i loro lati positivi che rispecchiano, in un certo modo, gli stessi vizi e virtù dell’Europa. È necessario per gli europei comprendere i Balcani e in realtà sarebbe molto facile riuscirci: sono stati tagliati fuori dall’Europa per cinque secoli e questa è stata una frattura molto dolorosa. Ora si stanno lentamente riavvicinando all’Europa, ma riaggregarsi saldamente è più difficile che attaccare un braccio tagliato di netto da un corpo. Tutta la verità dei Balcani si sviluppa intorno a questa azione di distacco e ricongiungimento. Spero che l’Europa capisca questo concetto. E forse, in realtà, lo sta già comprendendo.

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