Che impatto ha avuto l’arrivo di Trump sui librai americani? È possibile resistere all’ascesa di Amazon e dell’ecommerce? L’editoria Usa ha un problema con la diversità? ilLibraio.it ha parlato di queste e altre questioni con i booksellers ospiti dell’ultimo Salone del libro di Torino, che ci hanno descritto le loro battaglie in questi tempi politici difficili, che mettono a dura prova l’iniziativa culturale

Non solo scrittori: il 30esimo Salone del libro di Torino ha reso anche i librai protagonisti della scena, allo stand American Indie bookstore. Lo spazio, allestito come se fosse circondato da pareti di “red bricks”, è stato organizzato dalla casa editrice americana Europa Editions, con la collaborazione della sorella italiana E/o, e nei concitati giorni della fiera ha ospitato tre librai americani. E non tre librai qualsiasi.

Sono tre professionisti delle librerie indipendenti più famose e più rinomate del paese, arrivati a Torino grazie a una borsa di studio offerta dalla casa editrice e da Other Press, nell’ambito del programma International Book fair Scholarship: David Sandberg, fondatore di Porter Square Books a Cambridge e membro del direttivo dell’American Association of Bookseller, insieme a Camilla Orr della Changing Hands di Phoenix e Jennifer Witt, rappresentante della Skylight Books di Los Angeles.

Tre approcci profondamente indipendenti e con identità fortissime e molto ben definite, che ben rappresentano le voci fuori dal coro che servono all’America contemporanea per rispondere alle minacce alla cultura che arrivano dalla politica interna.

“Cosa diavolo sta succedendo in America?”, sembra essere la domanda più frequente che i librai si sono sentiti porre, durante i giorni torinesi, come riporta Michael Reynolds di Europa Editions: “Trump si oppone a tutto ciò che è cultura, incluse le traduzioni. Scoraggia la lettura di libri diversi, ma ci sono altre persone che si oppongono e i librai sono tra questi”. La casa editrice ha come motto “Reach out and read the world” (Guardati intorno e leggi il mondo) e traduce i libri di Elena Ferrante negli Stati Uniti: “Ferrante ha trovato un pubblico enorme, aperto a voci differenti. Anche dieci anni fa l’America non leggeva opere in traduzione, ma l’esperienza ci dice che le legge se gliene vengono date, quindi il problema è nell’industria editoriale. Ferrante potrebbe essere la nuova avanguardia? Lo spero. Negli ultimi sei anni, si è passati dal 3% al 7% di traduzioni, in parte proprio grazie ai suoi libri. Ciò ha aperto la strada ad altri scrittori italiani come Carlotto, Piperno, Lagioia, Camilleri e Starnone”. E non è vero che, come dicono alcuni, il merito del successo internazionale, di pubblico ma soprattutto di critica, dei libri di Ferrante derivi dalla buona traduzione: “Sono bestseller in 12 paesi, non è un caso e il successo in America non è un’eccezione. La traduzione mantiene un forte sentore dell’originale, è molto più vicino all’italiano del normale”.

A proposito dei temi, Ferrante viene considerata una femminista, per la visceralità e la forte presenza della corporeità: “Spesso in America si pensa alla letteratura femminista come saggistica e non narrativa, ed è molto raro che i clienti pensino ai suoi libri come femministi, ma lo sono!”, è il pensiero di David Sandberg. Per Jennifer Witt è lo stesso: “Ho fatto molta fatica per trovare un modo di vendere i suoi libri senza sminuirli. Li ho descritti come una perfetta esperienza femminile della vita, ma avrei voluto dire molto più di questo. Per me Elena Ferrante è un’icona femminista”.

Jenn Witt è anche l’ideatrice della “Feminist Library on Wheels”, una biblioteca di libri e di fanzine a tema femminista su due ruote, un’iniziativa che si propone di portare direttamente alle persone, in contesti diversi, e rendere disponibili a tutti libri sull’argomento.

“Le librerie sono dei santuari”: il discorso della scrittrice Roxane Gay all’ultimo Winter Institute organizzato dall’American Booksellers Association non usa mezzi termini. Gli Stati Uniti, allo stato attuale delle cose, hanno un problema di inclusione e il ruolo delle librerie è creare degli spazi sicuri e quasi sacri, in cui i lettori e i cittadini possano rifugiarsi e coltivare la propria disobbedienza civile e il proprio senso critico. La scrittrice, famosa per il saggio Bad Feminist e in libreria con il libro Difficult Women, una raccolta di racconti, che fa della diversità la sua bandiera, in quanto afroamericana con origini haitiane, bisessuale e femminista, ha affermato: “Non avete idea di quante donne nere mi hanno scritto per dirmi che la loro raccolta di saggi è stata rifiutata perché ‘L’editoria ha già una Roxane Gay’”.

E’ vero dunque che “l’editoria ha un problema con la diversità”? Jenn Witt è la prima a rispondere: “Quando Roxane ha detto così ci siamo tutti alzati ad applaudire. Dice la verità. I libri disponibili sono ancora per la maggior parte scritti da uomini bianchi, perciò il nostro lavoro come librerie è di trovare una diversità di voci e metterle in una rosa di preferenze e alla Skylight Books ci sforziamo affinché sia così. La lettura è un atto di empatia e in America c’è una tale diversità culturale che statisticamente non è rappresentata nell’editoria, ma si sta facendo molto in questa direzione. Vedo anche sempre più lettori consapevoli verso i libri tradotti”.  Camilla Orr prende la parola in merito ai metodi della sua libreria: “Noi abbiamo un settore apposito per la letteratura tradotta, e, dato che ai nostri lettori piace viaggiare, insieme alle guide consigliamo sempre dei libri relativi al Paese in cui viaggiano”.

E qual è il rapporto con il digitale? Costituisce ancora una minaccia? Secondo David Sandberg, “la minaccia non sono gli ebook, ma Amazon che vende titoli cartacei. Infatti, numeri alla mano, gli ebook non stanno crescendo, anzi, vengono comunque preferiti dai lettori più anziani. La minaccia è il comportamento di Amazon a livello commerciale”. Come fanno le librerie indipendenti a difendersi? “I libri di carta sono di nuovo cool, e noi ci soffermiamo sull’offerta, su ciò che le librerie possono dare, che Amazon non ha” è la risposta di Orr. Eventi, sessioni di autografi e incontri con gli autori, ad esempio: “La nostra prima preoccupazione è di fornire un’esperienza e lo spazio per parlare con gli altri. Questa è la nostra risposta”.

E comunque, la politica di Trump sembra aver avuto un esito positivo per le librerie: “Sin dall’elezione di novembre, abbiamo visto una crescita notevole di vendite, le librerie sono molto impegnate perché le persone arrivano mosse da ragioni politiche, inclusa la consapevolezza di investire nella comunità locale, per supportare attività che offrono non solo libri, ma una conversazione. Abbiamo molta speranza”, sono le parole di Witt.

David Sandberg è consapevole del ruolo delle librerie nel panorama culturale: “Non ho interesse a cambiare le idee politiche delle persone, ma il nostro ruolo è di renderle consapevoli di ciò che c’è là fuori, suggerendo cosa leggere, e come primo risultato iniziare ad avere orizzonti più ampi. Dopo le elezioni, si sono resi conto di quanto le loro fonti di informazioni siano ristrette. Per questo organizziamo workshop sull’impegno civico, sul volontariato, senza sostenere un partito politico particolare. Aiutiamo le persone ad avere una formazione su tematiche importanti, fornendogli gli strumenti e insegnandogli come reagire”.

I libri sono delle armi allora? Risponde Witt: “I libri hanno intenzioni buone, i libri possono aprire porte e sostenere dissenso”.

 

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