Margaret Atwood è una delle personalità centrali del nostro tempo. Ma com’è, vista da vicino, l’autrice del romanzo cult “Il racconto dell’Ancella” e ora del sequel, “I testamenti”? A raccontare su ilLibraio.it le sue giornate al fianco dell’autoironica scrittrice canadese è Matteo Columbo, l’addetto stampa italiano. Nel suo giocoso reportage trovano spazio Tarocchi, travestimenti, giochi di magia e… banane

Qualche banana e una carota. Poco sale. Un limone, tagliato a metà. Ricordo bene questa prescrizione, un elenco preciso, un po’ strano e misterioso: quello che gli agenti letterari di Margaret Atwood ci avevano raccomandato di far trovare in stanza d’albergo per l’autrice canadese al suo arrivo, la prima volta che fu nostra ospite, qualche anno fa a Roma. 

Spesso chi cura gli spostamenti e le carriere delle rockstar e dei divi del cinema, per sondare la qualità e la prontezza dell’accoglienza, pare inserisca richieste minuziose e bizzarre, in relazione ai supposti bisogni dei propri clienti, ma soprattutto in ossequio al principio: se possono soddisfare ogni possibile richiesta, anche la più stramba, allora saranno in grado di affrontare il più complesso degli imprevisti. Un test, probabilmente. O, più banalmente, gli ingredienti di una pozione per reintegrare i sali minerali dopo un volo intercontinentale.

Certo, al di là della ricetta, a leggere le pagine di particolareggiati requirements trasmessaci dall’entourage della scrittrice, ci si poteva aspettare una signora (Atwood compie 80 anni questo novembre, un amatissimo marito, Graeme Gibson, anche lui scrittore, sempre in viaggio con lei) “ad alto mantenimento“, come diceva del personaggio di Meg Ryan il protagonista di Harry, ti presento Sally.

Poi però è arrivata lei. Ti presento Margaret. Scesa dall’aereo da Toronto, in una Roma estiva in stato di grazia – invitata da Festival Letterature di Massenzio a incontrare i lettori al Teatro Argentina – è stata come un’apparizione. E, al di là e al di sopra di ogni aspettativa, una continua sorpresa. 

Innanzitutto, la persona più piacevole e alla mano del mondo: una streghetta longilinea e spedita, minuta e attivissima, con un luccichio nello sguardo inquadrato da ricci argentei. Penetrante. 

Ah, i veri grandi… altro che capricci da diva, la scrittrice icona, onorata dalla critica, amata dai lettori e da anni fra le candidate favorite al Nobel, si rivela una persona cordiale, fin dai primi passi sui sampietrini. Nessuna richiesta surreale, una grande, naturale cortesia, e una completa disponibilità. Nessun cenno alla qualità della frutta in camera.

A piedi per la Città Eterna, curiosa di ogni cosa, dalle rovine dei Fori ai gatti di Largo di Torre Argentina, si ferma a guardare la statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori, forse in onore di quello spirito di libertà, fra anticonformismo ed eresia, che anima la scrittrice stessa, i cui libri sono diventati vessillo di resistenza, femminile e non solo. All’inizio dei Testamenti, seguito di Il racconto dell’Ancella, forse non a caso troneggia la statua (in vita) di zia Lydia (icona malvagia del primo capitolo, qui raccontata nella sua imprevista umana sfaccettatura e complessità), ai cui piedi sono deposti diversi oggetti votivi: uova, arance, croissant…

Di nuovo un elenco di cibi, in misurato equilibrio fra lo scherzoso e il simbolico. Ma – tornando a Roma – ecco la scrittrice accennare passi di danza, per strada, interagendo spontaneamente con un musicista mendicante che si esibisce poco più in là. La levità e l’apertura al mondo di una ragazzina: una presenza trascinante, che si lascia trascinare dal ballo della vita. A cena parla poi di un suo recente viaggio in auto verso il Comic-Con di San Diego. In macchina, stretta tra due fumettari (lei disegna anche fumetti, scoprirò più tardi), e poi a fare selfie alla fiera dei comics più famosa dell’universo, in mezzo a schiere scatenate di cosplayer. Spirito giovane dentro, il travestimento è una dimensione che le è congeniale, pare. 

atwood matteo columbo
L’autore dell’articolo con la scrittrice canadese

Recentemente, sfogliando il suo profilo Instagram, scopro che ha recitato, come guest star, in abiti di bambola, a una rappresentazione dello Schiaccianoci. La copertina fresca di stampa del magazine del Sunday Times, firmata dal fotografo Tim Walker, conferma la donna spiritosa, e le sue maschere. Mi sovviene del cameo autoironico nella serie TV che ha dato nuova linfa e lettori al suo Racconto dell’Ancella, in cui, severa e impietosa, in veste di zia istitutrice, molla uno schiaffo alla giovane protagonista interpretata da Elisabeth Moss. 

Atwood conosce i siti internet più strani e reconditi, te li racconta e te li raccomanda. A dire il vero, sembra sapere ogni cosa degli ambiti più disparati, dai risvolti nascosti dei classici (dividendo, ad esempio, i libri in cui i personaggi mangiano da quelli in cui pare non abbiano bisogno di nutrimento) ai meandri della rete (dove la scrittrice è presente e molto attiva). Ti parla di quello che non avevo neppure idea che esistesse. Passa con eleganza dall’alto all’apparentemente marginale, dalla citazione colta all’aneddoto weird, dai paesaggi immacolati dell’Artico solcati in nave all’importanza decisiva degli avvoltoi per l’ambiente, dalle Amazzoni, fra storia e mito, agli amici studiosi di magia o esperti della cerimonia giapponese del tè. 

A un certo punto le chiedo – ingenuo – come mai sa tutto di fumetti, e lei mi guarda negli occhi e mi stende con tre parole: “Io so tutto”. 

In qualità di ufficio stampa, suo fedele “ancello” per qualche giorno quando è in Italia, vengo conquistato in pochi minuti da quella donna piena di presenza, conoscenza e wit, e mi premuro di comunicare il sollievo e l’entusiasmo all’editore via SMS: “È straordinaria! Se non fosse felicemente sposata e avesse qualche anno di meno, le farei la corte!”. Risposta: “Anche a me, quando la conobbi alla Fiera del Libro di Londra, fece il medesimo effetto”. Margaret è una signora che ti conquista. Immediatamente.

Ecco, dietro le cupe fantasie distopiche specchio dei pericoli del presente, celarsi (e spesso rivelarsi) uno sguardo giocoso, ironico, generoso, la voce inesausta di una storyteller sopraffina, che anche dietro le quinte continua a guardarsi intorno con immaginazione e a dispensare senza posa il suo talento affabulatorio. E al privilegio di leggerla, si aggiunge così quel particolare vantaggio, determinato dal mestiere di accompagnare lo scrittore nel momento della promozione del suo libro, di saggiare la persona dietro l’artista, con tutte le sorprese e le incognite del caso. 

La Margaret “segreta”, pur preservando la dimensione di stupore che ci dona la sua narrativa, è una signora prodiga e gentile, scherzosa, dispensatrice di aneddoti unici, di vere e proprie magie. Non delude alcuna attesa, anzi. E poi, come dice lei, sa davvero tutto. 

Coerentemente con la sua fama di strega, vissuta con compiaciuto divertimento e un pizzico di fierezza, la Atwood non solo dimostra un incredibile potere veggente attraverso i suoi scritti, ma, fra le altre cose, è una vera esperta di Tarocchi, come ha mostrato qualche tempo più tardi, in una lectio magistralis tenuta a Firenze per il Premio von Rezzori, incentrata sui temi suggeriti da alcuni Arcani. 

A Milano qualche tempo fa per il premio Chandler, assegnatole dal NoirInFestival, appresa la sua passione per la cartomanzia, le facemmo avere un mazzo di Tarocchi Viscontei. E lei, a margine di una cena, facendo uso inequivocabile dei suoi poteri, mi fece dono di leggermele, le carte. Del resto qualche anno prima, al tavolino di un bar di Roma, mi analizzò la mano per quasi mezz’ora, come una maga competente e raffinata. Ancorché la precisione della visione, ricordo l’emozione di quel momento: la competenza d’interpretazione (simbolica e psicologica) era sovrastata interamente dall’empatia del gesto. A suggello del delicato e giocoso scrutinio: “A te si attagliano le parole che disse in punto di morte Oscar Wilde, in una stanza d’albergo: o se ne va questa carta da parati, o me ne vado io!”. Criptica e spiritosa nel responso, mi porse parole definitive, eppure piene di vita. 

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I Testamenti contiene questa stessa sapiente sovrapposizione di profezia, in cui l’alone di morte (e di oppressione operata da un regime liberticida) è giocato, e messo sotto scacco, dall’intelligenza, dall’ironia e dall’immaginazione, come possibilità di sfida alchemica contro le asperità del reale e i limiti dell’uomo. La scrittura di Atwood ha qualcosa di profetico, la sua forza d’intuizione e il suo potere trasformativo scatenano decisamente quella che lei stessa chiama nell’ultimo libro, con felice e freudiano calembour, “l’invidia della penna”.

Nel seguito del Racconto dell’Ancella c’è una casa di bambole che riproduce i ruoli (Ancelle, Zie, Marte, Mogli, Comandanti, Occhi…) di quell’universo, e addirittura in una pagina la scrittrice evoca un mazzo di carte con protagonisti come le figure di quel mondo (“Pare che lo vogliano produrre per davvero”, mi rivela con gusto), a testimonianza che l’autrice ama giocare, come in scatole cinesi, col suo mondo osservato/inventato. Così ha apprezzato di cuore l’accoglienza in cuffia da Ancelle che le ha amorevolmente riservato il Festivaletteratura di Mantova quest’anno, durante un incontro magico ed elettrizzante in piazza Castello, che ha stregato più di mille lettori, ad applaudirla con in testa l’iconico copricapo bianco.

Un’ultima nota, sulle banane. Per ingannare i tempi morti, che pur ci sono, anche in un serrato tour di promozione con una brillantissima autrice, ho optato un giorno per sfoderare le mie (limitate) competenze magiche (derivate dalla frequentazione di un club di prestigiatori da ragazzino). Una volta entrati in confidenza, ho deciso infatti di mostrare a Margaret il gioco delle banane. Si tratta, per intenderci, di una moltiplicazione di banane, tra l’altro utilizzata storicamente da un venerato maestro della prestigiazione, l’illusionista (canadese pure lui) Dai Vernon: una banana, che mi diverto a produrre incredibilmente dal naso, si scopre contenere per magia un’altra banana, che contiene un’altra banana, e così via… in una mise en abyme, illusiva e allusiva, ripetuta potenzialmente all’infinito. Molto colpita dal giochino, che è al contempo qualcosa di imprevisto, un piccolo miracolo, e uno scherzo magico, con divertimento complice, l’autrice mi ha chiesto in seguito di ripetere il numero di fronte ai pubblici più disparati, gustandosi lo stupore, fra l’incredulo e il leggermente imbarazzato, degli astanti. Beh, è stato un grande onore – solo per Margaret mi sono prestato – eseguire la moltiplicazione di frutta al pranzo serio e azzimato con l’Ambasciatore Canadese, alla cena ufficiale con le autorità politiche e letterarie di Firenze, in mensa, pochi giorni fa, al Festivaletteratura di Mantova di fronte allo sguardo incredulo di Ian McEwan… Insomma ogni volta che l’autrice, a caccia di sorpresa, mi ha introdotto in raffinati banchetti letterari, con pacato aplomb e connivente piacere, annunciando d’un tratto: “E ora Matteo vi farà… il gioco delle banane!

Siamo alla frutta, verrebbe da dire. Esattamente da dove abbiamo cominciato. Ma la lezione che ho imparato a tavola con Margaret Atwood, leggendo i suoi libri e incrociando il suo sguardo sorprendente sul mondo, è che non sai mai quello che ti aspetta. Soprattutto da una grande scrittrice. 

P.S. – Questo pezzo è stato scritto qualche giorno dopo il passaggio di Margaret Atwood al Festivaletteratura di Mantova, mentre l’autrice, il 10 settembre, lanciava il suo nuovo libro in tutto il mondo da Londra. Purtroppo, il 18 settembre, il compagno di Margaret, Graeme Gibson, è morto improvvisamente in Inghilterra. Pur segnato dagli anni, ancora a Mantova, lo scrittore e naturalista ottantacinquenne è stato sempre accanto alla compagna, ammirando le bellezze della città e godendo del momento felice e di successo della scrittrice, con amorevole e sollecita vicinanza.
Certo che le meravigliose risorse umane e creative della scrittrice, che qui ho appena accennato, l’aiuteranno in un frangente così doloroso.

(nota: le immagini sono tratte dalla pagina Instagram dell’autrice, ndr)

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