Non aderisce a nulla, se non, precisamente al non aderire a nulla. Massimo Pericolo, rapper classe 1992, ha ottenuto un successo inaspettato in pochissimo tempo. Prima con “Sette Miliardi”, e poi con il disco “Scialla Semper”, ha saputo mettere d’accordo un pubblico estremamente eterogeneo, grazie a un immaginario radicale, complesso e stratificato – L’approfondimento

Massimo Pericolo, cioè Alessandro Vanetti, classe ’92, da Brebbia (Varese), “nuova rivelazione del rap italiano”, probabile “next big thing”, esploso con Sette Miliardi e con il suo primo disco, Scialla Semper (che anche è il nome dell’operazione che lo ha portato in carcere) piace a tutti. Con punte di esaltazione, da pre-culto, di sincero affetto.

Tutti: alla cosiddetta vecchia scuola, un mondo di purezza, disciplina, della realness, di una forma precisa di autenticità (“vita vera, sì davvero, no per finta”: il realismo nel rap è funzione della marginalità vissuta da chi canta; è “il vero” che “riconosce il vero”). Alla nuova, i trap boy coi soldi in testa, i brand come aggettivi, l’artificialità dell’autotune. Al senso comune di destra, alla Sinistra-Riparta-Da (ritornano appartenenza, rivendicazioni e odio di classe).

Piace in città e in provincia. Agli operai, ai redattori, ai depressi, ai tossici, ai bomber, ai nichilisti saturi della weirdness digitale. Piace alle sacche di esclusione vera; la vita risolta in boschi, buste e bilancini e ai post-hipster passati dalle chitarrine alla trap, dalle camicie di flanella alle giacche hi-tech inacidite senza avvertire la contraddizione, salvo l’incoerenza cromatica in feed di instagram di uno sgranato grigiazzurro.

Nelle scorse settimane, al Mi Ami Festival, Massimo Pericolo si è preso il centro della mappa, lo zenith dell’hype, con tanto di pubblico emozionato e pogante (online: “le avete ritrovate le mie costole perse al primo drop? – emoji cuore”).

Quando segmenti distinti del mondo sociale si intersecano, target differenti comprano lo stesso prodotto, si parla di Essenze: c’è un nucleo che tocca qualcosa di veramente comune? Sì e no, magari è il contrario.

Se si prova a capire come funziona (i testi, l’estetica, gli stili) la sensazione è quella di un casino precisamente organizzato: ci sono dei pezzi di cultura che appartengono a stili differenti e incongrui (del rap, del mainstream, etc.) che Massimo Pericolo mette in fila, senza conciliare nulla. Più che mediare, oscilla; alla fine una coerenza c’è, ma è fuori dal quadro, in un punto fuori dall’albero delle argomentazioni.

Emodrill (“trapano emo”) sì, ma puoi fare il gangsta-rapper e l’emo? Volere soltanto una “vita decente”, (“tipo dormire col cane”) e soldi e puttane (“la spesa da Gucci”, “fotte solo di fare i miliardi”)? Esprimere il massimo della violenza (il nichilismo, la fotta di Sette Miliardi) e quello dell’introspezione (Sabbie d’oro, con il video dove giocano, ma coi passamontagna e i fucili)?

Cantare della Cara Vecchia Ineffabilità dell’Amore (non ho le parole per dirti quello che provo…) usando il linguaggio forse meno adatto a parlare d’amore: la lingua da spacciatore di provincia, L’amore fa più male del cocco, (la cocaina, ndr), le squillo come al pusher, cuori chiusi nelle buste, etc. (altrove usa registri un paio di tacche più in alto: è una scelta). Dove quadrano la rabbia nichilista, l’emotività più tenera e disperata e la vena un po’ becera di rime da subito circolate come meme (“figa che bella la figa che balla”, etc.)?

Puoi essere il futuro, ma senza un futuro?

Sì, funziona. Ovvio, una quota va ricondotta all’esordio (“sta ancora cercando la sua voce”) e a tendenze generali: il rap come controcultura dominante in grado di fagocitare tutti gli altri stili (è l’anno del country rap di Lil Nas X, quasi uno scherzo), la gen Z che ha ucciso il concetto di genere musicale, ma la capacità di scrittura di Massimo Pericolo, la sua identità artistica è fatta di un’oscillazione tra codici in qualche modo correlati, ma mutualmente intraducibili: l’autenticità del realismo street-cred, la teatralità istrionica della trap, la depressione, l’emotività, la rabbia di classe, l’ascesa col botto e la vita decente, l’autodistruzione nichilista, il maschile e il femminile.

massimo pericolo

Sette Miliardi funziona così nella sua logica interna: ha un’estetica iperrealistica, da “ritorno al rap” e un tono di nichilismo rabbioso. Il video si apre con la sua tessera elettorale bruciata. Ci sono l’eroina e le stagnole, il set è un prato, la base dei Crookers è “grezza”. Il testo è un accumulo di sfoghi che di botto implode o esplode in un “voglio solo una vita decente” che cambia l’atmosfera della canzone: vira verso lo sgomento. È il monologo interiore di uno che sta lottando coi suoi mostri. Non c’è una negazione, ma un accostamento: è una storia di fantasmi.

Sabbie d’oro in termini estetici è il contrario: dove c’era l’iperrealismo c’è un’astrattezza psicologica, un “onirismo alla Twin Peaks“: dove c’era la base hardcore c’è un suono nostalgico, vagamente ambient, alle urla si sostituisce il parlato, c’è il ritornello distorto di Generic Animal, artista d’avanguardia prestato al mainstream, alla Calcutta. Dalla rabbia si passa a un pezzo che scolora nella tranquillità del lago.

Scacciacani, con Ketama, è ancora una cosa diversa: traduce nei termini di Massimo Pericolo la cuteness della Lovengang, con il suo membro più vicino all’estetica dei sadboi del dopo Lil Peep. È un lamento d’amore, ma qui si perde tutto il realismo per una specie di retrofuturismo al neon e onirico (Ketama con le capre al guinzaglio). C’è il cantato, c’è l’autotune nei punti più emotivamente densi, come i Migos (“fanculo l’amore” sembra pronunciato da un robot molto sensibile).

massimo pericolo

Che Massimo Pericolo sia in grado di gestire stili diversi mentre crea un immaginario stratificato di lui dice cose che si avvertono subito: che è più consapevole di quanto sembri, che ha talento e una sensibilità culturale vera; che non aderisce a nulla, se non precisamente al non aderire a nulla. Che il suo valore attuale è la funzione del suo valore futuro possibile. Cosa dica sugli altri è più difficile argomentarlo; cioè, cosa dica il suo pubblico così eterogeneo.

Può dire che se è vero che la cultura digitale ha reso il passato un archivio di stili sempre disponibili all’uso, forse stiamo traslando lo stesso atteggiamento su quelli del presente. Ma anche che questo passato è il cimitero di progetti esistenziali falliti: rifiutiamo le illusioni delle generazioni che volevano rivoluzionare la vita e, attraverso la vita, anche il mondo. E pure il nichilismo passivo dei punk, e quello attivo, da yuppie – sono andati sia gli anni di piombo, sia gli anni della merda (icastico, Balestrini). E pure i ritorni folk a una vita semplice (“alla terra”, “bere vino in un casolare in Toscana”, etc.).

Nessuno aderisce davvero in toto a quelle posture, c’è una quota intrinseca di disincanto, e se ci si mette un ascensore sociale bloccato (qui sta il ritorno delle classi, il sintomo vero, più che le tute del rap, è Teen Vogue che ritrae Marx, Prada con la collezione future-prolet), si fa il giro e torna papabile anche il sogno di una realizzazione minima (“borghese” si sarebbe detto prima). Ma anche se ci sono fenomeni residuali di religiosità laica, tipo il self-help, resta un enorme conflitto interno sul perché (“l’esercizio della ginnastica, il problema del significato”, scriveva Santoni). Perdere il mondo, il futuro, sogni marciti: ansia e depressione sono un panorama cognitivo così pervasivo da finire nella strategia di marketing dei brand, sulle magliette, nei testi dei cantanti alla moda. Massimo Pericolo sulla copertina di Scialla Semper punta una pistola alla testa; alla sua.

Non è solo una cosa generazionale (“Io sono contento, però non ho speranze”, come il settantenne Walter Siti): è che cattivi infiniti producono disperazioni serene. Il rapper è sempre sineddoche della sua comunità (“L’MC rappresenta”) e quella di Massimo Pericolo è fatta di gente per cui le categorie fluide sono una scelta, sì, ma obbligata. Per cui è impossibile vivere dentro progetti già esauriti, al massimo si possono frequentare oscillando senza definirsi; che si vuole liberare, ma non sa da cosa; che ha chiari i no, ma non le alternative (è una logica che si proietta su tutto: gli amori di Sally Rooney: lo sforzo di ridefinire la loro forma e struttura contra le forme storiche d’amore, già fallite a priori).

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Gente frammentata perché va in diverse direzioni, ma contemporaneamente; che vive su più livelli. Che risponde a un mondo che si manifesta per strappi e discontinuità, senza una sintassi – la metafora è il feed: gattino, cento morti, meme, scambi di modi di dire; la teoria volendo è che i computer rappresentano l’avvenuta riduzione di tutte le dimensioni a zero (per Friedrich Kittler). Forse è quello, forse è quell’altro; Massimo Pericolo piace a tutti: hanno tutti ragione.

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