Nel suo nuovo libro “La metà del bosco”, la scrittrice Laura Pugno, autrice di “La ragazza selvaggia”, affronta il tema della perdita e del lutto… – Su ilLibraio.it un estratto del romanzo

S’intitola La metà del bosco (Marsilio) il nuovo romanzo della scrittrice Laura Pugno, vincitrice del Premio Selezione Campiello 2017 con La ragazza selvaggia e direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid.

La metà del bosco Laura Pugno Marsilio Copertina

Protagonista del libro è Salvo, medico dell’Unità del Sonno che… soffre d’insonnia; per questo motivo si rifugia in una piccola e paradisiaca isola del Mar Egeo, in cerca di pace e tranquillità sotto la luce del sole estivo. Ad Halki Salvo cerca di lasciarsi alle spalle il dolore causato dalla perdita di Adele, sua moglie, e Lili, sua figlia, una nostalgia che la natura dell’isola sembra poter quietare, ma non guarire del tutto; almeno finché non scopre il mistero della non lontana Isola di Krev, uno scoglio boscoso dove la morte viene sospesa per il tempo necessario a dire addio, un’ultima possibilità di dire, fare, spiegare e rivelare ciò che sembrava aver precluso per sempre.

Se il pretesto di un corpo ritrovato sulla spiaggia può far pensare a un giallo, il romanzo smentisce la categorizzazione di genere: l’autrice accompagna il lettore in un viaggio alla scoperta del lutto e della sua comprensione, della sua importanza, del suo ruolo nel procedere della vita. Come spesso accade nella sua opera, Laura Pugno sceglie un’ambientazione dominata dalla natura e indaga il rapporto tra essa e l’uomo, da un nuovo punto di vista: l’ultima tappa che la natura impone all’esistenza umana.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto dal romanzo:

Trovare una lancia era stato più difficile del previsto. A Rodi gli abitanti sembravano essere diventati come a Halki, diffidenti, chiusi. L’isola non era più come Salvo la ricordava, e improvvisamente provò una sensazione di allerta che conosceva bene da altri viaggi, molto più lontano. L’Ufficio del turismo del porto era semichiuso, e dentro, dietro un vetro spesso ma percorso da una larga crepa obliqua, una ragazza di vent’anni con spessi capelli ricci, lunghi fino alle spalle, sfogliava vecchie riviste. In inglese, gli disse di chiamarsi Olga. Salvo chiese come poteva fare per raggiungere Halki, Olga gli fece un prezzo insostenibile e gli disse che avrebbe pensato a tutto suo fratello. Non aveva una lancia, ma lavorava sulla nave cisterna e gli avrebbe trovato un posto a bordo. A Salvo non restava che accettare. Olga gli chiese la metà dei soldi in contanti subito, e il resto all’imbarco. Questo era stato un altro dei buoni consigli di Kostas. «Portati tutto in contanti, non sperare di trovare una banca.»

Salvo pagò. Olga uscì da dietro il vetro, gli offrì una sorsata d’acqua mezza calda da una borraccia e gli disse di aspettare. Aveva i capelli color pece e la pelle bruciata dal sole incalzante dell’isola, portava un vestito minuscolo, di cotone grezzo, e infradito di cuoio. Salvo si rese improvvisamente conto che la ragazza non aveva addosso niente – un tesserino, un badge – che la identificasse come una dipendente dell’Ufficio del turismo. Olga notò il suo sguardo. «Qui ci lavorava mio padre» disse, «poi l’ufficio ha chiuso e l’hanno mandato via. Adesso sta a casa ma ha ancora le chiavi, nessuno è venuto a prendersele. Così ci vengo io. È il posto migliore per fare affari con quelli che ancora arrivano qui, come te. Mio fratello l’ha capito subito.» Così dicendo sparì oltre la porta, abbassando per metà la saracinesca che chiudeva l’ufficio.

Salvo si ritrovò dentro, da solo, in un’improvvisa penombra, dato che l’ufficio prendeva luce soprattutto dalla strada. Non era prigioniero, avrebbe potuto strisciare fuori da sotto la saracinesca, al solo prezzo di rendersi ridicolo. Si lasciò cadere su una sedia contro la parete e aspettò. Doveva fidarsi di qualcuno lì fuori, e allora tanto valeva fidarsi di Olga. Chiuse gli occhi e restò a cercare il sonno dietro le palpebre chiuse cinque minuti, o forse quindici. Si era tolto l’orologio, e cinque minuti o quindici era comunque già più di quanto osasse sperare.

Dopo un’ora, Olga tornò. Sopra il vestito aveva una giacca militare troppo grande ed era in compagnia di un uomo tarchiato, molto più vecchio di lei, che presentò a Salvo come suo fratello Petros. Non avrebbe potuto difendersi, ne era certo, se quei due si fossero messi in testa qualcosa. Doveva fidarsi, si ripeté. Si caricò in spalla lo zaino e seguì Olga e l’uomo. Petros aveva sulla fronte una vecchia cicatrice biancastra che gli tagliava di netto le rughe, la pelle segnata e braccia grosse e dure. Portava una sacca di tela militare come la giacca di Olga.

I tre s’incamminarono verso quella che era stata la zona commerciale del porto, Petros un passo avanti e Salvo e Olga dietro, finché, senza un cenno, la ragazza sparì infilando una strada stretta e tortuosa, verso una fila di case imbiancate a calce. Salvo sperò stupidamente che si voltasse, ma erano già arrivati davanti alla nave cisterna. Petros gli fece segno di aspettare. Salì agilmente a bordo per una scaletta incustodita. Salvo cercò di darsi un contegno e attese, come aveva fatto dall’inizio del viaggio, che succedesse qualcosa. Tutto, la nave, il porto commerciale in disuso, l’acqua fonda e salmastra di cui respirava l’odore, gli sembrava pervaso dallo stesso senso di abbandono.

(Continua in libreria…)

Nota l’immagine in alto è © Elio Mazzacane. 

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