Toni Morrison aveva 88 anni. Nel 1993 ha vinto il premio Nobel per la Letteratura, e nel 2012 Barack Obama le ha consegnato la Medal of Freedom

Il mondo della cultura è in lutto per la morte della scrittrice Toni Morrison (pseudonimo di Chloe Anthony Wofford – nella foto tratta da Brainpickings.org). Era nata a Lorain il 18 febbraio 1931, in Ohio, da una famiglia nera della classe operaia originaria dell’Alabama, ed era la seconda di quattro fratelli, e nel 1993 aveva il premio Nobel per la Letteratura.

Toni Morrison si era laureata in Letteratura inglese alla Howard University nel 1953, e aveva intrapreso la carriera accademica. Come ricorda Wikipedia, nel 1965 ha iniziato a lavorare per la Random House come editor, curando le opere di diversi autori afroamericani, tra cui Gayl Jones, Toni Cade Bambara, Angela Davis e Muhammad Alì. Allo stesso tempo ha collaborato con riviste letterarie e si è occupata di critica letteraria.

Autrice di romanzi che sono ormai pietre miliari della letteratura americana, nel 1970 pubblica L’occhio più azzurro (The Bluest Eye), il suo primo romanzo, e nel 1973 il secondo, Sula.

Amatissima (Beloved), il libro che valse il Nobel all’autrice afroamericana, è stato pubblicato nel 1987 e l’anno dopo vinse il Pulitzer. Il romanzo racconta la storia di Sethe, indomabile donna di colore che, negli anni precedenti alla Guerra Civile americana, si ribella al proprio destino e fugge al Nord, verso la libertà. Un percorso drammatico attraverso l’orrore della schiavitù, la forza dell’amore materno e il peso di un indicibile segreto. Nel libro, edito in Italia da Frassinelli, la scrittrice intreccia mito e storia, leggenda e realtà.

Nel 2012 il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama le ha consegnato la Medal of Freedom.

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In un’intervista rilanciata alla rivista Ácoma, pubblicata da Shake e tradotta da minimaetmoralia.it, ha risposto così alla domanda “come mai continua a insegnare? Sente che fa parte del debito, dell’impegno preso? Che significato attribuisce al suo lavoro di insegnante?”: “È un lavoro che so fare. Non mi sono mai fidata di uno scrittore la cui vita non comprende il lavoro. Delle volte sogno di poter solo scrivere, senza lavorare; ma non credo che sarei adatta. Insegnare mi piace; mi porta via da certi pensieri, mi mette in condizione di dover essere attenta a tutti i nuovi sviluppi, alle nuove idee. Gli studenti ti tengono in forma – anche se sono faticosi, ed esigenti. Mi piace essere messa in discussione; altrimenti ho paura che diventerei troppo isolata, troppo introversa, troppo viziata, in un certo senso. Credo sia più questione di carattere che del mestiere di scrivere, perché ci sono sia persone che fanno tutte e due le cose benissimo, sia altre che non ci riescono. Però io non riesco a scrivere e insegnare nello stesso tempo, perché il ragionamento analitico che devi usare quando scomponi la letteratura per insegnarla interferisce col modo di ragionare e di creare di cui ho bisogno quando scrivo un romanzo. Perciò c’è un conflitto in termini operativi, fra modi di pensare e di scrivere; ma insegnare mi piace, mi piace essere coinvolta”.

 

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