Ancora una volta, i personaggi epici di Paul Lynch sono mossi da una perturbazione e dopo la tempesta che li ha raggiunti sono costretti a fare i conti con ciò che li circonda, per andare avanti – Un approfondimento dedicato all’autore del romanzo “Neve Nera”

Neve nera è il romanzo di Paul Lynch uscito per 66thand2nd (traduzione di Riccardo Michelucci). È il racconto di Barnabas Kane e della sua famiglia alle prese con una disgrazia economica, miccia per una serie di catastrofici eventi che li porterà a scoprire il potere profondo dell’indifferenza umana.

Dopo l’incendio che distrugge la stalla, uccide il bestiame e dunque azzera la loro principale fonte di sostentamento, la famiglia Kane è in crisi e ognuno – Barnabas, sua moglie Eskra e suo figlio Billy – cercano di comprendere quello che sta loro accadendo, come se la disgrazia fosse un sintomo di un malanno più profondo.

Ancora una volta, i personaggi epici di Paul Lynch sono mossi da una perturbazione e dopo la tempesta che li ha raggiunti sono costretti a fare i conti con ciò che li circonda, per andare avanti. In Cielo rosso al mattino (66thand2nd, 2017), Coyle ha la necessità di scappare per sopravvivere, in Grace (Little, Brown and Company, 2017; mai tradotto in italiano), la protagonista è una ragazzina che fugge per avere la possibilità di crescere, in Neve nera, Barnabas rincorre la ricostruzione, come padre di famiglia e come uomo. Ognuna di queste corse, però, ha una finalità differente: il Nuovo Mondo, una nuova spiritualità, l’accettazione definitiva.

DOVE ERAVAMO RIMASTI

In Cielo rosso al mattino Paul Lynch raccontava la tragedia di Duffy Cut, realmente avvenuta: nel 1932, a poche miglia da Philadelphia, un gruppo di emigrati irlandesi lavorava alla costruzione di un tratto di linea ferroviaria in Pennsylvania. Nel libro di Lynch il protagonista è Coyle, uno di quegli operai, che scappa in America dal Donegal, in Irlanda. In Neve nera Barnabas è un figlio dell’Irlanda del Nord che torna proprio a Donegal da New York City dove ha trovato fortuna e conosciuto Eskra. A Donegal si reinventa fattore e contadino e tenta di ricongiungersi al suo territorio, ma il tentativo risulta inadeguato. Come ogni figlio che parte, fa una piccola fortuna e si volta indietro per tornare, Barnabas acquisisce una potenzialità: individuare i problemi, scorgere le incongruenze del posto, del suo tessuto sociale; e con una consapevolezza che nessun altro ha cerca di adeguarsi, senza rinunciare a ritagliarsi la sua strada e in qualche modo levigare gli spigoli di una contea tanto avviluppata su sé stessa da diventare asfittica.

Paul Lynch Neve Nera

IL LUOGO È LA MAPPA DELL’ANIMO UMANO

Il Donegal, palcoscenico della storia, la zona dove l’autore stesso è cresciuto, si tinge di colori foschi e grigi. Se in Cielo rosso al mattino se ne avvertiva la pericolosità e tra le pagine si aveva la sensazione di dover fuggire e stare all’erta, perché da un momento all’altro poteva accadere qualcosa di terrificante, questa volta è una terra piatta, finita, che nelle prime pagine si esprime al suo massimo e già muore.

Neve nera, infatti, si apre con il magistrale incendio che divampa nelle stalle della fattoria di Barnabas: a rimetterci sono il bestiame e Mattews, l’aiutante di Barnabas, il figlio prediletto della comunità. Ecco che Barnabas viene giudicato e accusato senza remore e quando chiede aiuto per ricostruire la sua stalla deve confrontarsi con le conseguenze dell’accaduto e pagare più e più volte l’indifferenza: un tributo doloroso ed eccessivo.

Il Donegal non è più una terra febbrile, nel bene e nel male, non è più rivestito di ardore, come in Cielo rosso al mattino, ma diventa lo specchio degli uomini, delle loro incapacità: la comunità non riesce ad accettare la disgrazia, Barnabas dimostra di non essere stato sempre responsabile, Eskra inizia a soffrire dell’inadeguatezza a reagire ed agire del marito, Billy paga un voto primordiale di silenzio. Nessuno è mai completamente a suo agio.

Da un lato Barnabas e la sua famiglia sono ingrigiti dalla perdita e dai numerosi ostacoli da affrontare per far fronte all’accaduto; dall’altro quasi tutti gli altri abitanti della contea, impoveriti e precari, fanno fatica ad aiutarsi vicendevolmente, si guardano con sospetto ma soprattutto coltivano un pregiudizio pervasivo: la crisi, tanto economica quanto umana, è la causa principale di mancanza di empatia; i personaggi sono  quasi completamente chiusi un autismo sociale, la comunità dichiara Barnabas capro espiatorio – un irresponsabile, un elemento indegno – e per i Kane essa stessa diventa il pretesto per la rassegnazione.

La contea di Donegal è un artificio riuscitissimo che sostiene l’animo dei personaggi: «Le montagne sono creature arcaiche dal sonno agitato», «la primavera è feroce», «il paesaggio del Carnarvan con le sue case sparpagliate e, più a est, la città appollaiata sulla collina, cupo santuario consacrato ai vivi». Anche nei ricordi più quieti, la natura che circonda la storia interviene sempre per sottolineare un disagio profondo o un’irrequietezza imprevista, lasciando nel lettore il tocco palpabile della tristezza senza soluzione.

LA FAMIGLIA KANE

Barnabas e Eskra si conoscono a New York: lei è americana di origini irlandesi, lui è irlandese emigrato in America. Decidono di riportare la loro famiglia in Donegal, di crescere Billy in un posto a loro avviso più giusto.

Eskra è una donna di polso, prende le redini della famiglia appena dopo l’incendio e si arma di tutte le buone intenzioni per rendere di nuovo la loro vita dignitosa. Non sappiamo molto della loro vita precedente, ma quello che Lynch descrive basta per capire che hanno sofferto il problema di doversi integrare. L’accettazione sociale passa da un nodo che non si risolve mai: Barnabas se ne è andato una volta, potrebbe rifarlo in qualunque momento, quindi è inaffidabile, e questo diventa il suo peccato originale. Eskra  una straniera, lo sarà sempre, non merita fiducia totale.

C’è un’ incomprensione di fondo fra Barnabas e la terra da cui proviene, e questa ingigantisce dopo l’incendio, in una ascesa vertiginosa: l’incendio si porta via il prediletto Mattews, si pensa sia colpa di Barnabas, che per ricostruire le mura della stalla si appropria di pezzi di un territorio comune, quasi sacro, non chiede il permesso, è caparbio, accetta l’aiuto solo alle sue condizioni, è un individualista convinto e per questo è imperdonabile.

Dichiara guerra all’abnegazione al territorio e la battaglia è estenuante. Sconfitta e vittoria, in questo caso, hanno uguale sapore, perché tutti alla fine ne sono consumati.

L’AUTRICE – Elena Marinelli vive e lavora a Milano, ma è nata in Molise, vicino a un passaggio a livello. Ha scritto per Abbiamo le prove, l’Ultimo Uomo e Gli 88folli. Il terzo incomodo (Baldini & Castoldi, 2015) è il suo primo romanzo.

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