“Ci sono un messicano, un americano e un italiano. No, non è l’inizio di una barzelletta…”. Su ilLibraio.it il reportage d’autore nella New York dell’era Trump firmato dallo scrittore Francesco Marocco, che torna in libreria con “Cronache della discordia”, e che vive negli Usa da 3 anni

Ci sono un messicano, un americano e un italiano. No, non è l’inizio di una barzelletta: è quello che succede quasi sempre quando scegli tre persone a caso nel flusso di gente di New York. Tre persone, tre nazionalità. È la vera bellezza della città, più dell’Empire State Building, di Central park o del ponte di Brooklyn: la diversità di chi ti circonda, una mutevolezza viva che non si attesta mai su una nota prevalente.

Il messicano vive in un armadio con le ruote, che poi proprio un armadio non è, è un piccolo carretto di acciaio e vetro sistemato sul marciapiede di Madison Avenue dal quale serve caffè, muffin e bagel alle persone che ogni mattino si riversano per le vie di Midtown Manhattan.

L’americano è un colletto bianco. I suoi natali autoctoni sono rivelati dall’inspiegabile resistenza al freddo che lo porta a sfidare la giornata gelida con il solo ausilio di un completo gessato e al contempo dalla bizzarra convinzione che una camicia viola e una cravatta verde siano il miglior abbinamento possibile per quell’abito grigio.

new yorker
L’italiano sono io, che vivo a New York da tre anni e adoro ascoltare i discorsi della gente per strada, anche il giorno delle elezioni presidenziali.

“È l’uomo del popolo. È un imprenditore di successo. È ricco di suo e non ha bisogno di mettersi al governo per interessi personali, come hanno fatto quelli lì”. È il messicano che parla con fervore, mentre mesce il caffè bollente. L’uomo non è un gigante, ma il chiosco è talmente piccolo che il messicano pare indossarlo.
“Ridarà il potere alla gente” aggiunge, e nel farlo si sbraccia schiantandosi contro le antine di vetro. “Make America great again”, nella sua voce la concitazione si mescola alla speranza che la grandezza che il suo candidato promette riguardi anche un poco il suo chiosco.

“Ma scherzi? È un pericolo per la democrazia, non rispetta le donne ed è entrato in politica solo per evitare guai con il governo” gli risponde l’americano, che sfoggia al bavero della giacca una lucente spilletta della candidata rivale. Mentre si scalda, continua a versare zucchero dal contenitore in vetro nel suo bicchiere fumante.

Vanno avanti a battibeccare per qualche secondo ancora, finché con un colpo di tosse li interrompo: entrambi mi guardano, contendendosi il mio consenso. Io rispondo con un sorriso tirato e l’aria di uno che conosce una storia simile.

“Oh, this is so Italian” rispondo preoccupato per loro. Mi scrutano con perplessità. Io ordino il mio caffè, pago e corro al lavoro.

statua

Nel flusso di New York è davvero difficile ritrovare di nuovo le stesse persone, a meno che non ci sia di mezzo il rituale del caffè. Se hai incontrato una persona in un bar o in fila davanti a un carretto, è molto probabile che potrai ritrovarla ogni giorno in quel posto alla stessa ora: l’America è una democrazia fondata sulla caffeina. Così, un mese dopo, passando davanti al chioschetto del messicano, riconosco l’americano e decido di fermarmi per sentire di cosa stanno parlando. Un’idea credo di averla. Mentre mi avvicino, guardo il carretto. O è il messicano che è ingrassato o il chiosco gli si è persino ristretto. Adesso pare un’armatura pronta a soffocarlo. L’uomo ha perso la baldanza di un mese fa e si limita a incassare a testa bassa le lamentele del suo cliente. Forse ha capito che quella grandezza che gli era stata promessa non lo riguarda.

Dal canto suo, neanche oggi l’americano ha avuto fortuna nella scelta dei colori dell’abbigliamento e io mi domando come può un popolo arrivare sulla luna, tra qualche anno anche su Marte, e non avere ancora imparato ad abbinare una cravatta a una camicia. Stavolta sembra aver preso consapevolezza del freddo e, se non un cappotto, almeno indossa una sciarpa, mentre da sotto il braccio gli spunta una copia arrotolata del New Yorker, sulla cui copertina un filo di fumo si solleva dalla torcia della Statua della Libertà, adesso spenta.

Parla e si lamenta e in lui convive la contraddizione di chi vorrebbe rinnegare quella stessa libertà di voto su cui si fonda la democrazia di cui fino a un mese fa andava orgoglioso.

“E dà persino la colpa ai giudici, dicendo che tengono la nazione in ostaggio” conclude con un filo di voce e mi guarda.

Io vorrei dirgli che anche questo mi sembra di averlo già visto, “Oh, this is sooo Italian” dovrei dire stavolta, e poi dovrei dirgli che se la strada che hanno preso sta davvero seguendo la nostra, il peggio è appena iniziato, e dopo il peggio sarà ancora peggio e poi ancora e ancora. Ma non ce la faccio. Io sono quel tipo di persona che piuttosto che darti una brutta notizia, preferisce star zitto. Allora prendo la boccia di vetro e gliela scuoto davanti allo sguardo basso.

L’uomo mi guarda e sorride triste, prima di iniziare a versarne il contenuto nel suo bicchiere di caffè: Dio benedica lo zucchero.

Francesco Marocco

L’AUTORE E IL LIBRO –  Gli abitanti di Paludazzo e Montesole si odiano da sempre. Dimenticati dalla storia con la S maiuscola, abbandonati dalla geografia tra le grinze di un Meridione inaccessibile, avrebbero potuto continuare a covare il loro rancore all’infinito se nei palazzi del potere romano qualcuno non avesse deciso di dare uno scossone alle loro vite. Accorpati nel neonato municipio di Fiumesecco, i due paesi confinanti sono costretti a una forzata coabitazione amministrativa, e a eleggere il primo sindaco unificato. La vigilia del voto è agitata da un atavico terrore che serpeggia identico da entrambe le parti: finire sotto il giogo dell’odiato nemico, governati dal candidato dell’altro campanile. Le elezioni preoccupano anche l’ambizioso e opportunista presidente del consiglio, autore di un’epocale riforma elettorale che dovrà sancire inequivocabilmente vincitori e vinti, rendendo finalmente governabile il paese. Ma il granello di polvere capace di inceppare l’ingranaggio in apparenza infallibile uscirà proprio dalle urne di Fiumesecco, portando i riflettori della nazione intera ad accendersi sulle vite, i sogni e le disillusioni dei suoi abitanti. E se nessuno “osi unire ciò che Dio ha diviso”, come dice il parroco di Paludazzo, solo l’amore testardo e inarrestabile porterà un vento nuovo in quei luoghi.

cronache della discordia

Cronache della discordia (Mondadori) di Francesco Marocco (nato a Bari nel ’76, architetto paesaggista, dottore di ricerca in Fenomenologia urbana, ha insegnato Progettazione dei giardini e del paesaggio nelle università di Valencia, Bari e Matera) è una commedia in cui non mancano i toni sentimentali. Marocco, che vive a New York, ha esordioto nel 2012 con il romanzo Mai innamorarsi ad agosto (Fandango).

 

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