Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant’anni di giornalismo (La nave di Teseo), il primo libro di Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, e attuale presidente della Longanesi, nei prossimi giorni sarà inevitabilmente al centro del dibattito politico, per la rivelazione, contenuta a pagina 209, legata a Maria Elena Boschi e al caso-Banca Etruria, smentita dalla diretta interessata. Da un certo punto di vista è un peccato, perché si tratta di un testo che merita di non essere analizzato solo per gli inevitabili riferimenti alla stretta attualità.
De Bortoli propone una riflessione appassionata sul giornalismo e racconta, dal suo punto di vista, la storia italiana degli ultimi decenni. La forza del volume non sta solo nei retroscena svelati, o nei ritratti proposti, ma è soprattutto nello stile: sobrio, ritmato, mai ammiccante, classico e moderno allo stesso tempo. Poteri forti (o quasi) è prima di tutto un libro scritto bene, un particolare non da poco in questo tempo superficiale.
Per fare solo un esempio, prendiamo proprio il capitolo più atteso, quello dedicato a Matteo Renzi (“ovvero la bulimia del potere personale”), il primo che la gran parte dei lettori andrà a cercare: difficile trovare un passaggio di troppo, un aggettivo forzato, un calo d’intensità. Al di là di come la si pensi politicamente, che si condivida o meno l’analisi di de Bortoli, non si può negare che queste dodici pagine raccontino la parabola renziana e la sua concezione della politica e del potere con lucidità e capacità narrative notevoli.
“Mi rammarico per alcuni difetti della mia professione che ho forse assecondato troppo: un’insopportabile autoreferenzialità e un cinismo autocompiaciuto, romantico e seduttivo, nel quale le persone coinvolte nei fatti non di rado diventano oggetti inanimati, il cui destino, appena spenti i riflettori, è materiale di scarto…”, scrive l’autore nella prefazione, in cui si rivolge ai giornalisti, in particolare ai giovani, compresi quelli che “scrivono per passione, remunerati con cifre insultanti o anche senza essere pagati. Giovani che sono editori di se stessi, volenterosi donatori di notizie e inchieste animati da entusiasmo, idealità e spirito civico. Rischiano la vita là dove ci sono guerre. Non hanno alle spalle nessuno, tantomeno un’assicurazione. I grandi inviati della storia del giornalismo, al confronto, erano dei privilegiati. E il loro status si rifletteva, non di rado, nella larghezza creativa delle note spese e nella totale insindacabilità di quello che scrivevano…”.