“Forse i lettori avranno più voglia di fantastico, può darsi; ma credo che il riflesso di quel che abbiamo vissuto, e che ancora dobbiamo elaborare, riverbererà a lungo in quel che produrremo, anche noi scrittori di fantasy…”. Su ilLibraio.it la riflessione della scrittrice Licia Troisi

In verità, io l’epidemia l’avevo raccontata. L’avevo fatto nell’ultima trilogia ambientata nel Mondo Emerso, Le Leggende; in quel caso, si trattava di una specie di arma batteriologica sui generis, scientemente causata da un re per indebolire un popolo che voleva conquistare. E la paura dell’epidemia, da brava ansiosa, l’ho sempre avuta; già da ragazzina, alla comparsa dei primi casi di ebola, avevo iniziato a preoccuparmi.

L’epidemia è sempre stata presente nella narrativa; forse in quella fantastica, curiosamente, un po’ meno, visto che nel Medioevo, che rivisita in chiave immaginifica, l’argomento era all’ordine del giorno. Ma quasi sempre è stata raccontata in modo scaramantico: fino a ieri, ci piaceva immaginare scenari catastrofici in cui malattie mortali devastavano la civiltà.

In fin dei conti, percepivamo tutto come molto lontano dalla nostra evolutissima civiltà occidentale, e quindi immaginare l’epidemia non era altro che un divertissement, un giro sulle montagne russe, dove sì, hai paura, ma in sicurezza, perché sai che non potrà mai succederti nulla di male. Perché, nel nostro rapporto schizofrenico con la scienza, alternativamente celebrata come la panacea a tutti i mali, o invece disprezzata come l’espressione di oscuri poteri forti che “non ce lo dicono”, almeno una cosa ci sembrava di saperla: la scienza aveva sconfitto le malattie infettive. Il vaiolo debellato, la poliomielite ridotta ai minimi termini, i vaccini e la Spagnola che oggi non potrebbe mai accadere, perché abbiamo la medicina moderna.

E poi, un bel giorno, l’epidemia irrompe nella modernità nelle sue manifestazioni più manzoniane: le bare insufficienti, i feretri trasportati sui camion perché i cimiteri non ce la fanno più, le dieci pagine di necrologi sui giornali e le persone che muoiono a casa senza diagnosi e senza cure, perché la sanità è al collasso. E d’improvviso ci siamo scoperti non poi così moderni, non poi così sapienti: di fronte all’epidemia, non siamo diversi da Renzo e Lucia.

È stato un trauma per tutti, scrittori compresi. Tra quelli che ne hanno approfittato per lavorare come matti, perché la quarantena chiude dentro casa, e quello è l’habitat proprio dello scrittore, lo sappiamo, io sono finita nel novero degli altri, quelli bloccati dalla paura. Per un mese e più, l’idea stessa di scrivere, e per di più scrivere fiction, mi risultava intollerabile. È che d’improvviso la realtà ci aveva preso in contropiede, mettendoci di fronte all’inimmaginabile, a qualcosa che fino a quel momento avevamo relegato al passato, o, appunto, alla fiction. E allora cosa potevo scrivere che potesse superare in fantasia le strade deserte, le lunghe file al supermercato e le macchine della protezione civile che ti invitavano coi megafoni a restare a casa?

Poi ci si abitua – che ci si adatti a tutto è la prima lezione che ho imparato dalla quarantena – e allora ho elaborato il mio lutto: anch’io ho esorcizzato il demone, ho scritto un racconto post-apocalittico, e ho ritrovato la voglia di raccontare storie. Ho ripreso a lavorare, più o meno come prima.

E adesso ci sentiamo tutti nel dopo. La tempesta ci pare passata – per quanto, in realtà, se è davvero così non lo sa nessuno, ma tant’è – e tiriamo le somme. Mettiamo fuori la testa in questo mondo dal quale siamo rimasti tagliati fuori per tre mesi, e che ovviamente non ci ha aspettati. Già nuove tensioni si profilano all’orizzonte, nuovi conflitti, nuovi problemi.

Io non lo so dove andremo da qui in avanti. Non so neppure dove andrà la narrativa fantastica. Sì, forse la gente avrà voglia di evasione, e l’escapismo è una dimensione del fantasy, nel quale l’immersione in mondi altri e magici fa parte delle regole del gioco. Ma qualsiasi mondo inventato, in realtà, è sempre specchio del presente, nel quale l’autore riversa la sua visione dell’esistenza e della società. Quindi sì, forse i lettori avranno più voglia di fantastico, può darsi; ma credo che il riflesso di quel che abbiamo vissuto, e che ancora dobbiamo elaborare, riverbererà a lungo in quel che produrremo, anche noi scrittori fantastici.

Forse non ne parleremo direttamente, forse, come sempre, lo esprimeremo sotto metafora, mascherati per non esporci troppo. Ma l’epidemia popolerà a lungo le nostre storie, anche quando tutti vorranno dimenticare – e lo vorranno fare, lo stanno già facendo. Perché alla fine, se la letteratura ha un ruolo, è proprio questo: portare alla luce ciò che è nascosto, metterci di fronte al rimosso, e girare la medaglia quando la faccia che tutti ci mostrano è sempre e soltanto una sola.

 

L’AUTRICE – Nata a Roma nel 1980, Licia Troisi, laureata con una tesi sulle galassie nane, è una delle autrici fantasy italiane più amate, grazie al successo delle saghe del “Mondo Emerso”, della “Ragazza Drago” e dei “Regni di Nashira”, tutte pubblicate da Mondadori.

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