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Una riflessione (seria) sul lavoro in Italia, a partire dal nuovo film di Checco Zalone

Il nuovo film di Checco Zalone è diventato un fenomeno sociale. Gli italiani (più o meno consapevoli) hanno riso a crepapelle di se stessi, di quel meraviglioso mondo di sicurezze e piccoli grandi privilegi che è stato il mondo del posto di lavoro fisso.

Per chi si occupa di lavoro il film di Zalone è una miniera d’oro (il pezzo in cui Zalone spiega agli indigeni cos’è la tredicesima passerà alla storia del cinema comico italiano).

Uno scambio di battute è illuminante: Zalone, innamorato della civilissima Norvegia dice al padre –“Qui se non lavori lo stato ti paga”- e il padre gli risponde a bruciapelo – “Perché noi in Italia non facciamo lo stesso?”

Di fronte a questo dialogo, dopo aver smesso di ridere, gli spettatori trovano due riflessioni amare:

Soprattutto emerge una domanda di fondo che dovrebbe interrogare profondamente la politica: Meglio avere un economia iper efficiente che produce strutturalmente poco lavoro e ricompensa i non lavoratori con il reddito di cittadinanza o avere una società meno efficiente e produttiva, con lavoratori perfettamente consapevoli di essere “non indispensabili”, ma pur tuttavia orgogliosi del loro dignitoso stipendio, delle loro sacrosante ferie, del loro meritato scatto di anzianità, della loro sudata tredicesima?

Non è una domanda retorica

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