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“L’isola del tesoro” di Stevenson è un romanzo sulla vitalità e le contraddizioni dell’esistenza

Per fortuna, i miei genitori e gli amici di casa e gli amici degli amici di casa, hanno cominciato a bombardarmi di libri fin da quando ero piccola. Dico per fortuna, perché quei libri ricevuti sono uno dei ricordi più belli della mia infanzia, e ognuno – di quelli amati, s’intende – un pezzo della costruzione di me stessa così come volevo io, cioè fuori dal previsto e dal programmato.

Perché quei primi libri – Kim, Tom Sawyer, Piccole donne – erano tutti molto diversi l’uno dall’altro – ambienti diversi, comportamenti diversi – e mi davano la sensazione di un mondo dalle variegate possibilità.

Ma tra tutti questi c’è un romanzo che si è  annidato nel mio cuore senza mai più uscirne, che ho riletto da grande in un’edizione, quella Adelphi, ben più  curata del libro per bambini che avevo avuto tra le mani, e che mi ha travolto da adulta come da ragazzina: L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson.

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Perché? Le ragioni sono tante. Prima di tutto la geografia tracciata dal romanzo: una locanda fumosa in mezzo a un nordico paese nebbioso, la nave, l’oceano, l’isola assolata ed esotica. Poi il senso dell’andare: l’andare incontro al rischio, che però è un’avventura che appaga per se stessa, con le sue paure e le sue sorprese, e soprattutto con le sue emozioni.

Non c’è un vero happy end alla fine del libro, l’unica vera conquista non è il tesoro, ma il senso della vita come esperienza emozionante. Credo che un po’ di Jim, il ragazzino protagonista, sia rimasto dentro di me da allora e mi abbia accompagnato, senza darlo troppo a vedere, come un maestro insospettabile acquattato per sempre in una botte.

L’isola del tesoro è un libro per nulla edificante – chi non ha amato il feroce pirata Long John Silver? – ma per questo esemplare: è un libro vitale, anzi è un libro sulla vitalità stessa. Sulle luci e le ombre della vita, le contraddizioni che ci fanno sentire umani: la locanda  buia ma accogliente,  il blu minaccioso e insieme  meraviglioso dell’alto mare,  poi l’isola tenebrosa  quanto luminosa.

Indimenticabile Stevenson.

 

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti.Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.

Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, e dopo il successo dell’iniziativa proposta recentemente sui social da ilLibraio.it, #ilLibroPerMe, in occasione della presentazione della ricerca sul rapporto tra lettura e benessere, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.


L’autrice

L’AUTRICE – Elisabetta Rasy è nata a Roma, dove vive e lavora. Ha pubblicato numerosi romanzi, racconti e saggi di argomento letterario, molti dei quali dedicati alla scrittura femminile. Ora è in libreria Le regole del fuoco (Rizzoli).

È la primavera di un anno terribile, il 1917, quando Maria Rosa Radice a poco più di vent’anni lascia gli agi della sua casa a Napoli. Scappa da sua madre, dal salotto aristocratico che fino ad allora è stato il suo unico, soffocante orizzonte. La destinazione è la sola possibile per una donna non sposata e in fuga: il fronte. L’impatto della guerra è brutale. In un piccolo ospedale sul Carso cura centinaia di feriti, li vede soffrire e morire. Ma c’è una luce nelle sue giornate, una scintilla di cui si accorge poco a poco. È la sua silenziosa compagna di stanza Eugenia Alferro, una provinciale del Nord che sogna di diventare medico. Giorno dopo giorno, le insegna a sopravvivere in corsia e a superare la paura. La guerra regala alle due ragazze una libertà altrimenti impossibile. Così, nel tempo, avvertono una passione inattesa crescere tra loro e a mezza voce, la notte, si dichiarano l’amore. Non sanno se il futuro permetterà loro di rimanere vicine, entrambe però sentono di essere cambiate. Ora sono pronte a lottare per restare se stesse.

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