“Succedeva anche prima di entrare in classe e di trovarne uno in lacrime, succedeva eccome, anche senza pandemia…”. Mentre fanno discutere le tante verifiche a cui sono sottoposti gli studenti tornati in classe dopo mesi di Dad, su ilLibraio.it la riflessione di Valentina Petri, insegnante e autrice di “Portami il diario”, che parte da un episodio vissuto tra i banchi di recente

Succedeva anche prima di entrare in classe e di trovarne uno in lacrime, succedeva eccome, anche senza pandemia.

Succedeva pure ai miei tempi e a volte quella in lacrime ero io, maledette versioni di greco.

Ma quando entro in classe e vedo la tragedia in atto mi pare doveroso almeno sincerarmi delle cause scatenanti, dei motivi, della gravità effettiva – sempre che io ne sia in grado. E di fornire, se non una soluzione, quanto meno una risposta adulta e autorevole o una parola di conforto, o un pacchetto nuovo di fazzoletti di carta.

L’altro giorno, però, una mia studentessa, di quelle che noi prof siamo soliti descrivere come “diligenti”, piangeva disperata di quel pianto inconsolabile che non sembra avere fine e per un po’ non ho saputo, anzi nessuno ha saputo da che parte iniziare. Poi la pioggia s’è quietata e sono riuscita a capire che il motivo di tanta afflizione risiedeva apparentemente nella matematica. Un’ondata di solidarietà mi ha sommersa, i numeri non sono mai stati il mio forte e ancora me lo rammento. “È andata così male, la verifica?”.

“Non l’abbiamo ancora fatta, è all’ultima ora”. “Allora perché piangi?” chiedo, consapevole che finché c’è verifica c’è speranza. “Perché tanto andrà male”.

“Non hai studiato, ti senti così impreparata da essere già certa che sarà un disastro?”. “No. Sì. Non importa. Andrà male, va tutto male. Sta andando tutto male“. E da capo una seconda ondata di lacrime.

Ecco dove sono finiti gli arcobaleni disegnati sugli striscioni, gli “andrà tutto bene” a cui non credevamo davvero nemmeno noi. Ecco cosa c’è ai piedi di quell’arcobaleno, e non è una pentola d’ora ma un paiolo di lacrime. Sento che dovrei dire qualcosa di sensato per rimettere nella giusta prospettiva una verifica di matematica incombente, un anno scolastico intermittente e un’adolescenza che di per sè è sempre devastante. Mi viene in mente una foto che a scuola mi gioco spesso a lezione. Pale blue dot si chiama. È  l’immagine scattata dalla sonda Voyager quando era distante non so più quanti miliardi di chilometri dalla Terra.

È sostanzialmente la foto di un puntino minuscolo azzurro nello spazio. Quella è la Terra. La trovo facilmente nella mia galleria di immagini sul telefono, la tengo salvata lì, la mostro alla fanciulla piangente e ai suoi compagni e le spiego cosa sia. “Com’è il compito di matematica, visto da qui?”. E a pensarci bene, come sono i nostri consigli di classe, le nostre griglie di valutazione, le nostre frustrazioni, i nostri drammi quotidiani, visti da lì?

Non è minimizzare, è mettere in prospettiva. Pensare di far parte di qualcosa di più grande. Finscono a distrarsi, a cercare curiosità su quella foto, a leggere ciò che ne scrisse Carl Sagan, a condividersela sul cellulare.

Com’è la scuola al 75% vista da lì? “Sembra meglio prof. A proposito, ci lascia gli ultimi dieci minuti per ripassare?”.

portami il diario

L’AUTRICE  – Valentina Petri vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Che dà anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

 

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