Fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, i rapporti tra erotismo, letteratura, arte e cultura sono al centro di un dibattito denso e costante che coinvolge molti e molte intellettuali. La conferma arriva da “Erotismo e letteratura – Antologia di scritti militanti (1960-1976)”, a cura di Giuseppe Carrara e Silvia Cucchi, di cui proponiamo l’introduzione

Fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, i rapporti tra erotismo, letteratura, arte e cultura sono al centro di un dibattito denso e costante che coinvolge molti e molte intellettuali.

La censura, l’emancipazione sessuale, la rappresentazione artistica (e non) del sesso sono alcune delle questioni di quello che si potrebbe definire un vero e proprio scontro culturale e politico capace di cogliere e far emergere con estrema lucidità i nessi fra sesso, potere, interdizione, libertà e controllo.

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Moltissimi e moltissime intellettuali si interrogano sulla portata politico-ideologica del discorso erotico in relazione al discorso artistico, da prospettive talvolta molto diverse: dalla critica letteraria più tradizionale, al saggio di costume, passando per l’analisi sociale, fino alle riflessioni dei gruppi di liberazione femminista e dei movimenti omosessuali.

Erotismo e letteratura – Antologia di scritti militanti (1960-1976), a cura di Giuseppe Carrara (anche collaboratore de ilLibraio.it, ndr) e Silvia Cucchi (pubblicato da Mucchi edizioni), volume frutto di una ricerca condotta nel corso degli ultimi tre anni, vuole ripercorrere le tappe fondamentali di questo dibattito, riproponendo ai lettori e alle lettrici d’oggi i principali contributi (spesso dispersi, dimenticati, talvolta inediti) di quella stagione: da Eugenio Montale a Luisa Muraro, passando per Elio Vittorini, Franco Fortini, Salvatore Quasimodo, Italo Calvino, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Goffredo Parise, Carlo Lonzi, Biancamaria Frabotta, Mario Mieli, Natalia Ginzburg, Vittorio Spinazzola, Giovanni Giudici, Dacia Maraini, Alberto Arbasino e molti e molte altre.

Erotismo e letteratura. Antologia di scritti militanti

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto dall’introduzione di Giuseppe Carrara e Silvia Cucchi

I termini di un dibattito

[estratto, senza note, dall’introduzione a Erotismo e letteratura. Antologia di scritti militanti (1960-1976), a cura di G. Carrara e S. Cucchi, Mucchi, 2022]

«“Ti piace essere venuto a questo mondo?” / Bamb.: “Sì, perché c’è la standa”». Così comincia Sì, ancora la neve, poesia di Andrea Zanzotto pubblicata ne La Beltà (1968). La Standa, come quei casermoni cadenti che saranno la Rinascente, che la Carla Dondi di Elio Pagliarani guarda dalle finestre degli uffici della Transocean Limited Import Export, o le pubblicità erotizzanti dell’ACI di fronte al Duomo di Modena che si vedono in Fratelli d’Italia di Arbasino, sono fra i segnali più eloquenti di quel rapido processo di sviluppo e di espansione dei consumi che caratterizza l’Italia a partire dagli anni Cinquanta. Pubblicità, grandi magazzini, cinema, televisione rappresentano le trasformazioni che in maniera più evidente, nel secondo dopoguerra, sfidano, seppur in maniera contraddittoria, la moralità pubblica. Si tratta di una situazione da guardare dalla giusta prospettiva e alla quale non vanno attribuiti facili caratteri rivoluzionari, ma è un dato di fatto che fra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta in Italia convivono una tendenza alla ricerca della rispettabilità, di riaffermazione della subordinazione delle donne agli uomini e del doppio standard di genere, e un’espansione diversi livelli di discorso dell’immaginario latamente erotico. Basta sfogliare le pagine dei quotidiani del tempo: le preoccupazioni sulle immagini del sesso che iniziano a dilagare si fanno sempre più pressanti, dal cinema alla letteratura, dalla pubblicità ai consumi, per l’appunto.

È una storia nota, che generalmente riassumiamo con l’etichetta di liberazione sessuale, e che pure coinvolge problemi e vari livelli di complessità non facilmente risolvibili, nemmeno in sede storiografica, e che neppur può essere ricondotta semplicemente a un movimento specifico (il Sessantotto, seppure inteso nel senso più ampio del termine) o a una manciata di anni. Coinvolge, piuttosto, la lunga storia della modernità, implicandosi con l’insorgere dei moderni nazionalismi, la fortuna del protestantesimo, il razzismo, l’imperialismo, e vive di fratture e discontinuità. Eppure è un fatto che in Italia, come in gran parte d’Europa e in Nordamerica, nei decenni Sessanta-Settanta si assiste a un movimento generale della società che investe in maniera diretta le problematiche legate alla sessualità, attraverso quattro direttrici principali: lo sfruttamento del desiderio e dell’erotizzazione da parte del nuovo sistema dei consumi; una nuova discussione estetico-gnoseologica e sociale sulle forme dell’eros; i progetti di riforma culturale e politica dei movimenti delle donne e degli omosessuali; i nuovi studi scientifici sulla sessualità.

Si tratta di linee che spesso si incrociano, si contraddicono e al loro stesso interno si nutrono di anime così diversificate da non permettere l’individuazione di poche matrici comuni entro le quali riassumere la questione. Anche la delimitazione temporale risulta problematica: se si guardano le numerose inchieste pubblicate fra il 1960 e il 1961, ci si accorge che il dilagare dell’erotismo nella società, nei media, nella cultura, nel costume è avvertito già come un problema, è già un fatto, dispiegatosi dunque a partire almeno dall’inizio degli anni Cinquanta – basti pensare che il primo rapporto Kinsey (Il comportamento sessuale dell’uomo) è pubblicato nel 1948 (e tradotto da Bompiani nel 1950), e il secondo (Il comportamento sessuale della donna) nel 1953 (e tradotto nel ’55).

Proprio il modulo dell’inchiesta sembra essere quello più adatto a esplorare e discutere di un tema che si sente sempre più urgente: se si sfogliano quotidiani, periodici, cataloghi di quegli anni si ha talvolta la sensazione del déjà-vu, nell’incontrare di continuo inchieste sulla censura, sul ruolo della donna, sul sesso nel cinema, sulla pornografia, sul costume sessuale, sull’educazione sessuale.

Qualche titolo, che rappresenta solamente l’apice di una discussione che veniva portata avanti quotidianamente: nel 1962 su «Film selezione» Luigi De Marchi conduce l’inchiesta L’erotismo nel cinema, Lieta Harrison pubblica Le svergognate nel 1964, l’anno successivo esce I sultani di Gabriella Parca, nel 1963 erano già usciti due film documentari come Comizi d’amore di Pasolini e I ragazzi che si amano di Alberto Caldana; ancora nel 1965, l’anno della famigerata vicenda de «La Zanzara» del liceo Parini di Milano, «L’Espresso» pubblica la prima inchiesta, a cura di Sandro Viola, in tre puntate sull’omosessualità 3; nel 1967 di nuovo su «L’Espresso» del 19 novembre, si trova quella di Enzo Siciliano Ma cos’è la pornografia?.

Anche il dibattito su erotismo e letteratura, non a caso, prende avvio con due inchieste a cui partecipano alcuni dei principali scrittori italiani: Sesso e letteratura (1960) a cura di Luigi Capelli e Otto domande sull’erotismo in letteratura, pubblicata da «Nuovi Argomenti» nel 1961. Se si guardano le domande poste in queste sedi (e qui antologizzate) si notano subito alcune problematiche che torneranno ripetutamente nel dibattito: la constatazione della massiccia presenza del sesso nella narrativa degli ultimi anni; il rapporto fra letteratura e costume(/eros) di massa; le finalità propriamente estetiche (o conoscitive) dell’erotismo in letteratura; il problema del valore che distingua un buon uso dell’eros da uno cattivo; il confronto costante con il cinema; la questione della censura in relazione alla morale cattolica. Il dibattito su letteratura e erotismo, pur nella sua specificità, dunque, non può prescindere né dalla dimensione della visualità – che sia quella della pubblicità, del fumetto, del rotocalco, del film o della televisione – né dalle dinamiche economico-politiche: al centro di molte riflessioni vi sarà infatti il tentativo di comprendere se, e quali, forme di erotismo siano un dispositivo liberogeno o una dissimulazione del discorso del capitale.

A monte di queste problematiche, uno degli elementi che accomuna il dibattito sull’erotismo negli anni Sessanta e Settanta è un’urgenza e al contempo una difficoltà definitoria. Che cosa si intende con il termine erotismo? E quali sono i tratti specifici che lo distinguono, per esempio, dalla pornografia? In molti dei testi presenti in questa antologia emerge un uso assai eterogeneo della parola: c’è chi lo considera un termine passe-partout in cui convergono significati simbolici o filosofici (è il caso di Pasolini, Moravia, Calvino), chi invece propone una definizione che ne circoscriva il campo (si pensi agli interventi di Bo, Scalia, Abbagnano all’interno delle varie inchieste) o che lo opponga alla pornografia (è il caso di Baccolo e De Marchi). L’erotismo viene quindi inteso sia come «il riconoscimento dell’importanza del sesso e del suo valore», sia come «la ricerca e la fabbricazione di stimoli supplementari dell’attività sessuale»; come «l’atteggiamento di fronte al fatto sessuale, che è immune da pregiudizi, da superstizioni d’origine religiosa (cristiana), dalle ipocrisie imposte da credenze più o meno magiche sulla peccaminosità del rapporto sessuale», ma anche come «una tendenza, un eccesso», «un modo o una concezione di vita che assegna agli atti sessuali un valore esclusivo o prevalente o morboso o qualcosa del genere»; l’erotismo può infine intendersi in senso lato, come «una forma di conoscenza che nel momento stesso che scopre la realtà, la distrugge».

Da questa carrellata di perifrasi definitorie emerge un vero e proprio paradosso: più si tenta di inquadrarlo e di definirne i contorni, più l’erotismo mostra la sua ambiguità e densità semantica, che coinvolge diverse sfere dell’essere e che si apre a diverse accezioni (politiche, artistiche, teoriche). Il punto di partenza di molte delle riflessioni che strutturano il dibattito all’inizio degli anni Sessanta è la ripresa del pensiero freudiano, in particolare delle riflessioni presenti in Al di là del principio di piacere (1920) e ne Il disagio della civiltà (1929), in cui Freud sostiene che lo sviluppo delle società occidentali si realizzi sempre a costo della repressione degli istinti o della loro sublimazione. Nella lotta tra il «principio di piacere» e il «principio di realtà», quest’ultimo ha il sopravvento sul primo, dando luogo all’identificazione tra civiltà e nevrosi. Al centro della riflessione di molti intellettuali attivi in questi anni vi sarà proprio la ripresa del concetto freudiano di repressione, riadattato e riformulato a seconda dei contesti. Si pensi alla definizione di erotismo proposta da Georges Bataille che, ne L’érotisme (1957), concepisce questa pulsione in contrasto al concetto di interdit, ossia quell’insieme di paradigmi e divieti creati dalla società e atti a controllare e escludere la violenza dalla vita civile. Ma si pensi soprattutto alla ripresa del concetto di repressione attuata dal freudo-marxismo, molto diffuso in Italia nel corso degli anni Sessanta, che va a costituire «gli assi teorico concettuali attorno a cui definire la critica alla moralità razionale». Uno dei pensatori che avrà maggiormente successo in questi anni sarà proprio Wilhelm Reich, le cui opere principali, benché scritte tra gli anni Venti e gli anni Trenta, vengono tradotte in Italia solo negli anni Sessanta. È soprattutto ne La teoria dell’orgasmo e altri scritti (tr. it. 1961) e La rivoluzione sessuale (tr. it. 1963) che Reich espone le sue teorie contro la morale repressiva che anima la società occidentale e che si incarna nel modello di famiglia patriarcale per poi espandersi a tutti i livelli della collettività. L’educazione oppressiva, fondata sul senso di colpa e che trasforma il piacere in angoscia, sarebbe all’origine della nevrosi di massa e dell’infelicità dell’individuo.

Per trasformare questo stato di cose Reich si fa fautore di ideali rivoluzionari, proponendo una drastica abolizione del matrimonio, considerata il fulcro del modello coercitivo-capitalista, e il riconoscimento del diritto naturale a appagare il bisogno dell’amore carnale. Se in Italia il principale interprete del suo pensiero sarà Luigi De Marchi (in particolare in Sesso e civiltà, 1960; Sociologia del sesso, 1963; Repressione sessuale e oppressione sociale, 1964), all’estero la diffusione del pensiero di Reich avrà un impatto soprattutto su alcuni esponenti della Scuola di Francoforte, in particolare su Herbert Marcuse, vero e proprio caposaldo teorico del Sessantotto. Riprendendo la critica reichiana alla famiglia e rileggendo criticamente il pensiero freudiano, Marcuse con Eros e civiltà (1955) e L’uomo a una dimensione (1964) individua nell’alienazione dell’individuo l’espressione massima del processo di repressione attuato nella società industriale capitalista. Se per Freud «la rinuncia e il differimento della soddisfazione [dei bisogni istintuali dell’uomo] sono i prerequisiti del progresso» e la cultura si definisce come «il sacrificio metodico della libido, la sua deviazione, imposta inesorabilmente, verso attività e espressioni socialmente utili», senza possibili vie d’uscita da questa dimensione repressiva, per Marcuse l’eros può e deve essere liberato; ciò può avvenire solo se si fuoriesce dal principio di prestazione, così tipico della società capitalista, attraverso una visione in cui la liberazione sessuale e, più in generale il sovvertimento di queste dinamiche, si realizza tramite l’azione della classe intellettuale e dei giovani (si capisce quindi perché Marcuse diventi uno dei capisaldi teorici dei movimenti del Sessantotto). Uno dei concetti strutturanti del suo pensiero è quello di desublimazione repressiva, con cui viene interpretato il processo graduale di abbassamento del potere censorio e repressivo a livello erotico- sessuale tipico della società capitalista di quegli anni. Secondo Marcuse, questa liberazione del sesso da ogni forma di tabù e coercizione non implica una reale fuoriuscita dalla dimensione repressiva, ma anzi non fa altro che spostare la repressione a un livello superiore ed essere il sintomo dell’adattamento dell’uomo alla logica tardo-capitalista:

la gamma delle soddisfazioni socialmente permesse è stata molto ampliata, ma per loro tramite il principio del piacere viene ridotto e privato delle istanze irreconciliabili con la società stabilita. Grazie a questo processo di adattamento, il piacere genera la sottomissione […] La perdita di coscienza dovuta alle libertà di gratificazione concesse da una società non libera dà origine a una coscienza felice che facilita l’accettazione dei misfatti di questa società.

Questa concettualizzazione marcusiana avrà molto successo tra gli intellettuali italiani, diventando la chiave di interpretazione privilegiata del processo di liberalizzazione dei costumi e di erotizzazione della società. L’attenzione di molti autori presenti in questa antologia (tra cui Fortini, Pasolini, Sciascia, Spinella) è infatti volta alla lettura critica di questo processo di sessualizzazione della cultura, interpretata come un falso ammorbidimento dei regimi censori, che continuano a agire e a esercitare il loro potere coercitivo ad altri livelli: «la tolleranza sostanziale nelle cose del sesso è resa possibile dalla certezza dell’efficacia dei veri tabù, quelli economicosociali»; o, per dirla con Sciascia: «l’erotismo […] ha la funzione che hanno gli agenti provocatori nei regimi di polizia: di falso attentato che serve a consolidare le sorti di una dittatura».

Se da un lato il discorso sull’erotismo negli anni Sessanta e Settanta si mantiene sul piano teorico e si caratterizza dall’assimilazione e dalla rielaborazione da parte degli intellettuali italiani del pensiero freudo-marxista, dall’altro la questione sessuale diventa un vero e proprio terreno di lotta e di scontro politico. Il corpo, il sesso, l’eros, la liberazione del desiderio sono in questi decenni temi rivendicati e discussi da più parti sociali: non solo sono al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, generando dibattiti, inchieste, discussioni e influenzando la produzione artistica (letteraria e cinematografica), ma sono anche al centro di una rivendicazione più profonda che si muove sul piano dei diritti civili e che coinvolge diversi movimenti (quello femminista e quello di liberazione omosessuale). Vale la pena di riportare qualche data: nel 1963 viene abrogata la legge che escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici; nel 1970 viene approvata la legge n. 898 sul divorzio; nel 1975, con la legge n. 151 viene emanata una nuova legislazione sulla famiglia che cancella la patria potestà (nello stesso la legge n. 355 legalizza la rivendita di materiale pornografico presso le edicole e l’editoria); nel 1979, infine, viene votata la legge 194 sull’aborto 17. La questione sessuale (il cui centro simbolico è occupato dalle manifestazioni del Maggio ’68, ma che disegna, come mostrano bene le date appena riportate, un areale ben più ampio) rappresenta infatti una parte fondamentale di quel processo di trasformazione che Balestracci riconduce alla «crisi del razionalismo di stampo illuministico, su cui si reggeva la società cosiddetta patriarcale, basata cioè sul predominio di uomini adulti eterosessuali». Contro questo tipo di società si scaglia in primis il movimento femminista, che dalla fine degli anni Sessanta in poi, darà vita al femminismo di seconda ondata, ponendosi come obbiettivo primario la lotta per uscire dall’assoggettamento maschile. Molti gruppi femministi articolano il loro discorso contro il potere patriarcale proprio a partire dalla sfera sessuale, considerata come il primo luogo di assoggettamento della donna, ancor prima del piano culturale e economico, come dimostra il testo La donna clitoridea e la donna vaginale scritto da Rivolta Femminile, le cui riflessioni ricordano quelle formulate negli stessi anni dalla femminista americana Anne Koedt nel libro The Myth of The Vaginal Orgasm (1970). Pensare al piacere femminile non in chiave fallocentrica e non in funzione della procreazione significa infatti scardinare simbolicamente la centralità dell’uomo e del modello eterosessuale, mandandolo in crisi:

[l’orgasmo clitorideo] starebbe a indicare che il piacere sessuale è ottenibile sia da uomini sia da donne, rendendo così l’eterosessualità non un assoluto ma un’opzione. Esso in tal modo porterebbe l’intera questione delle relazioni sessuali umane al di là dei confini dell’attuale sistema di ruoli maschile-femminile.

È proprio dalla sfera sessuale che, secondo molte femministe di questi anni, bisogna partire sia per sovvertire il dominio patriarcale, sia per affermare il diritto della donna a agire sul proprio corpo. Una delle questioni al centro dell’attenzione pubblica in questi anni sarà proprio la legalizzazione dell’aborto, che le femministe rivendicheranno come un diritto fondamentale della donna, scendendo in piazza a manifestare e suscitando un vivissimo dibattito anche tra gli e le intellettuali, di cui danno conto alcuni degli interventi riproposti in questa antologia.

In un contesto simile nascono molteplici situazioni, collettivi, comunità, riviste, esperienze artistiche comunitarie che investono anche considerazioni propriamente letterarie. La lotta delle donne, nella ricerca artistica, nella messa a punto di nuove forme di espressione e di erotismo è una delle caratteristiche centrali del decennio Sessanta-Settanta: dalle esperienze comunitarie, come quella del Teatro femminista della Maddalena a Roma, o delle antologie poetiche (nel ’74 esce, per esempio, La poesia femminista a cura di Nadia Fusini e Mariella Gramaglia), fino al monologo Lo stupro (1975) di Franca Rame o alla raccolta Affeminata (1976) di Frabotta, si dispiega un orizzonte complesso e diversificato in cui la pratica e la riflessione sull’arte e la letteratura cercano strade diverse, sguardi alternativi. Basti ricordare la pubblicazione di un testo fondamentale come La politica del sesso di Kate Millett (tradotto da Bompiani nel 1971), che fornirà un importante modello anche per la critica letteraria: non a caso proprio su questa scia si pone uno dei primi saggi di critica femminista dedicati alla letteratura italiana, I padri della fallocultura (1974) di Bibi Tomasi e Liliana Caruso, che aprirà un dibattitto su patriarcato e rappresentazione della donna dimostrando «limpidamente che l’erotismo narrativo dominante nei letterati nostrani non ha mica compiuto grandi passi innanzi dai tempi beati del sottodannunzianesimo sottoletterario, e che di frecce nei fianchi e di naje tripudianti rigurgitano le più belle pagine della nostra prosa più fresca» (così si esprime Edoardo Sanguineti in una recensione al libro). E le risposte (qui ripubblicate) degli autori analizzati da Tomasi e Caruso sono particolarmente istruttive nel mostrare il pervicace radicamento del patriarcato (che, vale la pena dirlo chiaramente, in Italia, fino alla legge n. 151 del 1975, non era un’opinione, ma un fatto storico sancito dal diritto pubblico).

La questione sessuale diventa anche sede di rivendicazione da parte del movimento omosessuale, che, allineandosi con il pensiero freudo-marxista, interpreta la liberazione sessuale in relazione (e in reazione) al capitalismo. Tra i principali collettivi che nascono in quegli anni, quelli fondati da Mario Mieli (cioè il Fuori! e i Collettivi Omosessuali Milanesi) si fanno portavoce di una radicale critica al capitalismo, considerato come un sistema che rende impossibile la completa emancipazione per un omosessuale. Creando un’identificazione tra omosessualità e proletariato, Mieli sostiene infatti che «la liberazione di chi è omosessuale si avvererà con la liberazione della sessualità dalle catene dell’alienazione», coincidendo quindi con il sovvertimento delle dinamiche capitaliste. Uscire dal capitalismo significa creare uno spazio di libertà in cui non esistono minoranze, perché non esistono modelli familiari fallocentrici, e ognuno ha il diritto di vivere e sperimentare la sessualità che preferisce.

Che venga utilizzato come strumento di rivendicazione o come chiave di lettura di una certa condizione socioeconomica, l’erotismo e la questione sessuale costituiscono il centro nevralgico della riflessione teorica e sociologica anche negli anni Settanta. Molti intellettuali, infatti, nel corso del decennio prenderanno atto di come l’eros, soprattutto dopo il Sessantotto, sia stato integrato nel sistema, normalizzandosi e perdendo così il suo valore eversivo. Questo processo di assimilazione si traduce in una erotizzazione ancora più sfrenata della società e della cultura, sia a livello mediatico che a livello di mercato: «gambe, seni, scollature, fianchi, labbra, ascelle, nudi integrali si inseguono dovunque su tutti i muri, invitano gli occhi dalle copertine delle riviste e fanno l’impossibile per inchiodarli all’interno sulle pagine pubblicitarie. L’uomo che attraversa la città con i suoi pensieri non s’accorge di vivere in un’atmosfera artificialmente erotizzata». Corpi nudi, sessualizzati e esposti riempiono le copertine dei rotocalchi, le riviste, il cinema, la narrativa, le pubblicità, la televisione, mercificandosi e trasformandosi in oggetto di scambio. Molti filosofi attivi in questi anni (come Lacan, Deleuze, Guattari, Foucault) porranno al centro della loro riflessione i rapporti tra desiderio e società, sottolineando le derive e i rischi di questa assimilazione (si pensi alla lacaniana ingiunzione al godimento, tratto caratteristico delle società contemporanee e di quello che viene definito il «discorso del capitalista», o alla riflessione foucaultiana sulla biopolitica e sui rapporti tra il sesso e i dispositivi di potere analizzati nella sua Storia della sessualità). La vittoria dei figli sui padri, il sovvertimento degli schemi e dell’autorità patriarcale promossa dai movimenti del Sessantotto si sarebbe di fatto tradotta in una legittimazione smodata del desiderio, che diventa un vero e proprio strumento di potere e i cui esiti più radicali si possono osservare nella nostra storia recente (si pensi al berlusconismo).

Il dibattito su erotismo e letteratura si muove, allora, su due orizzonti metodologici principali: quello socio-politico e quello estetico vero e proprio. La letteratura come sintomo o come prodotto (nella duplice accezione del termine) e la letteratura come ricerca estetica e gnoseologica. Talvolta i testi letterari sono usati solamente come un pretesto per un discorso più ampio che riguardi la cultura e la società; o ancora come strumento che possa essere di lotta culturale e politica; per altri la preoccupazione riguarda, al contrario, soprattutto le forme della letteratura – e di conseguenza l’attribuzione del valore, la possibilità di accedere a forme di conoscenza diverse attraverso esperimenti narrativi o stilistici che coinvolgano l’erotismo, per arrivare agli esiti più estremi di un’estetica mistica che vede nell’erotismo una forma di trascendenza laica. Fra la materialità della merce, la violenza della lotta e l’icona sacra sembra giocarsi la partita (e le tre dimensioni sono solamente in apparente contraddizione, teste il Benjamin della Religione del capitalismo).

[…]

(continua in libreria…)

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Fotografia header: GettyEditorial 01-06-2021

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