“Il fatto che la polemica si ripresenti così puntuale ogni anno ci dice che l’unica cosa da fare è mettere in agenda un momento di discussione su questo punto. Un momento in cui, però, possono avere una qualche voce in capitolo anche gli studenti coi loro rappresentanti…”. La riflessione (e la proposta) di Enrico Galiano, insegnante e scrittore

Puntuale come il calciomercato e gli annunci dei tg di bere tanta acqua e non uscire nelle ore più calde, anche quest’anno è giunta la stagione delle polemiche sul dress code scolastico.

Come ogni anno, tutto comincia dal caso di una scuola, dove un qualche dirigente sbotta e scrive comunicati per ricordare agli studenti di rispettare un certo decoro nel vestiario, per poi proseguire con il rimbalzo di botte e risposte, studenti che si ribellano, professori che si ribellano contro la ribellione, in un gioco di specchi infinito fino a che non finisce la scuola.

Proviamo a fare un poco chiarezza, dai.  E partiamo, per una volta, non dai predicozzi di noi boomer o dagli spesso fumosi regolamenti scolastici, ma dalle motivazioni profonde degli studenti.

Ecco quelle principali:

1) Qua non è questione di decoro o rispetto: è una faccenda di sopravvivenza! In classe da fine aprile a giugno è pura sauna, se non clima tropicale. Come si fa a non svenire, come si riesce a restare concentrati in jeans e camicia?

2) Perché questi problemi sorgono quasi sempre di fronte ad abiti femminili, e non c’è la stessa rigida osservazione delle abitudini maschili?

3) I costumi sono molto cambiati, negli anni: non sarebbe il caso di ridiscutere insieme il concetto di decoro, dato che ciò che era indecoroso trent’anni fa oggi è perfettamente accettato da tutti?

Prof e dirigenti, dal canto loro, ribattono che siamo tutti sulla stessa barca, e, come resistono i grandi, anche i piccoli possono fare uno sforzo (però qui forse dimenticano che i metabolismi sono leggermente diversi, e che i ragazzi arrivano in t-shirt già a febbraio).

Sulle differenze maschi-femmine di solito minimizzano, oppure negano a prescindere, ma non ci giriamo troppo intorno: è spesso da un abito femminile che parte tutto il carrozzone delle polemiche.

Infine, in buona sostanza, professori e dirigenti buttano giù l’asso nella manica: il contesto. Ci sono posti dove si può andare in infradito, ma la scuola non dovrebbe essere uno di questi.

Già: come fai a controbattere quest’ultimo punto?

È la pura verità: come non è rispettoso presentarsi a un funerale vestito da Krusty il Clown (a meno che il dipartito non sia Matt Groening), allo stesso modo la scuola come luogo richiede che alcuni vestiti, che gli studenti hanno nell’armadio, restino nell’armadio.

Il punto allora diventa questo: quali? E chi deve deciderlo?

Il fatto che la polemica si ripresenti così puntuale ogni anno ci dice che l’unica cosa da fare è mettere in agenda un momento di discussione su questo punto: un momento in cui però possono avere una qualche voce in capitolo anche gli studenti coi loro rappresentanti.

Farli entrare, democraticamente, invitarli al tavolo dei lavori: sarebbe anche un modo di responsabilizzarli, no?

Dal canto mio, tolti gli eccessi che possono essere facilmente derubricati a eccezioni, tipo infradito e costume da bagno – o almeno spero siano eccezioni! – penso che le strade da percorrere siano due: o, finalmente, passare alle divise (e io amerei questa soluzione), oppure mettere in chiaro all’inizio dell’anno, in modo inequivocabile, cosa è possibile indossare a scuola e cosa no.

Ragazze e ragazzi non si ribellano quasi mai di fronte alle regole: lo fanno quando non sono chiare, e quando chi le impone non è coerente nel rispettarle a sua volta.

Per cui, di nuovo: il prossimo anno, a settembre, troviamoci tutti insieme, genitori, prof, dirigenti e decidiamo cosa è ammesso a scuola e cosa no.

Potrebbe essere la volta buona che ci risparmiamo le polemiche?

L’AUTORE – Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, dopo il successo dei romanzi (tutti pubblicati da Garzanti)  Eppure cadiamo feliciTutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro molto particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L’arte di sbagliare alla grande.

Con Salani ora Galiano pubblica la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole, un inno d’amore alle parole e alla lingua.

Alla pagina dell’autore tutti gli articoli scritti da Galiano per ilLibraio.it.

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