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Siamo sommersi da sigle, acronimi e abbreviazioni (e spesso non ci capiamo più)

Come ha ben raccontato di recente  su La Lettura Giuseppe Antonelli, in un intervento dal titolo Più sigle ci sono, meno capiamo – L’arte di vivere nell’acrominato, già prima della diffusione di internet e dei social network, e prima anche del boom dei cellulari, il linguaggio giovanile faceva abbondante uso di sigle. Poi, con l’arrivo di chat e sms la moda è dilagata (toccando anche gli adulti e i contesti più istituzionali), fino agli esiti attuali. Tutti siamo ormai sommersi da acronimi, sigle e abbreviazioni (più o meno riuscite e più o meno sensate).

E come ci ricorda Antonelli, non si tratta di una tendenza solo italiana. Il risultato? Siamo “assediati da sigle che spesso suonano ambigue, se è vero che SPA vale tanto per le società quotate in Borsa quanto per le terme di idromassaggio…”, solo per fare un esempio. A questo proposito, in effetti, “tutte le sigle si prestano a diventare una gag”.

Una società che va sempre più di fretta come la nostra sembra dunque essersi arresa al dilagare di sigle e acronimi. E l’aspetto più negativo non è tanto il rischio che corre la lingua, quanto quello che corre la comprensione. Ne vale dunque la pena?

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