Con “La casa della fame” di Dambudzo Marechera, la casa editrice Racconti apre la collana degli Scarafaggi, dedicata precipuamente alla novella, “il racconto lungo, le cento pagine calviniane” – I particolari

Con La casa della fame di Dambudzo Marechera, la piccola casa editrice romana Racconti apre la collana degli Scarafaggi, dedicata precipuamente alla novella, “il racconto lungo, le cento pagine calviniane”, quelle che di recente Ian McEwan ha definito “la forma perfetta della prosa narrativa, la figlia mozzafiato di un energumeno farneticante, gonfio e con la barba di qualche giorno”.

I prossimi libri di questa collana arriveranno in autunno: La parabola dei ciechi di Gert Hofmann (con una prefazione di Luciano Funetta) e La ragazza nel bagagliaio di John O’Hara nella traduzione di Vincenzo Mantovani.

Marechera (Rusape, Rhodesia Meridionale 1952 – Harare, Zimbabwe 1987) è stato “il Joyce africano” e “il doppelgänger che la letteratura africana non ha mai incontrato”: figlio di un becchino e di una bambinaia, cresciuto all’ombra del segregazionismo, la sua scrittura è “una forma di combattimento” segnata dall’esilio e dalla schizofrenia. La casa della fame è una brutale rappresentazione della vita quotidianamente onirica in un paese dilaniato dalla carestia e dalla guerra, la Rhodesia di Ian Smith al nadir del dominio coloniale e segregazionista. Esistenze fratturate che si concentrano attorno a un bar scalcagnato e a una casa da cui per quanto si cerchi di sfuggire non si riesce mai ad allontanarsi abbastanza. Un mondo dove la violenza regola ogni rapporto e la follia prende lentamente possesso del protagonista, un io narrante che conduce le danze a un ritmo impenetrabile e allucinato, zigzagando tra i detriti e le macerie che chiamiamo Africa.

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