“Ci hanno detto che l’amore è un lavoro. Che ha bisogno di impegno. Di fatica. Di determinazione. Di tutto ciò che è contro l’amore. Perché sacrificio non fa rima con amore. Delusione non fa rima con amore. Tristezza non fa rima con amore. E allora dovremmo prendere tutto ciò che si è rotto e imparare a buttarlo…” – Su ilLibraio.it la riflessione di Maryg Baccaglini, blogger e ideatrice della pagina Facebook “Confessioni di una mente cinica, isterica e romantica”

Lo guardo che se ne sta sul pavimento. Immobile.

Ho lasciato la finestra aperta e una folata di vento l’ha fatto cadere. Mi avvicino e dall’alto provo a ricordarne la bellezza, di quanto era un unico, integro, meraviglioso oggetto.

L’avevo comprato anni prima, quando lui mi accompagnava dappertutto e ci bastava poco per essere felici. Entrare in un bar, passeggiare per una metropoli e per una campagna, guardando qualcosa in alto, perché il segreto della felicità è avere i piedi a terra e la testa in alto. Un po’ ancorati a terra e un po’ in volo.

Basta così poco alla gente per essere felice. Ma solo se ama.

Altrimenti tutto diventa pesante. È incredibile come un’esistenza possa trasformarsi da incredibile a mediocre solo a causa di una variabile. E quella variabile si chiama amore.

Lo guardo giacere sul pavimento. Immobile. Spaccato a metà. È una metà esatta e la prima cosa che mi viene in mente di fare è raccoglierlo, come un passerotto precipitato giù dal nido. Lo raccolgo e unisco i pezzi, come se potessi saldarli nuovamente insieme con la sola forza delle mie mani.

Lo guardo a lungo, guardo quella ferita che non è ferita, ma è morte, è una smagliatura profonda che divide a metà; quello che c’era e quello che adesso non c’è più; un’unione che sapeva di vita, dove ora c’è solo un oggetto distrutto.

Penso di poterlo aggiustarlo davvero.

Che dovrò prendere la colla, quella che tiene attaccato tutto, persino ciò che è irrimediabilmente rotto.

E penso che non ho la colla in casa.

Mi toccherà cambiarmi vestito, mettermi le scarpe, prendere la macchina. Andare al negozio dove vendono stupide cose utili che aggiustano stupide cose rotte. Pagare. Spendere soldi. Tornare a casa. Incollare. Notare nella mia piena consapevolezza che l’oggetto che prima era un oggetto bello, adesso è un oggetto che si è rotto.

Li vedi gli oggetti rotti. Li vedi da lontano. Li vedi perché mantengono quell’anima distrutta di chi era morto ed è stato resuscitato. Sono più brutti, più tristi, più cupi, gli oggetti rotti; anche se sono stati riparati mantengono l’anima di chi una volta era intero ed adesso è a metà.

E mentre penso a tutto questo – il vestito, le scarpe, la macchina, il negozio, i soldi, la consapevolezza – capisco che nella vita bisogna accettare. Che il nostro più grande potere è lasciare andare.

Eri un bell’oggetto e ti ho amato. Adesso sei rotto e non ti amo più. E per questo ti butterò.

Sono una cattiva persona per questo? Indubbiamente sì.

Vorrei lottare per te? Certo.

Lotterò per te? No.

Il problema è che resterai comunque a casa mia, anche se rotto. E io dovrò guardarti ogni giorno. Ogni singolo giorno io scenderò le scale e ti guarderò e l’unica cosa che vedrò sarà un oggetto rotto che non ho avuto il coraggio di buttare.

Sopraggiungerà un senso di fastidio, piangerò e il mio umore cambierà. Diventerò triste e i miei occhi si faranno scuri, perché non sono stata in grado di proteggere un oggetto che amavo da una fine misera, su un pavimento, immobile. E non solo non ti ho salvato, ma non ho avuto nemmeno il coraggio di dirti addio. Un addio dignitoso di quelli che ci si saluta perbene, ci si bacia e ci si lascia andare. Di quelli che ci abbracciamo per un po’ e poi ci sorridiamo, dicendoci solo Ciao. La porta si apre – o la spazzatura si apre – e il tutto diventa ricordo.

Come con gli uomini, come con gli amori, le cose rotte sono rotte per sempre, che siano oggetti, cuori, promesse.

Ci hanno detto che l’amore è un lavoro. Che ha bisogno di impegno. Di fatica. Di determinazione. Di tutto ciò che è contro l’amore. Perché sacrificio non fa rima con amore. Delusione non fa rima con amore. Tristezza non fa rima con amore.

E allora dovremmo prendere tutto ciò che si è rotto e imparare a buttarlo, o al limite accompagnarlo alla porta, fargli vedere l’uscita, sorridere e richiudere la porta alle sue spalle. Magari mettere all’ingresso un paio di enormi cani da guardia che si accertino che non ritorni, non si sa mai.

Si sta fino a quando si è interi perché non c’è una sola buona ragione per prolungare la sofferenza. Siamo esseri umani portati per natura alla felicità, dove sta scritto che felicità faccia rima con agonia prolungata? Si sta, fino a quando le crepe non sono così profonde da rompersi e spezzare un’anima in due, fino a quando le crepe abbelliscono, fino a quando nonostante le crepe, si sta insieme.

Le crepe sono un nonostante tutto.

Si sta nonostante tutto.

E quando le crepe diventano più profonde, quando le senti scricchiolare sotto le dita, sai che si sta avvicinando la fine. Che basta una presa più salda – o più stronza – e tutto si spaccherà a metà.

E allora lasciamo perdere la colla che con il tempo si secca, lo scotch che con il tempo si stacca, gli elastici che con il tempo si rammolliscono, lasciamo perdere tutto che tutto è destinato a ricordarci ancora e ancora e ancora, quanto schifo faccia qualcosa di rotto.

Che sia un oggetto, un cuore o una promessa.

Abbiamo sempre questo bisogno spasmodico di rendere il presente, eterno. Ce l’hanno inculcato da bambine, quando E vissero felici e contenti, sembrava un sogno ed invece era una condanna a morte.

Vissero per sempre.

Felici.

E contenti.

Poche parole che hanno mantenuto intatta per anni, l’illusione di rendere perenne ogni cosa.

Di voler rendere sopportabile l’insopportabile.

Di voler trasformare la muffa in piatto prelibato. La muffa è muffa. Posso dispiacermi di non essere riuscita a mangiare qualcosa, posso dispiacermi di buttare il cibo, però non mangerò la muffa per alleviare il mio senso di colpa. Butterò. Pazienza. La prossima volta farò meglio. Scusatemi tutti.

Niente è perenne, e spesso il nostro amico più fidato è un punto alla fine della frase, con la consapevolezza che le virgole uccidono, non i punti.

La muffa è muffa, fine della storia.

Mal che vada ci innamoriamo Garzanti Maryg Baccaglini

L’AUTRICE – Maryg Baccaglini è una blogger e conduttrice radiofonica per Radio Padova. Di lei dice che è una sognatrice, un’eterna disordinata, amante del vino e delle buone maniere e ottimista, con qualche riserva. Si è fatta notare sul web con la sua pagina facebook, Confessioni di una mente cinica, isterica e romantica, dove dispensa, o almeno ci prova, consigli sulle relazioni con (auto)ironia. Il 20 settembre esce per Garzanti il suo primo libro, Mal che vada ci innamoriamo. La protagonista, Allegra, è convinta di sapere tutto sull’amore, che per lei è solo una delle tante cose che possono succedere nella vita. Forse per questo riesce ad avere la giusta lucidità per rispondere alle lettere che le donne le scrivono sulla sua rubrica le “Storie possibili”. Ma tanto Allegra è brava a dispensare verità sull’amore, tanto è negata con sé stessa. Il suo cuore è lì, messo al sicuro in una botte di ferro. Fino a quando il giornale per cui lavora la licenzia e Allegra si ritrova a trent’anni disoccupata e a condividere un monolocale. Il futuro le sembra oscuro. Eppure le sue amiche sanno qual è la soluzione: è arrivato il momento di fare la sua lista dell’uomo perfetto e cercare anche per lei l’anima gemella, mettendo da parte la carriera…

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