Considerando l’orto come una terra di significati e non come una terra di fatti, si può godere non solo dei suoi frutti materiali ma anche di quelli, altrettanto ricchi, spirituali… Vi proponiamo 7 brevi passaggi dal saggio “L’arte di coltivare l’orto e sé stessi”

Adriana Bonavia Giorgetti, in L’arte di coltivare l’orto e sé stessi (in libreria per Ponte alle Grazie), ricostruisce le sue esperienze di orticultore inesperto e cerca di tradurre per il lettore la ricchezza che il rapporto diretto con la Terra e la Natura produce in chi le coltiva e se ne prende cura. La scoperta è che considerando l’orto come una terra di significati e non come una terra di fatti, si può godere non solo dei suoi frutti materiali ma anche di quelli, altrettanto ricchi, spirituali: la cura, la generosità, la fatica, l’attesa, l’ascolto, la protezione. L’orto cura chi si prende cura di lui.

OrtoPonte
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Su ilLibraio.it 7 brevi passaggi dal libro
(per gentile concessione di Ponte alle Grazie)

Coltivare
Questo pezzetto di terra, per esempio, oggi un po’ trascurato, sembra aver bisogno di me, sembra chiamarmi. «Le cose sono delle tacite richieste» scriveva Sartre. So bene che quando ho creduto di darmi da fare per aiutare qualcuno – un parente malato, un amico in difficoltà – ne ho ricevuto tanto che la beneficiata alla fine sono stata io. Quest’orto bisognoso avrà da insegnarmi qualcosa? Non sarà che, coltivando lui, io apprenda l’arte di coltivare me?

Progettare un orto
Disegnare un orto, o un giardino, non è una questione di ragionamento: bisogna sognarlo. Non necessariamente nel sonno, per quanto anche questo aiuti, ma muovendocisi dentro, lasciando affiorare ricordi di coltivazioni di uguale o diversa natura, facendo emergere aspirazioni inespresse, accogliendo le suggestioni del luogo, del sentimento, della cultura.

Gli atti del coltivare
Quando contemplo la bellezza lucente di una buccia di melanzana, la grazia della pianta di cedrina, lo slancio delle foglie del porro, la sfericità di un raggiante fiore di cipolla, non vivo un’esperienza estetica? Quando metto il sostegno a una pianta di cetrioli, quando sotto una nevicata esco a raddrizzare il riparo delle officinali, non rispondo a un sentimento di protezione? Quando mi sorprendo colma di meraviglia e di reverenza davanti al candore di una brinata mattutina sugli spinaci non provo un sentimento religioso?

Seminare
«Se il seme non cade a terra e non muore – ammonisce il Vangelo – non porta frutto». Portare frutto è la sua risposta, la sua promessa da mantenere. Non diversamente la mia, umana.

La Vita
Dal primo colpo di vanga sono passate tre, forse quattro settimane. L’orto è pieno di vita. Lo guardo come si guarda l’opera compiuta ben sapendo che non lo è, che altre semine, altri trapianti e cure dovranno seguire, perché l’orto vive e come tale diviene.

La cura
Avere cura di un orto è un modo di amare e curare la Vita. Questo vuol dire badare che alle piante non manchino nutrimento e acqua, proteggerle quando è necessario, diradarle, rincalzarle, sostenere quelle che ne hanno bisogno, cimarle se occorre, liberare il loro spazio dalle infestanti.

Ascolto
Ascolto la pianta e le sue esigenze. Ascolto il bruco che si sta deliziando delle sue foglie e, scusandomene, lo passo alle anitre. Sento la preziosità dell’acqua e ne faccio buon uso. Chiedo all’aiuola se ha bisogno che venga a sarchiarla. Guardo le nuvole e le interrogo su ciò che mi porteranno – pioggia leggera, temporali o grandine. Ascolto l’orto nella sua interezza.

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