Tende a correggere i refusi. Non legge solo gialli, ma ne legge tanti e li ricorda tutti. Sa che la vita è diversa dai libri, e dai libri gialli in particolare. E… Su IlLibraio.it scrittore Hans Tuzzi prova a descrivere le caratteristiche del “perfetto lettore di gialli” (con la consapevolezza che il “lettore perfetto” non esiste…)

Cinquant’anni fa due sociologi cercarono inutilmente italiani che leggessero soltanto La Domenica del Corriere. Lettori così, non esistevano. E io spero che non esistano lettori che leggono esclusivamente libri gialli. Il piacere di leggere non deve darsi confini. Tantomeno, confini di genere.

Possiamo perciò enunciare una prima regola: il perfetto lettore di gialli è un lettore transgender. Mi si potrà obiettare che la perfezione non è di questo mondo. Ma, se il lettore perfetto non esiste, esiste quantomeno il lettore ideale. In questa sede mi riservo il diritto, pertanto, di oscillare fra l’identikit del perfetto lettore e quello del lettore ideale.

Primo grande discrimine fra lettori: chi annota il testo (i famosi marginalia che nei libri antichi testimoniano i passaggi di mano, sovente illustri) e chi no.

Perché si annotano i testi? Il riconosciuto padre di ogni giallista, Edgar Allan Poe, vi dedicò uno scritto – Marginalia, appunto – nel quale afferma: “Le annotazioni poste in margine della pagina, scritte con spirito diverso da quello del taccuino, hanno un carattere preciso – e non soltanto un fine preciso: infatti non ne hanno alcuno ed è proprio ciò a conferire loro un particolare significato […] i marginalia sono scritti appositamente a matita, perché la mente dello scrittore desidera liberarsi di un pensiero; per quanto superficiale, per quanto sciocco, per quanto scontato possa essere è pur sempre un pensiero […] Nei marginalia, inoltre, ci rivolgiamo soltanto a noi stessi; parliamo quindi con spontaneità, originalità, coraggio […] Lo spazio limitato di questi scritti a matita presenta inoltre piu vantaggi che inconvenienti. Ci obbliga […] ad avvicinarci a Montesquieu, a Tacito”.

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L’ideale lettore di gialli avrà notato che il traduttore fa dire giustamente a Poe “la mente dello scrittore” non “dello scrivente”: l’inventore di Dupin dà per scontato che chi annota i libri che legge è, quantomeno in potenza, scrittore.

Quattro sono i tipi di annotatori identificati da Virginia Woolf: il Colonnello, che quasi con rabbia “violenta” i margini; l’Ecclesiastico, che si limita a segnalare i passi paralleli; la Lady sentimentale, che abbozza versi a lato di poesie malinconiche; e il Pedante, che gode a correggere gli errori di stampa.

L’ideale lettore di gialli corregge i refusi (chissà perché, sempre numerosi nelle edizioni pulp, e ormai non solo in quelle) ma individua altresì non soltanto i “passi paralleli”, bensì anche tutte le citazioni e gli ammicchi che tanti giallisti disseminano e celano nelle loro pagine. Anche quelli che l’autore ha inserito inconsapevolmente. Perché, si sa, un buon libro va sempre al di là del suo autore.

Il perfetto lettore di gialli ha in testa una bibliografia ragionata e completa, ed è rapido nell’attivare la ricerca. Sicché, a dimostrazione che non sempre, nelle regole del giallo, è necessario conservare il mistero sull’identità del colpevole, il lettore perfetto non citerà, come ho fatto io in questo stesso sito, il tenente Colombo televisivo, ma dirà che già Richard Austin Freeman, un grande della scuola “classica” e del metodo analitico, in The singing bone (1912) aveva inventato la inverted story.

Perché il perfetto lettore di gialli non legge solo gialli, ma ne legge tanti e li ricorda tutti.  E sa, con Rober Sabatier, che “in un cattivo romanzo poliziesco il colpevole è l’autore.”

L’ideale lettore di gialli sa che la vita è diversa dai libri, e dai libri gialli in particolare, e per dimostrarlo può citare la pagina di  Books, Libraries, and Murder – brillante saggio di Murray S. Martin edito nel 1993 – dove Martin rivela che il suo interesse per il tema venne rafforzato dal delitto commesso anni prima, nel Giorno del Ringraziamento, alla Pattee Library della Pennsylvania State University, quando egli ne era bibliotecario. A me, confesso, l’interesse libresco sarebbe scemato proprio per la medesima considerazione amara che a Martin fa rilevare: “a differenza di quanto avviene nei libri qui menzionati, il caso non fu mai risolto. Come molti drammi reali della vita, non se ne venne mai a capo, benché il delitto fosse stato commesso in un settore della biblioteca strettamente sorvegliato”.

Già. I crimini della vita reale non assomigliano a un romanzo giallo. E l’ideale lettore di gialli sa che la vita, proprio come la letteratura, non è una sciarada. Del resto, chi mai rileggerebbe una sciarada?

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