“La pista di ghiaccio”, il romanzo d’esordio di Roberto Bolaño, scomparso nel 2003, è un racconto che destruttura il genere noir, eliminandone i passi-chiave del canone e mettendo in secondo piano la risoluzione del caso, per parlarci di solitudine e di umanità…

Il cileno Roberto Bolaño, scomparso nel 2003, ha saputo dare vita a una produzione prolifica che, nel tempo, l’ha consacrato come uno dei nomi più importanti della letteratura contemporanea. Dopo aver rinnovato la poesia messicana con il movimento d’avanguardia infrarealista, l’autore esordisce nella narrativa solo nel 1993.

Ed è proprio La pista di ghiaccio il suo primo romanzo, pubblicato quell’anno in Spagna solo in poche decine di copie. In Italia, viene all’epoca proposto da Sellerio, e oggi ritorna in libreria grazie ad Adelphi nella traduzione di Ilide Carmignani.

La pista di ghiaccio di Roberto Bolaño

Per essere una prima prova, La pista di ghiaccio già mostra uno sguardo letterario consolidato e dominato da un estro visionario subito riconoscibile e straniante. Un racconto che destruttura il genere noir, eliminandone i passi-chiave del canone e mettendo in secondo piano la risoluzione del caso, per parlarci di solitudine e di umanità.

Lo sfondo? Una città spagnola che risponde al nome di Z, dove le voci di tre personaggi maschili (e, quindi, tre punti di vista) si intrecciano a ricostruire storie di amori e delitti, che ruotano attorno a Nuria Martì, un’affascinante campionessa di pattinaggio sul ghiaccio. Oggetto del desiderio di molti, la donna, dopo essere stata cacciata dalla sua squadra, riceve in regalo persino la pista di ghiaccio del titolo, costruita con fondi pubblici. Quella stessa pista diventerà scena del crimine.

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Parlare del libro dà origine a espressioni come “romanzo cubista“, e non a torto: se c’è una cosa che è affascinante del romanzo è proprio questo continuo intreccio di sguardi e punti di vista che, occhieggiando a Rashomon di Akira Kurosawa, anticipa la struttura di tanto cinema postmoderno e serial televisivi di successo. Tre voci, quelle dei protagonisti, inizialmente omogenee e poco distinguibili ma che, pian piano, si differenziano proprio per la percezione di ciò che si è visto e si è sentito.

La sensazione di calma piatta dell’incipit (per quanto, ironicamente, la parola “omicidio” sia dichiarata sin da subito) si deflagra non appena si colgono fraintendimenti, punti che non entrano in contatto, sospetti travisati, indizi falsi e piste fuorvianti in una narrazione che stordisce con eleganza.

A dominare La pista di ghiaccio sono le passioni, che siano di matrice romantica o no, in un clima dove si estende la freddezza e ci si lascia pervadere dalla propria fragilità. E, in questo senso, la pista diventa simbolo di una società incapace di gestire rapporti e affetti, a prescindere dallo status a cui si appartiene. Il libro che la evoca, invece, è uno sguardo lucido su coloro che il proprio posto nel mondo non l’hanno ancora trovato.

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