Dopo il successo di “Eppure cadiamo felici” e “Tutta la vita che vuoi”, l’insegnante e scrittore Enrico Galiano torna con “Più forte di ogni addio”, un romanzo che mostra perché ogni momento è importante (soprattutto quello in cui dire alle persone che amiamo cosa significano per noi) – Su ilLibraio.it un capitolo

Enrico Galiano sa come parlare ai ragazzi. In classe come sui social, dove è molto seguito. Insegnante e scrittore classe ’77, Galiano (che è anche un collaboratore de ilLibraio.it), dopo il successo di Eppure cadiamo felici e Tutta la vita che vuoi, torna in libreria, sempre per Garzanti, con Più forte di ogni addio, un romanzo che mostra perché ogni momento è importante. Soprattutto quello in cui dire alle persone che amiamo cosa significano per noi.

Non solo. È importante dire quello che si prova e dirlo al momento giusto. Questo è quello che stanno per scoprire Michele e Nina che si incontrano, per caso, sul treno che li porta a scuola nel loro ultimo anno di liceo.
Nina ha imparato che i soffi della vita possono essere troppo forti per un’orchidea delicata come lei. Per proteggersi porta sempre al collo la collanina che le ha regalato suo padre, perché quando la tiene tra le dita si sente più forte di tutto.
Michele è più forte di tutto perché assapora quello che lo circonda in tante forme diverse. I colori, i profumi, le parole per lui sono molto di più di quello che appaiono. Da quando ha perso la vista cinque anni prima vede tutto più in profondità. Quel breve viaggio è quanto basta per conoscersi, ritrovarsi, piacersi. Quanto basta per fare chiacchierate che sembrano non finire mai e per riconoscere nell’altro lo stesso smarrimento, la stessa confusione, le stesse domande senza risposta.
Michele insegna a Nina il valore di ogni piccola cosa e a non smettere di meravigliarsi ogni giorno. Nina insegna a Michele che non bisogna avere rimpianti, bisogna dare quell’abbraccio che a stento tratteniamo e dire quelle parole che solleticano la nostra gola. Eppure proprio lei, quando il destino sta per allontanarli, non riesce a dire quanto Michele sia importante. Entrambi dovranno lottare per quel sentimento così acerbo eppure così grande, e imparare a cogliere quell’istante che fugge via veloce, come la vita, come gli anni, come il futuro…

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Non era solo la timidezza selettiva. Non era neanche il pensiero che da sempre accompagnava ogni mio minimo interesse verso le ragazze e che testualmente recitava: “Seee, certo, occhio che adesso questa freme all’idea che proprio tu fra tutti i ragazzi del mondo ci provi con lei!”.

No. Era qualcosa di diverso stavolta. Era una voce.

Appena appena percettibile ma, ogni volta che ero sul punto di proferirle parola, era lì dentro il mio orecchio destro e bisbigliava: “Occhio!”, oppure: “Pericolo!”, “Sciò!”.

Mi piace chiamarli i miei superpoteri. Averli mi fa sentire come una specie Wolverine e Spiderman messi insieme. Non so se hanno qualcosa a che fare con la cecità, magari no. E in ogni caso il sentirmi un supereroe dura molto poco perché poi magari camminando incespico su una ciabatta e rischio di sfracellarmi al suolo. Non ce lo vedo Spiderman che si sfracella al suolo a causa di una ciabatta, voglio dire.

I superpoteri funzionano così. Prendiamo quel giorno: era il secondo o il terzo da quando l’avevo incontrata. Fuori pioveva. Seduti di fronte, entrambi posto finestrino e, vicino a noi, due tizie che parlavano a voce alta: una fastidiosissima che aveva su di me lo stesso effetto di un’unghia particolarmente affilata su una lavagna, l’altra invece con la voce rauca e baritonale come quella di un cantante blues al risveglio. Due signore come ce ne sono a migliaia: ma, mentre mi rendevo conto che, come sempre, dentro di me vedevo queste due voci di donne e le trasformavo in sensazioni uniche e definite, la ragazza che avevo di fronte, non riuscivo a vederla. Di tutti, bene o male, mi riuscivo a costruire un’immagine interiore, fatta di odore, tatto, suono, aria: persone che dopo pochi istanti per me erano Freddo-Di-Maniglia o Crema- Sui-Baffi, altre che erano Acqua-Frizzante-Gelida o Dentifricio-Alla-Menta. Ognuno è una sensazione, diventa quella

sensazione ai miei occhi.

Nina Florenzi no.

Ecco, forse è proprio per questo che non mi decidevo ad aprire bocca, perso nella contemplazione del suo profumo, dentro quel vagone ogni santo mattino di quel dicembre tutto strambo.

Il fatto era che io non la vedevo.

La matita dentro la mia testa provava a disegnarla e mi sembrava quasi di avere un’idea di lei, ma poi arrivavano quasi subito segnali completamente contrastanti che mi ci facevano scarabocchiare sopra e buttare via il foglio.

Me lo ricordo quel mattino perché appoggiai la mano sul finestrino, verso di lei, convinto di poterla in qualche modo sentire di più, avvicinando i miei polpastrelli di qualche centimetro, come fossero antenne, che ne so, mentre le punte delle dita avvertivano il freddo del vetro e al tempo stesso cercavano sue notizie, fotografie tattili, parole precise, qualcosa per decifrarla.

Ma niente. Niente di definito.

Le percezioni arrivavano, eccome se arrivavano: dal tipo di vestiti che metteva (giubbotto imbottito ma non pesante, di solito jeans, sempre scarpe da ginnastica ma profumate di fresco, quindi abbastanza nuove, sempre le stesse), dallo shampoo che usava (alle mandorle) al dentifricio (unica rimasta credo in tutto l’emisfero settentrionale, ne usava uno alla fragola, chissà perché). Insomma arrivava tutto, come sempre, ma erano pezzi slegati tra di loro: avevo di fronte qualcuno che non si lasciava comprendere, o almeno non così facilmente, e questo ovviamente scardinava le mie certezze e più le scardinava più mi affascinava, mi incuriosiva, mi faceva venir voglia di tornare il giorno dopo, sedermi e, finalmente, parlarle.

Intendiamoci: non è che i superpoteri ti arrivino così, bum!, il giorno che perdi l’uso della vista. Loro ci sono sempre stati, erano sempre lì: è solo che forse quando non ci puoi più vedere inizi a usarli per davvero. Anzi ti rendi conto di quanto sia più facile vedere le persone, vederle per davvero, se tieni gli occhi chiusi. Solo che non lo facciamo quasi mai. Ci facciamo fregare sempre dalle solite cose, dalle solite apparenze. Crediamo di vedere quello che abbiamo davanti, ma in realtà vediamo solo quello che vogliamo vedere.

(continua in libreria…)

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