Nel suo nuovo libro Edmund de Waal, ceramista di fama mondiale, racconta la sua passione per “l’oro bianco”, cercando di capire come il fascino misterioso della porcellana, la sua fragilità e il suo colore abbiano ossessionato e condizionato per secoli le sorti di uomini, regni e filosofie… – Su ilLibraio.it un capitolo

Edmund de Waal è uno dei più importanti ceramisti al mondo e le sue porcellane sono ospitate nei maggiori musei. Il suo memoir, Un’eredità di avorio e ambra, è stato pubblicato in trenta lingue e ha vinto numerosi premi. Ora arriva in libreria per Bollati Boringhieri La strada bianca – Storia di una passione, libro ispirato da una manciata di candidi detriti raccolta sul monte Kao-Ling, in Cina. L’inizio di un viaggio sulle tracce dell’«oro bianco», per raccontare la storia della porcellana. Qui lo seguiamo da Jingdezhen a Venezia, a Versailles, a Dublino, a Dresda, fino alle colline della Cornovaglia e ai monti Appalachi del South Carolina, mentre racconta la storia di una vera e propria ossessione per «il bianco perfetto».

Lungo la strada incontra i testimoni della creazione della porcellana: tutti quelli che da quel bianco sono stati ispirati, arricchiti o afflitti; e dei tanti che hanno avuto la vita, il corpo e la mente spezzati dall’affanno della ricerca. L’autore percorre un millennio per arrivare ad alcuni dei momenti più tragici della storia contemporanea. Eroi o vittime dell’invenzione e della produzione del prezioso materiale, i personaggi più disparati: dagli imperatori cinesi ai loro schiavi; dall’elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto II al piccolo alchimista da lui imprigionato perché produca quel materiale «semitraslucido e latteo, come i petali di un narciso»; dal farmacista quacchero che esplora le colline della Cornovaglia distratto solo dalla morte della giovane moglie; a Lenin e al suo intervento al Congresso dei lavoratori del vetro e della porcellana: «Questo bianco è una rivoluzione»; a Himmler, che allestisce a Dachau un laboratorio per la fabbricazione di statuine da regalare ai membri del cerchio magico di Hitler.

Su ilLibraio.it il capitolo “Regali, promesse, titoli nobiliari”

Dresda è una Firenze sull’Elba, la più grande città barocca d’Europa, una grande Schatzkammer. È la mia Seconda Città della Porcellana.

La trovo provata dalle piogge che l’hanno da poco colpita, le più abbondanti da un decennio a questa parte. La televisione trasmette ininterrottamente notizie di inondazioni, frastornanti riprese dall’elicottero in cui si vede una campagna marrone livellata dall’acqua. Imbocco il Ponte di Augusto dalla stazione e vedo il fiume color peltro. È straripato. Nell’acqua turbolenta si scorgono appena i lampioni e le tettoie delle fermate degli autobus lungo la riva. Ci sono sacchi di sabbia dappertutto. Ed è giugno.

Ovunque tu ti diriga, a sinistra, destra o dritto, incontri palazzi, chiese, gallerie d’arte, il teatro dell’opera, accademie, parchi, tesori. Il profilo della città è disegnato da cupole, guglie e torri, da urne e statue. Dresda è oro. È movimento su movimento, esagerata, smodata, rifulgente. Insaziabile. Come potrebbe non esserlo?

È la città di Augusto il Forte. Augusto II, per grazia di Dio re di Polonia, Granduca di Lituania, Russia, Prussia, Masovia, Samogitia, Kyiv, Volhynia, Podolia, Podlachia, Livonia, Smolensk, Severia, Czernichow, anche duca ereditario della Sassonia, principe ed elettore, ecc. ecc.

Devo imparare a orientarmi in questa città. Tschirnhaus ha puntato tutto su Augusto, perciò devo familiarizzare con lui, con l’ecc. ecc.

 

 

So dove devo andare innanzitutto.

Superato il ponte giro a destra, oltrepasso il teatro dell’opera, imbocco una ridicola arcata sostenuta da cherubini ed entro allo Zwinger, il complesso di giardini e padiglioni rococò commissionato da Augusto nel 1711, tutto fronzoli e ghirigori. Nell’angolo in fondo a destra c’è il Mathematisch-Physikalischer Salon, il Gabinetto reale degli strumenti matematici e fisici. Queste sale sono il primo museo della scienza pubblico d’Europa, mi dice il curatore americano mentre le sue mani si chiudono e si dispiegano in un complesso moto ondulatorio. Per entrare bastava essere ben vestiti e pagare il biglietto d’ingresso.

dresda

Incisione con una veduta di Dresda, 1721.

Dabbasso c’è un lungo salone nel quale il mondo viene valutato, misurato e registrato, un odometro per i viaggi di un elettore nel proprio regno, strumenti per misurare le distanze nelle miniere, bilance cerimoniali,

un orologio che descrive i cieli e il moto dei pianeti, un globo celeste tutto coperto d’oro che si muove di minuto in minuto; Mercurio impiega trentadue anni a completare il suo percorso.

Al piano di sopra trovo uno degli specchi ustori di Tschirnhaus.

Mi ci piazzo davanti. È uno specchio curvo del diametro di un metro e venti circa, ricoperto da una lamina di rame e montato su una impeccabile struttura in legno che gli permette di inclinarsi e ruotare per meglio ricevere il sole della Sassonia. La superficie presenta bolle e graffi minuscoli ma profondi, dovuti ai frammenti di qualcosa che dovette esplodere durante un esperimento.

Se mi avvicino il mio riflesso cambia e si distorce. Ma certo. Non mi aspettavo invece che cambiassero anche i suoni. La mia voce diventa via via più nitida, forte e profonda, mentre dico al curatore che è bellissimo.

specchio

Specchio ustorio di Tschirnhaus realizzato nel 1686, foto del 1926.

Ci sono anche lenti in queste gallerie. La loro stranezza mi coglie di sorpresa. Sono un mondo a parte, un mondo in cui esisti trasformato, riflesso, distorto. Esistono al mondo solo poche cose – una goccia di rugiada su una foglia, il menisco in un bicchiere d’acqua – che ti fanno vedere cos’è una parabola.

Le guardo, guardo dentro, attraverso queste lenti, e penso al momento che Lewis Carrol descrive in Attraverso lo specchio, quando il mondo si rilassa e i materiali si ammorbidiscono: «Facciamo finta che il vetro sia morbido come un velo e che possiamo passare dall’altra parte. Ecco, guarda, sta diventando una specie di nebbiolina. Perbacco! Adesso sì che sarà facile attraversarlo! E veramente il vetro si stava sciogliendo, proprio come una nebbiolina lucente e argentata».

Dresda mi mette un po’ d’ansia, per me e per Tschirnhaus. Non sai che avventure ti possono capitare, al di là dello specchio.

 

 

Questa è la città di Augusto. Il 27 aprile 1694, in seguito all’improvvisa morte del fratello maggiore, Augusto è diventato elettore di Sassonia.

Ha trascorso gran parte degli anni precedenti viaggiando per l’Europa, visitando corti e spendendo denari. Un’attività che lo ha preparato. Si intende di sfarzo, di abiti, di donne, di ambizione. Tre anni dopo è anche diventato re Augusto II di Polonia, titolo ottenuto con il più semplice dei gesti, abbandonando alla frontiera la religione protestante dei suoi avi e convertendosi al cattolicesimo, così da poter distribuire ingenti somme di denaro e farsi eleggere al trono polacco. La cosa non è piaciuta molto in Sassonia, che è luterana, e ancora meno alla moglie che crede davvero alle proprie sobrie preghiere.

«Il re potrebbe benissimo essere un nuovo Alcibiade, famoso tanto per le sue virtù quanto per i suoi vizi» scrive un frequentatore della corte. «È nobile, pieno di generosità ed eroico coraggio… Invidia la fama altrui. L’ambizione e la brama di piaceri sono i suoi tratti principali, ma è la seconda a prevalere».

I suoi appetiti e le sue forze sono inesauribili. Piega ferri di cavallo, cavalca per ore, solleva sbarre di ferro, affronta gli alci nelle grandi foreste della Bialowieza, in Lituania, dove vivono lupi, orsi e linci, bisonti «così possenti che tra le loro corna possono stare seduti tre uomini», capaci, quando si sentono in trappola, di assalti feroci. A corte si pratica il Fuchsprellen, il lancio della volpe. Una volpe, un tasso, un gatto selvatico viene liberato in un cortile chiuso dove le coppie di giocatori reggono ciascuna una rete che al momento opportuno fa da vera e propria “fionda”. L’animale, spaventato, comincia a correre per l’arena: quando passa su una delle reti, le sue estremità devono essere tirate con forza, in modo che la povera bestia venga scaraventata il più in alto possibile. Augusto regge il suo capo della rete con un dito, disinvoltamente, mentre dall’altra parte stanno due forzuti cortigiani. A volte gli uomini si vestono da satiri e le donne da ninfe.

Si dice che Augusto abbia due mogli, essendo re di due regni. Oltre ad amanti ufficiali che diventano contesse quando si è stancato di loro e al fitto programma di scappatelle con serve, piccole aristocratiche, attrici, ragazze che lo hanno colpito, con la sorella di questo e di quest’altro, addirittura, forse, anche con le figlie delle proprie donne.

La chiamano galanteria.

Lui è August der Starke, il Forte, e ha droit de seigneur sulla propria corte, sulla città e sui principati. Il numero di figli illegittimi è stratosferico. Leggo La Saxe galante, La Sassonia galante; sottotitolo: Le avventure amorose e le tresche di Federico Augusto II, defunto re di Polonia, elettore di Sassonia ecc. ecc. Con diversi episodi della sua vita non contenuti in nessun’altra biografia. Insieme a divertenti notiziole sulle signore dei vari paesi in cui egli viaggiò. Un bestseller in tutta Europa negli anni trenta del Settecento.

È davvero agghiacciante, come il sottotitolo promette.

Augusto, secondo Thomas Carlyle, è un «uomo del peccato».

 

 

Augusto sta ricostruendo la città.

Accanto alla galanteria, il suo più grande piacere è l’architettura, militare e civile, e sulla sua conoscenza di quest’arte non può esservi divergenza di opinione. E questo pur non avendo mai portato a compimento alcun progetto, poiché il suo debole per il plauso unanime lo induce ad apportare tali e tante modifiche nei progetti che a dispetto dei molti e diversi cominciamenti nulla viene mai concluso.

Quando non sta combattendo gli svedesi su una pianura polacca, l’attenzione di Augusto è tutta rivolta su Dresda. La città è un campo di battaglia di scalpellini e carrettieri, una rissa di macerie. L’Elba è soffocata da chiatte cariche di legname che ne discendono il corso per andare a ormeggiarsi nei pressi del ponte. Le strade sono chiuse perché il re ha demolito e continua a demolire il proprio patrimonio. C’è stato un incendio, che ha aperto nuove opportunità, ma stavolta le intenzioni sono serie. Dresda sarà una nuova Firenze, promette il sovrano alla sua amante Maria Aurora Spiegel, ma è inverno e il fango è profondo e sono in arrivo due stagioni di polvere. Una nuova amante, Anna Constanze, e poi di nuovo fango. Lui questa la ama. Anna ha bisogno di un palazzo come regalo e lo otterrà.

Ci sono regali, promesse, titoli nobiliari, il sole ti sorride, il re si ricorda dei tuoi onomastici e dei tuoi compleanni, ricevi un dono a Natale e uno a Capodanno. L’arrivo di una delegazione di ambasciatori, la stipula di un trattato, un matrimonio sono tutte occasioni per regalare qualcosa, un gioiello, pietre preziose dei giacimenti sassoni, argento locale, vino tokaj, cani, cavalli e cammelli ricevuti da altri sovrani e che Augusto ricicla. Questi momenti sono il termometro della tua condizione. Chi lo sapeva che avevi bisogno di una spilla di smeraldi per il cappello prima di vedere il conte Seifersdorf indossarne una mentre si inchina davanti al re nel corso di un ricevimento?

È questo il problema alla corte di Augusto, come a Versailles, come a Pechino. Devi avere fede, credere ciecamente che il sole sorgerà e ti illuminerà. Non puoi essere agnostico in un posto simile. Tutta la tua alacrità discende dalla speranza. Perché il favore lo puoi perdere e finire dimenticato. C’è una ridda di voci intorno a Costantini, il comico veronese che dopo i successi parigini con la Troupe Italienne è arrivato a Dresda conquistandosi l’apprezzamento di Augusto e ricevendo l’incarico di allestire spettacoli per lui, ma che passerà venti anni rinchiuso nel castello di Königsberg per un’imprudenza, probabilmente un’avance verso la favorita del re. Si pensa a lui e lo si libera solo quando Augusto ha bisogno di intrattenimento.

Il barone von Pöllnitz ricorda la corte di Augusto come un susseguirsi di «rappresentazioni teatrali, balli e mascherate, banchetti, quintane, corse con i cani da slitta, tornei e battute di caccia… rappresentazioni e mascherate erano gratuite per chiunque fosse ben vestito». Dalla quantità di passatempi che il barone continua a elencare, la corte sembra un’enorme nave da crociera, i cortigiani passeggeri impossibilitati a scendere.

(continua in libreria…)

 

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