“Non siamo mai, al termine della lettura di un romanzo che amiamo, le stesse persone che lo hanno cominciato. E se queste storie sono legate in qualche modo alla ‘realtà’, il cambiamento che avviene dentro di noi avrà ripercussioni anche su di essa”. Giuseppe Catozzella, tornato in libreria con “Il grande futuro”, su ilLibraio.it parla del “potere” della scrittura letteraria: “Le storie cambiano il mondo…”

Che la letteratura avesse un potere enorme su di me lo so da quando ho iniziato a passare del tempo con un romanzo tra le mani e gli occhi tra le righe. Ciò che leggevo m’ipnotizzava, mi portava in un luogo senza tempo e in un tempo senza confini, mi trasportava in un mondo meraviglioso perché solo mio e allo stesso tempo – in un modo misterioso – di tutti: condiviso. Le storie, ho saputo fin da piccolo, hanno il potere del virus: quando sono forti non c’è modo di tenerle per sé, bisogna passarle agli altri, contagiarli. Le storie, quando sono potenti, nascono già con una natura pubblica. È come, sentivo da bambino, se non fossimo noi a portare le storie in giro raccontandole agli altri, ma fossero loro, le storie, a portare in giro noi, a farci essere quello che siamo dentro una comunità di amici, fratelli, confidenti, genitori, in cui ci riconosciamo proprio perché sono le comunità in cui ci scambiamo le storie. Non noi a raccontare loro. Ma loro, le storie, a farci diventare quello che siamo, immersi nella comunità in cui ci riconosciamo, dopo averle raccontate. Scopriamo di essere legati a una persona quando c’è un segreto condiviso, una storia che ci lega.

Molti anni dopo, da autore, ne ho avuta la conferma: ho vissuto sulla mia pelle il potere delle storie, ho sentito nel mio cuore e visto coi miei occhi ciò di cui può essere capace un romanzo. È stato soltanto da autore che ho ricordato quell’intuizione privata dell’infanzia: l’effetto che le storie facevano su di me era lo stesso che le mie storie facevano sugli altri. Un mio libro ha mobilitato l’ONU, il Parlamento Europeo, ha fatto muovere le gambe a migliaia di persone in tutto il mondo, ha smontato il pregiudizio sui migranti, è stato adottato come testo di formazione nelle scuole. Le storie, ho saputo ora in maniera oggettiva, hanno il maggiore dei poteri: le storie cambiano il mondo. E lo fanno nella maniera più forte e al contempo nella più intima, lo fanno in modo silenzioso, depositandosi nel luogo più profondo e protetto della nostra anima e da lì, lentamente, cambiandoci, per sempre.

Non siamo mai, al termine della lettura di un romanzo che amiamo, le stesse persone che lo hanno cominciato. E se queste storie sono legate in qualche modo alla “realtà”, il cambiamento che avviene dentro di noi avrà ripercussioni anche sulla realtà, perché quello è il regno verso cui – anche – sono rivolte. Ciò che intendo è che cambieranno, anche in maniera impercettibile ma moltiplicata per tutti i lettori, le azioni di chi legge.

Pensiamo a capolavori quali i libri di Primo Levi. Senza questi libri, in cui la potenza della letteratura fa esplodere la realtà, potremmo ragionevolmente mettere in forse l’esistenza della barbarie tedesca (e italiana) dei lager. Al contrario, vivendo nell’anima del protagonista, sappiamo con la più assoluta certezza che nulla può essere messo in dubbio, e agiamo di conseguenza. Pensiamo ai libri di Kapuscinski, a Ebano per esempio: dopo averlo letto nessuno può dire di non conoscere le dinamiche del colonialismo europeo in Africa e dei suoi lasciti. O a un libro recente della stessa portata di consapevolezza: Congo di David Van Reybrouck. Nessuno può dire di non sapere del genocidio perpetrato da Leopoldo II, otto milioni di vite trucidate. Cambia così la concezione dell’operato degli stati occidentali verso le colonie, apriamo gli occhi, comprendiamo le dinamiche del mondo in cui viviamo e ci facciamo abbindolare dalla propaganda delle tv sulle responsabilità odierne degli stati occidentali in Africa o Medioriente con più difficoltà. Questo orienta i voti, e di conseguenza la politica. Pensiamo a un altro grandissimo libro italiano pubblicato subito dopo la Seconda guerra: Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Quel libro (romanzo, ma anche reportage, ma anche saggio, ma anche poesia dell’immagine e del paesaggio) ai tempi ha mosso il governo (Togliatti e De Gasperi) a prendersi finalmente carico del vergognoso stato in cui versavano i Sassi di Matera e i suoi abitanti. Pensiamo ai romanzi di Fenoglio, a quanto abbiano chiarito il ruolo della lotta armata partigiana e quanto illuminino quindi il futuro dei giovani con l’esempio dei nonni o dei bisnonni. O alle opere di Paolo Volponi o di Giovanni Testori e a quanta consapevolezza abbiano aperto e quindi a quanta azione sul mondo operaio dei lavoratori e degli oppressi.

Ho citato i primi libri, i primi autori che mi sono venuti in mente, ma l’elenco potrebbe continuare per pagine.

Non so molto del mondo che mi circonda ma di una cosa sono certo: il potere della letteratura che si misura con il racconto del reale, il potere delle storie è immenso. La Storia, quella con la “s” grande, quella che passa dentro i libri di scuola (raccontata ovviamente sempre e soltanto come una storia – con la “s” piccola) si muove e si è sempre mossa soltanto attraverso le storie potenti che come virus non riusciamo a tenere per noi. Così sono cadute dittature, sono nate le democrazie, si sono organizzate lotte, sono stati rimossi dirigenti inetti e incapaci di ogni tipo.

So che ho la responsabilità e il privilegio di avere a che fare con le storie scritte, e ogni volta che sono alle prese con un nuovo libro mi sorprendo io stesso del potere totale che hanno su di me: non sono io a scrivere loro, sono loro a servirsi delle mie dita che battono su una tastiera per scrivere se stesse attraverso di me.

Giuseppe Catozzella Il grande futuro

L’AUTORE E IL SUO ULTIMO LIBRO – Dopo Non dirmi che hai paura (Feltrinelli, 2014; vincitore del premio Strega Giovani 2014; finalista al premio Strega 2014; vincitore del premio Carlo Levi 2015), da cui è in lavorazione un film, Giuseppe Catozzella è tornato in libreria, sempre per Feltrinelli, con Il grande futuro.

Il libro racconta la storia di Amal, che nasce su un’isola in cui è guerra tra Esercito Regolare e Neri, soldati che in una mano impugnano il fucile e nell’altra il libro sacro. Amal è l’ultimo, servo figlio di servi pescatori e migliore amico di Ahmed, figlio del signore del villaggio. Da piccolo, una mina lo sventra in petto e ora Amal, che in arabo significa “speranza”, porta un cuore non suo. Amal e Ahmed si promettono imperitura amicizia, si perdono con i loro sogni in mezzo al mare, fanno progetti e dividono le attenzioni della affezionata Karima. Vivono un’atmosfera sospesa, quasi fiabesca, che si rompe quando le tensioni che pesano sul villaggio dividono le loro strade. In questo nuovo clima di conflitti e di morte anche Hassim, il padre di Amal, lascia il villaggio, portando con sé un segreto inconfessabile. Rimasto solo, Amal chiede ancora una volta il conforto e la saggezza del mare e il mare gli dice che deve raggiungere l’imam della Grande Moschea del Deserto, riempire il vuoto con un’educazione religiosa. Amal diventa preghiera, puro Islam, e resiste alla pressione dei reclutamenti. Resiste finché un’ombra misteriosa e derelitta riapre in lui una ferita profonda che lo strappa all’isolamento. Allora si lascia arruolare: la religione si colma di azione. L’educazione militare lo fa guerriero, lo fa uomo. Lo prepara a trovare una sposa per generare un figlio. Ma è proprio questo l’unico destino consentito?

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