Intervista a Ferdinand von Schirach autore di Il caso Collini ISBN:9788830433298

Ferdinand von Schirach è pallido e di sé parla come di un vecchio (“Ho iniziato a scrivere tardi”). Ha 48 anni, ma gli occhi azzurri ancora del bambino che a due anni vide il nonno, Baldur, governatore di Vienna e poi organizzatore della deportazione degli ebrei viennesi, condannato a Norimberga e appena uscito di prigione dopo vent’anni. Baldur morirà poco dopo; Ferdinand, lo scrittore, ha ricordi vaghi. A dodici anni, dopo aver visto su un libro di storia la fotografia del nonno, leader della gioventù hitleriana, decide di capire chi era davvero. Glielo chiediamo anche noi, perché la vicenda è fondamentale per il suo nuovo romanzo, Il caso Collini.

D. Soltanto, adesso, con questo libro lei chiude i conti con il peso del passato che si è portato dentro e con la sua famiglia.

R. Ci ho messo vent’anni. Uno è quello che è. Oggi le nuove generazioni si interrogano: dimenticare o ricordare? La colpa è ciò di cui si può accusare una persona a livello personale. La colpa è tua personale, non dei tuoi genitori. La responsabilità è nostra, ma non possiamo prenderci le colpe del passato.

D. La scena iniziale del romanzo è una sequenza cinematografica, secca, cruda, violentissima: un italiano, Fabrizio Collini, un uomo gigantesco che puzza di sudore, dopo una vita tranquilla e interamente dedicata al lavoro in fabbrica, una mattina, nella suite di un albergo a Berlino, uccide a colpi di pistola un vecchio ottantenne e prende a calci la sua testa. Poi si siede, aspetta inerme di essere arrestato, ma non parla. Viene nominato suo difensore un giovane avvocato, Caspar Leinen, il quale, indagando, scopre che la vittima era il nonno di un suo amico ai tempi del liceo. Da qui si srotola una vicenda che porta alla scoperta della verità: la vendetta su un criminale nazista, che la legge Dreher, ratificata nel 1968, ha salvato, mandando in prescrizione tutti i reati commessi da protagonisti e complici del nazismo.

R. È la domanda centrale del Caso Collini: la legge è immodificabile o può essere cambiata con l’evolversi della società?

D. Ma quanto c’è di autobiografico nel romanzo?

R. Nulla di veramente autobiografico. Anche se dentro di noi ci sono dei conflitti, ognuno di noi fa quello per cui è tagliato.

D. Lei ha ben chiarito questo punto citando nell’exergo una frase di Ernest Hemingway: “Tutti dobbiamo essere tagliati per quello che facciamo”. Ha scelto non a caso di essere avvocato, anche se dichiara che oggi forse non farebbe il penalista.

R. La mia generazione era più conservatrice rispetto alle giovani generazioni di oggi.

D. Il suo protagonista è realmente esistito, ma come sempre lo scrittore trasfigura fatti reali, spesso personaggi ed episodi di cui si occupa in veste di avvocato. È successo così anche nel precedente libro: schegge di orrore quotidiano dove ogni protagonista, sotto l’analisi accurata di chi narra, si umanizza, rivela motivazioni al delitto quasi comprensibili, tutte spiegabili, anche se non giustificabili. In sostanza il lettore riesce a capire i meccanismi che hanno portato a commettere un atroce delitto attraverso gli occhi dell’avvocato difensore. Succede anche in questo romanzo, dove Caspar Leinen tiene un corpo a corpo con un uomo, l’assassino, che non vuole essere difeso e di cui progressivamente dovrà arrivare a ricostruire la vicenda sino all’epilogo. Il merito sta tutto della scrittura peculiare di questo tedesco gentile: ogni parola secca come lama d’acciaio, ognuna al posto giusto, senza sbavature e inutili giri, scrittura trasparente e rapida, densissima.

R. Non mi fido degli aggettivi. Noi pensiamo in azioni.

D. Perché un avvocato si è messo a scrivere?

R. Vorrei poter rispondere con qualcosa di misterioso, eclatante. Invece ho iniziato a scrivere durante una notte di insonnia.

D. Che cosa è cambiato nella sua vita?

R. La mia vita professionale e la scrittura, praticata nel tempo libero, sono intimamente connesse tra loro. Non è cambiato nulla. Se fossi giovane sarebbe diverso: mi sarei comprato un’auto da corsa? Uno yacht? Invece faccio esattamente la vita che facevo prima. La cosa più bella del successo?

D. Che rapporto ha con l’Italia?

R. Un rapporto intenso. Sono cresciuto a Monaco ma venivamo qui spesso. Firenze è la mia città preferita, ma a Roma ho una cugina. E un’altra vive a Milano. La mia tata mi cantava canzoni napoletane, ammiro la pittura italiana. A Roma si svolge il primo capitolo del nuovo libro che sto scrivendo.

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