Intervista a Natasha Illum Berg autrice di Fiumi di terra rossa ISBN:8878188662

“Una meta, un sogno, altro non sono che quel puntino all’orizzonte su cui facciamo rotta. A prescindere da quel che vorrò, o diventerò, una volta raggiunto quel luogo verso il quale avrò puntato per tanto tempo, è il viaggio per arrivare fin là che conta veramente…”
È con questo spirito che Natasha Illum Berg, a 24 anni, ha lasciato la Danimarca, e la famiglia, per diventare cacciatrice professionista in Africa. In cinque, durissimi anni Natasha ha imparato il mestiere da alcuni tra i migliori cacciatori della Tanzania: ha conosciuto i pericoli, le difficoltà, i rischi; ma anche la potenza di una natura maestosa, le emozioni, fortissime, il sapore della libertà e il piacere di sfidare il mondo e se stessi. Fiumi di terra rossa infatti non è soltanto una straordinaria avventura, ma soprattutto la storia vera di una donna che ha avuto il coraggio di inseguire il proprio sogno oltre ogni ostacolo, di combattere contro i pregiudizi di un ambiente esclusivamente maschile, di ritrovare se stessa sulla terra rossa dell’Africa.

1. Dove nasce il suo sogno africano?

Non saprei dire da dove vengono i sogni, perché non ne ho idea. Però ricordo che da piccola mi hanno raccontato molte storie, che mi hanno sempre affascinata. Queste storie parlavano dell’Africa e dell’India, e mi sono rimaste tutte nel cuore. Avrei potuto anche scegliere di dedicare la mia vita all’India, ma è un paese troppo affollato! Quindi mi restava soltanto l’Africa…

2. È vero che la funzione del cacciatore in Africa, soprattutto nelle zone che non hanno la fortuna di essere riserve naturali, non è soltanto quella di accompagnare i turisti a caccia, ma include anche quella di tenere lontani i bracconieri e salvaguardare le specie di animali in via di estinzione?

Sì, assolutamente, è tutto vero, e non c’è molto da aggiungere, perché lo ha detto con molta precisione. Si vede che vuole mettermi in buona luce!

Posso dire che ci sono tanti modi di essere ambientalisti: nelle zone in cui non ci sono safari organizzati bisogna trovare il modo per conciliare il minimo di presenza umana e il massimo del risultato, per garantire l’esistenza futura di una zona dal punto di vista della fauna. Faccio un esempio concreto: è impossibile spiegare ai locali che non devono uccidere le zebre che divorano tutto il loro mais. Si può però fornire loro un contributo economico per consentire loro di andare avanti. Dei soldi che noi cacciatori professionisti prendiamo dai clienti, una parte va ai villaggi circostanti, e con l’organizzazione danese per la quale lavoro io questa percentuale è altissima.

3. Che cosa significa essere una cacciatrice donna?

Dovrei forse essere un cacciatore uomo? Se è questo il senso della domanda, direi senz’altro che non c’è differenza. Secondo alcuni sarebbe un’attività innaturale per una donna, ma io credo che se soltanto pochissime donne sono cacciatrici è semplicemente perché non ne hanno voglia!

Per un cacciatore è importante ascoltare il proprio istinto, dato che spesso non ci sono segni concreti di un pericolo imminente; con il tempo si sviluppa una specie di sesto senso. Se proprio devo indicare una differenza è che probabilmente le donne danno più facilmente ascolto al loro istinto, ne hanno sicuramente meno paura degli uomini. Conosco però anche uomini con un istinto prodigioso, e non mi piace fare differenze.

4. Il suo libro parla soprattutto degli anni di apprendistato. Oggi che cosa fa?

Continuo a cacciare. La stagione di caccia dura sei mesi, e miei ritmi di oggi sono: sei mesi a caccia, soprattutto in Tanzania, e sei mesi a scrivere il mio prossimo libro. Il mio sogno è sempre stato conciliare caccia e scrittura, e sono felicissima di esserci finalmente riuscita!

5. Ha mai avuto ripensamenti? Rifarebbe la stessa scelta?

Be’, che cosa devo dire, ovviamente ognuno di noi ha qualche rimpianto, ma per tutto ciò che riguarda la mia vita in Africa non ne ho neanche uno.

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