“Tully” è la terza pellicola figlia della collaborazione della sceneggiatrice Diablo Cody e del regista Jason Reitman (“Juno” e “Young Adult”). Racconta la storia di una donna poco più che quarantenne alle prese con le fatiche titaniche della terza gravidanza finché non arriva Tully, longilineo essere elfico che si prende cura di madre e prole, reintroducendo sonno e sogno in una vita che sembrava sequestrata interamente ed eternamente dalla prosaicità chiassosa e snervante della figliolanza… – La recensione

Terza pellicola figlia della fruttuosa anche se discontinua collaborazione della sceneggiatrice Diablo Cody e del regista Jason Reitman (quello che colse con grazia e acume lo spirito dei tempi sentimentali ed esistenziali in Tra le nuvole), Tully, dopo il felicissimo parto indie adolescenziale di Juno e il più modesto sguardo ai trenta di Young Adult, nel quale già era protagonista (come in questo) Charlize Theron, ora si focalizza sul personaggio di Marlo, poco più che quarantenne incinta per la terza volta, alle prese con le fatiche titaniche dell’accudimento. Fatiche aggravate dai limiti economici dell’America post crisi, dagli inevitabili cedimenti del corpo (che somiglia, come osserva ironica la protagonista, alla carta orografica di un paese in guerra) e dalle carenze di un marito buono, ma non a molto, portatore della culturale inadeguatezza del maschio medio occidentale.

Ecco che a salvare le notti insonni di una donna abbruttita di stanchezza, ridotta a fabbrica di latte, e inabissata da quotidiane frustrazioni (un figlio problematico, una scuola esosa e poco supportiva, un compagno affaticato dal lavoro e inebetito dai videogiochi), arriva Tully, longilineo essere elfico ed efebico che compare dalle tenebre, tata notturna suggerita da un amico facoltoso, che con il surplus di energia di un paese petrolifero e la magia di una Mary Poppins per poppanti, angelicamente si prende cura di madre e prole (e pure un po’ del padre), sgravando la donna dalla materna devastazione, reintroducendo sonno e sogno in una vita che sembrava sequestrata interamente ed eternamente dalla prosaicità chiassosa e snervante della figliolanza.

Con uno sguardo delicato e ricercatamente incerto, in dolce osservazione, più dalle parti della commedia che del dramma, Reitman mostra però un’inattesa sintonia con il Polanski di Quello che non so di lei, immaginando una ghost nanny sottilmente tentatrice, senza tuttavia le derive mefistofeliche del regista maledetto. La protagonista, una Charlize Theron che si mette sempre in gioco anima e corpo, si rivede e si specchia nella sfuggente fanciulla con tutta la vita davanti, così lieve e impalpabile come solo una fantasia cinematografica (e di rinascita) può esserlo. Ma non si tratta di un Eva contro Eva, piuttosto di una rêverie notturna che racconta la rivincita e la possibile evasione di una donna che si sente imprigionata nel mezzo del cammin della sua vita.

Così la pellicola ti accoglie e, con la giusta dose di sofferenza e brutalità, rigenera lo sguardo, donandogli una nuova freschezza, aprendo su uno panorama sociale travagliato e precario uno squarcio immaginario di speranza, cullato da una colonna sonora sempre azzeccata e da qualche guizzo di sceneggiatura che fanno si questa storia semplice un film delicatamente protettivo, anche se mai davvero sconvolgente o geniale.

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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