Walter Lazzarin, un giovane scrittore, per 10 mesi gira l’Italia con una macchina da scrivere, regalando ai passanti in strada i suoi racconti. Su ilLibraio.it racconta com’è andata in Sicilia: “Non è stato facile, ho dovuto vincere la diffidenza iniziale e convincere gli isolani che non ero un mendicante… ma ho trovato anche nuovi amici…”

Il 20 gennaio arrivo a Catania da Roma, verso sera; Orazio è venuto a prendermi in auto alla stazione dei treni. Non era tenuto a farlo, lo ringrazio e lui ride con gli occhi.

A casa mi mostra la stanza in cui dormirò per quindici giorni, poi mi invita a seguirlo in cucina: attraverso la mappa della città mi spiega su quali zone puntare, sembra un piano di battaglia.

L’indomani mattina col trolley supero piazza Duomo, attorno alla fontana dell’elefante si discute a gruppetti. Mi posiziono all’inizio della via Etnea e alla mia sinistra, parecchio in là, irraggiungibile oltre i negozi e i bar e i semafori, l’Etna svetta con la testa di neve.

Seduto per terra batto i tasti della Lettera 25, in attesa. Rispetto alla capitale si avvicina meno gente, eppure scorre un fiume di persone di vario tipo. Se per caso si ferma un coraggioso, allora si forma il capannello di curiosi.

È raro, però. Una ragazza pedinata da una telecamera della Rai mi chiede cosa scrivo, in risposta le consegno un tautogramma e lei dice: Sei bravo, ma il libro di cosa parla?

Il drago non si droga è la storia di Giacomo, un bambino di otto anni che scappa di casa con un drago di peluche.

Miele mi chiede del progetto Scrittore per strada, le spiego che per dieci mesi attraverserò l’Italia con una macchina da scrivere, regalerò tautogrammi e proverò a piazzare copie del Drago; il cameraman le fa un cenno e lei mi saluta, mi consiglia di guardare Sanremo e di tifare per lei.

Poco dopo un ragazzo mi si accuccia accanto, mi interroga, non capisco le sue espressioni; è serio e al contempo trasmette simpatia, annuisce dietro lenti da miope; somiglia vagamente a John Lennon e mi propone di pranzare da lui. È un giornalista.

Anni fa ha conosciuto e ospitato Darinka, che girava per l’Italia a piedi senza soldi, confidando nell’ospitalità di chi incontrava.

Lui, Livio, diventerà un Amico. Si può diventare Amici pur condividendo solo particelle di vita?

Sì, eccome.

Il secondo giorno a Catania incontro Giovanna: lei e Livio (e Raimondo, quando viene qui da Palermo per lavorare alla tesi) mi aiuteranno a sentirmi a casa.

In Sicilia trascorro altri tredici giorni, quasi tutti di sole; alla sera il cappotto serve, i guanti e la sciarpa li metto, a mezzogiorno però si può spesso stare in maniche corte.

Non è facile piazzare draghi: devo vincere la diffidenza iniziale e convincere gli isolani che non sono un mendicante. In città sono tanti, si rischia di essere confusi tra loro: la vecchina sdentata che maledice chi la dribbla senza darle una moneta, il ragazzo che per ore sta steso sullo stesso fianco, a fissare i passanti, prima di alzarsi all’improvviso con il cappello in mano per chiedere spiccioli in cambio di sentenze da oracolo: Vedrai una volpe in cima al vulcano!

Catania per me significa cannoli e caffè, in compagnia sul selciato, con giovani e non. Molti mi hanno raccontato di quanto è faticoso trovare lavoro al Sud, altri mi hanno suggerito di procurarmi un tavolo e una sedia per non sembrare un accattone.

Il drago non si droga Walter Lazzarin

È successo pure che qualche anziano mi abbia confessato di non saper leggere, quando gli ho allungato un tautogramma.

A Catania ho dovuto più volte rifiutare l’elemosina, a Roma mai. Una questione di generosità o un problema di incomprensione?

In una libreria storica, il titolare mi punta contro un indice secco e ritorto: l’unificazione dell’Italia? Una guerra di conquista dei Savoia; qui si stava meglio, prima.

E se lo dice lui, che dimostra circa due secoli, c’è da credergli.

A Catania mi godo la prima parte della festa di Sant’Agata, bevo e mangio e bevo ancora con Giovanna, Livio e Raimondo; ci buttiamo nella mischia in mezzo a tuniche bianche e berretti neri. I fedeli sono appiccicati, si tengono per mano. Seguiamo la serie di baldacchini da cui spuntano angeli, bandierine e candele. In un vicolo stretto la massa si blocca, la musica continua, tra trombe e tamburelli qualcuno grida con rabbia a mo’ di ultrà: Cittadini, evviva Sant’Agata!

Lasciare la Sicilia mi costa parecchio: nel traghetto da Messina a Reggio Calabria, lo confesso, non resisto. Mi giro verso il finestrino, e piango in un silenzio che sento solo io.

È assurdo lasciare un posto in cui ci si trova bene.

Ma forse l’intero mio progetto è in un certo senso assurdo.

LEGGI ANCHE – Lo scrittore che gira l’Italia e in strada regala ai passanti racconti scritti a macchina 

Nota: la foto di Lazzarin è di  OnOff 

Libri consigliati