Nel suo romanzo d’esordio, Ted Thompson ci porta nella borghesia americana per rivelarne ipocrisie, tradimenti e rivalità attraverso la storia del consulente finanziario Andres Hill che decide improvvisamente di cambiare vita – Su ilLibraio.it un capitolo

È in libreria per Bollati Boringhieri Ted Thompson con La seconda vita di Anders Hill, romanzo d’esordio che racconta la storia di un consulente finanziario di successo, proprietario di una bella casa in un quartiere residenziale di lusso, sposato e padre, che, da un giorno all’altro, va in pensione anticipata, divorzia e si trova improvvisamente ad avere molto tempo e pochi denari a disposizione. Ma senza l’identità sicura che si è costruito a fatica, senza la presenza rassicurante di una moglie di lunga data, Anders riapre una ferita mai rimarginata, quella del rapporto irrisolto con il padre. E la sua scelta avrà conseguenze irreversibili per la generazione dei figli, non solo suoi. È proprio Charlie, il figlio adolescente di amici di famiglia, a offrire a un Anders spaesato, durante un party di Natale, una dose di pcp. Il ragazzo è affascinato da quell’uomo maturo così diverso dai suoi genitori, ma durante la festa si accascia per un’overdose. Anders, pieno di rimorso, va a trovarlo in ospedale e cerca di aiutarlo. Intanto cerca anche di rivivere gli anni del college, della ribellione a un padre opprimente, dell’amore per Helen, e del troppo tempo passato a far carriera dopo il matrimonio per essere all’altezza della ricca famiglia wasp della moglie.

Sotto il microscopio della scrittura di Thompson, la vita nei quartieri residenziali di lusso viene vivisezionata: ipocrisie, tradimenti coniugali e non, rivalità sociali, indifferenza verso i problemi dei figli. Lo stesso accade all’ambiente delle banche e delle finanziarie protagoniste del boom dei decenni passati, quelle che hanno portato alla crisi che stiamo vivendo: a un certo punto Anders rifiuta un incarico ai limiti della disonestà che potrebbe permettergli di vivere in grande stile a Manhattan, e «si accontenta» di un lavoro da pendolare di lusso, ma la scelta non basterà a calmare il suo disagio.

Cover Thomson

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto del romanzo:

Uno dei grandi vantaggi del suo divorzio – oltre al termine dei battibecchi e all’emozione improvvisa di una li­bertà finalmente priva di sensi di colpa – era che non avrebbe più dovuto recarsi alla festa degli Ashby. La festa, come tutte le feste cui aveva partecipato durante la sua vita matrimoniale, era territorio della moglie, ed era un bel sollievo non doverci più andare finendo solo per rivelarsi una delusione per gli amici di lei. Di fatto, a matrimonio concluso, la festa degli Ashby era diventata per Anders un emblema delle imposizioni, un promemoria dell’uomo che era diventato: durante il party dell’anno pri­ma, dopo tre bicchieri di whisky e una litigata con Helene sui figli ormai grandi, si era girato e aveva annunciato a tutti i presenti che loro due non facevano sesso da cinque mesi e, benché avesse più di sessant’anni, non era certo colpa del suo pene.

La cosa sorprendente, tuttavia, era che dopo tutto ciò – nonostante fosse stato chiaramente lui a porre termine al matrimonio e aver lasciato colei che, agli occhi degli amici, era la donna perfetta per una vita di coppia, preferendole una vita da solo, ormai in pensione, in un appartamento qualunque; dopo averli derisi apertamente e ormai certo che lei, durante un brunch, avesse rivelato loro ogni suo più inconfessabile segreto – ricevette un biglietto di auguri dagli Ashby con il quale lo invitavano ancora una volta, quasi fosse parte integrante della stagione, al loro party.

Lo davano ogni anno, nella settimana dopo il Giorno del Ringraziamento, per inaugurare la stagione e, aveva sempre pensato, per attribuirsene un po’ il merito. Era l’unico invito che aveva ricevuto, pertanto lo portò in casa, lo appoggiò sul tavolo da pranzo e ci cenò di fronte, fissando intensamente la calligrafia familiare, il francobollo di Babbo Natale, indeciso se considerarla un’offerta di pace o una semplice dimenticanza di toglierlo dalla lista. Il divorzio, aveva capito ben presto, non era tanto una separazione dal partner quanto da tutte le cose che loro due avevano costruito come coppia: la casa, l’autorità genitoriale, le tasse, gli amici. Immaginò Helene avan­zare nella cucina degli Ashby nel suo elegante abito da sera: una donna single e coraggiosa avvolta in uno scialle di ciniglia, che dopo un anno di ingiustizie riusciva a mantenere la dignitosa compostezza di una sopravvissuta. Sarebbe stata l’ospite d’onore, una donna che ave­va dedicato la carriera a insegnare a leggere agli adulti, ora costretta ad affrontare le feste in solitudine.

La cartolina di auguri era rigida e patinata: un ritratto degli Ashby davanti all’albero di Natale. Diceva solo È quel periodo dell’anno, come se i destinatari la ricevessero da vent’anni, il che, realizzò Anders, era in effetti corretto. Erano vent’anni che si sorbiva questa soirée, e ciò nonostante, dopo essersi fatto beffe di tutti loro, dopo aver annunciato a Helene, nella smania di un accorato litigio subito prima di congedarsi dagli Ashby, che il puz­zo del sigaro di Mitchell gli aveva fatto rimpiangere di avere una faccia, era stato di nuovo invitato. Aveva spostato la cartolina sulla mensola del camino, con gli Ashby che, in maglione di lana a trecce, lo osservavano raggianti, e si era sprofondato nella poltrona sottostante.

C’era poi anche la faccenda dell’altra lettera giunta quel giorno, frutto di quell’ultimo appuntamento con i legali al quale Helene si era presentata con un plotone di avvocati e, senza preavviso, gli aveva chiesto se poteva tenere la casa; al che lui, in un momento di riprovevole orgoglio, nonostante la casa rappresentasse metà del suo patrimonio e fosse gravata da una rovinosa seconda ipoteca, le aveva risposto che sì, certo, poteva tenerla. O me­glio, come il suo avvocato gli aveva fatto notare, le ave­va lasciato intendere che poteva tenerla, dopo che lei aveva lasciato intendere a tutti quegli uomini e donne di legge che lui era stato tutto fuorché un uomo responsabile. In realtà lui aveva appoggiato le mani sul tavolo, si era allungato verso Helene e la sua gang con gli occhiali privi di montatura, e aveva detto: «La casa? Allora è la casa quello che vuoi?»

Il problema era che aveva programmato di usare i soldi della casa per pagarsi la pensione anticipata. O pagava la casa o andava in pensione, ma non poteva permettersi en­trambe le cose. Questo lo collocava nella fastidiosa posizione di dover ammettere davanti a Helene quella che era diventata la sua peggiore accusa: che si era sempre preoccupato di se stesso prima degli altri, e che li aveva lasciati in pasto ai lupi. Il che non era vero. Il che era asso­lutamente pazzesco, se si consideravano l’istruzione universitaria dei figli ormai grandi e il mutuo ipotecario sulla casa per il quale si era indebitato fino al collo, e la cucina sontuosa che la moglie aveva insistito per acquistare dopo che i figli se n’erano andati. Tutte cose per le quali aveva pagato lui per prendersi cura di loro: la sua famiglia, la sua prole – la sua responsabilità suprema – per le quali si era fatto un mazzo così. Aveva provveduto a tutto ciò che era concepibile, e l’aveva fatto per loro. Cos’altro al mondo avrebbe mai potuto desiderare Helene?

Ebbene, come appunto saltò fuori, la casa. Così adesso le buste con le etichette gialle si ammonticchiavano minacciose, missive dal messaggio alquanto esplicito: aveva tem­po fino alla fine dell’anno, dopodiché la banca avrebbe messo di mezzo un giudice. Era una situazione che una semplice telefonata a Helene avreb­be potuto appianare, un’opportunità, in realtà, per vuotare il sacco e ammettere che l’aveva ingannata e chiarire le cose. Fare la cosa giusta, se mai ci fosse stata; se solo fosse riuscito a trovare un momento in cui lei non fosse stata così fragile e lui in grado di sopportare la sua delusione, un attimo in cui una sola brutta notizia non fosse stata sufficiente ad allontanarla per sempre.

Tutto ciò significava che, almeno per quando riguardava il party degli Ashby, avrebbe probabilmente dovuto pro­curarsi una camicia pulita.

(continua in libreria…)

 

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