Roberta Marasco, scrittrice e traduttrice, torna al romanzo con “Lezioni di disegno” e su ilLibraio.it spiega: “Niente, anni di femminismo rosa e sono sempre da capo. ‘Scrivo storie d’amore, ma’. Ma cosa? Scrivo storie d’amore, ma mica cavolate. Scrivo storie d’amore, ma so scrivere. Scrivo storie d’amore, ma non erotici. Scrivo storie d’amore, ma sono femminista. Scrivo storie d’amore, ma vorrei essere presa sul serio lo stesso…”

C’è un sorriso speciale per chi dice di scrivere storie d’amore. È sempre lo stesso, con poche varianti. Più che un sorriso, a dire il vero, è la trasformazione di un sorriso. Quell’istante in cui un sorriso interessato e cordiale si fa improvvisamente meno interessato e, se non sprezzante, almeno vagamente beffardo. È una reazione talmente immediata da essere automatica, come se avessi colto l’interlocutore in fallo, come se si fosse appena accorto di avere i calzini di due colori diversi o un pezzo di insalata fra i denti.

Mi è successo anche di recente. A un incontro in libreria mi hanno chiesto che cosa scrivevo e io ho risposto entusiasta “Storie d’amore” ed è arrivato il sorriso. Poi, come per venirmi incontro, il mio interlocutore mi ha detto di aver letto un articolo di recente su un romanzo erotico di successo. “Io non scrivo erotici” ho precisato con un sorriso un po’ teso e il mio interlocutore, uomo intelligente e molto cordiale, ha annuito. Ma il collegamento era scattato, automatico. E l’interesse per quel che scrivevo era scemato, in modo altrettanto automatico.

Così sono partita a spiegare l’importanza di unire rosa e femminismo, per poi precisare che io non scrivo rosa ma women’s fiction e ovviamente nessuno aveva idea di che cosa fosse e a quel punto ho balbettato qualcosa su storie familiari e percorsi interiori e poi ho parlato della Barcellona del 1976 descritta nel romanzo, di come fosse la metafora perfetta del percorso della protagonista, quell’esplosione di libertà e creatività dopo la fine della dittatura franchista, non è forse il nucleo di ogni storia d’amore, quella sensazione di libertà improvvisa, di onnipotenza? E il rapporto con la madre, con le proprie origini, quella tensione costante fra bisogno di osare e bisogno di rassicurazione, fra senso di appartenenza e realizzazione di sé, non c’è sempre anche quella nelle storie d’amore, non è proprio quella tensione fra nuovo e familiare a renderle tanto universali e appassionanti?

Ma soprattutto, in quell’equilibrio sfuggente e precario fra stabilità e passione, fra solidità e fragilità, fra responsabilità e follia, non si trovano spesso le risposte a molte delle difficoltà del nostro essere donne? Quell’essere strattonate di continuo fra obblighi e necessità altrui, e quel bisogno di scrollarseli di dosso, a volte, per ascoltare i nostri sogni e realizzare i nostri, di desideri?

Perché gli inviti a essere ribelli, gli esempi di donne fantastiche che ce l’hanno fatta, le urla di battaglia doverose e sacrosante del femminismo a molte donne non servono. Non le aiutano, in realtà. Restano slogan. Propongono modelli così lontani e inarrivabili, così distanti dalla loro vita quotidiana, che nel migliore dei casi le costringono a sdoppiamenti stranianti e nel peggiore vengono respinti del tutto, come corpi estranei. Gli slogan femministi ci fanno sentire meglio, li urliamo perché è così che vorremmo essere, perché è quella l’energia con cui vorremmo cambiare il mondo, ma una volta tornate fra le pareti di casa, l’energia che ci serve è un’altra. Ed è altrove, secondo me, che possiamo trovarla.

Per esempio nelle storie d’amore, soprattutto quando raccontano l’incompatibilità fra la vita domestica e la natura più autentica di una donna, fra l’abitudine e il quotidiano e il pulsare dei sogni e delle passioni; quando insegnano che è nella distanza fra quei due orizzonti che si cela a volte la possibilità di realizzarsi, che quella distanza diventerà la misura inversa della nostra felicità e che se diventa troppo grande, si rischia di caderci dentro, come in un buco nero.

Le storie d’amore arrivano lontano, raccontano le nostre ribellioni silenziose, i nostri desideri inconfessati, il palpitare della necessità dei sogni dietro la vita quotidiana. Ecco perché è fondamentale che vadano a braccetto con il femminismo, perché i diritti delle donne non possono fermarsi sulla soglia della vita di coppia, perché le nostre battaglie non devono rischiare di diventare un’armatura troppo ingombrante per poter passare dalla porta di casa.

La conversazione in libreria è andata avanti così, un po’ come sulle montagne russe. L’interesse cresceva, il mio interlocutore annuiva, poi appena nominavo le storie d’amore tornavamo a scendere in picchiata e lui sorrideva imbarazzato e io dovevo ricominciare tutto da capo, finché non ho pensato bene di spostare il discorso sul suo lavoro e ho chiuso bocca.

Niente, anni di femminismo rosa e sono sempre da capo. “Scrivo storie d’amore, ma”. Ma cosa? Scrivo storie d’amore, ma mica cavolate. Scrivo storie d’amore, ma so scrivere. Scrivo storie d’amore, ma non erotici. Scrivo storie d’amore, ma sono femminista. Scrivo storie d’amore, ma vorrei essere presa sul serio lo stesso.

Eppure sono convinta che ci sia una battaglia importante dietro la difesa delle storie “al femminile”, come finiamo per chiamarle in assenza di definizioni più adatte. Che il femminismo passi anche per lo sdoganamento dell’evasione femminile, del nostro ozio, del nostro diritto a non dover dimostrare sempre e comunque quanto valiamo e quanto siamo brave e toste e intelligenti, a rivendicare la nostra debolezza e la forza nascosta nelle emozioni, senza zone proibite, neanche quelle del romanticismo più sdolcinato. Che non è quello dei miei romanzi, ci tengo a precisare, visto che io “scrivo storie d’amore, ma…”

lezioni di disegno

L’AUTRICE – I segreti di una madre nella Barcellona degli anni Settanta, una figlia alla ricerca della verità: Lezioni di disegno (Fabbri editore) è il nuovo romanzo di Roberta Marasco, scrittrice e traduttrice, già autrice de Le regole del tè e dell’amore (Tre60).
Marasco con il suo blog Rosapercaso, dedicato al femminismo rosa, invita le donne a liberarsi della “Sindrome dello strofinaccio” e ad affermare il proprio diritto di essere felici.
L’autrice vive e lavora in Spagna, in un paesino sul mare, dove ha scoperto che la strada per tornare a casa è quasi sempre nascosta nelle storie.
Qui i suoi interventi ospitati da ilLibraio.it.