In occasione dell’uscita del nuovo album, Jovanotti ha pubblicato anche un libro-rivista, “SBAM!”, che ha coinvolto numerosi scrittori di ieri e di oggi. Tra questi anche Iacopo Barison – Su ilLibraio.it il suo racconto

Jovanotti l’ha voluto tanto e alla fine è arrivato: SBAM! (Mondadori) è un “pezzo” del nuovo album Oh, vita!, un’avventura umana e musicale, “il convergere di infinite linee in un nuovo big bang, un po’ più big e un po’ più bang”. SBAM! è un diario, un flusso di coscienza, un’opera che alterna testo a immagini inedite lungo il confine della mente del cantautore, ma è anche una raccolta di racconti di diversi autori di oggi e di ieri che si affacciano su diversi mondi.

sbam jovanotti copertina

Pubblicato in concomitanza con il disco Oh, vita!, prodotto da Rick Rubin, con un titolo omonimo a uno dei brani del disco stesso, Sbam! si propone come una sorta di big bang della lettura, un modo per convergere testi del passato con inediti del presente, in un mix di linguaggio e storie pensate per accompagnare la musica.

Tra i numerosi autori ospitati dalla raccolta, Andrea Bajani, Vasco Brondi, Sergio Ramazzotti, il Premio Campiello 2017 Donatella di Pietrantonio, ma anche Zadie Smith, Vasilij Grossman, Jennifer Egan, Gabriel García Márquez. Nella “rivista” trova spazio anche Iacopo Barison, ventinovenne di Fossano che, dopo aver pubblicato a vent’anni un romanzo tratto dal suo blog, è entrato negli autori di Tunué con il libro Stalin + Bianca, di cui vedremo presto una trasposizione cinematografica diretta da Daniele Ciprì.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo il suo racconto:

Racconto 01

di Iacopo Barison

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Sto consultando una lista dei dieci migliori brunch da fare in città, senza un reale desiderio di andarci ma senza nemmeno disapprovare l’idea, tentando di isolare i più economici in modo da poter pagare per entrambi qualora dovessi invitare una ragazza, magari Anna, oppure un ragazzo, possibilmente Mathias, che due sere fa mi sono sorpreso a voler baciare mentre eravamo in coda per vedere un documentario sull’inquinamento acustico nelle grandi metropoli. Eravamo quasi schiacciati l’uno contro l’altro e sentivo il suo fiato quando parlava e ho provato l’istinto irrefrenabile di avvicinare le mie labbra alle sue, per scoprire in primis come avrebbe reagito e poi se un bacio fra uomini fosse piacevole come sembrava nel mio cervello. Anna, invece, è stata la prima persona che abbia baciato in assoluto e adesso è sposata e ha un figlio che sui social network definisce “un batuffolo di cotone gigante”, per cui ritengo improbabile che accetterebbe il mio invito. Riduco a icona la lista dei dieci migliori brunch da fare in città e mi guardo alle spalle, ho la sensazione che un collega mi stia spiando dalla sua postazione.

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Forse non è così, comunque lascio perdere e apro la casella e-mail e rispondo all’ennesimo messaggio anonimo. Fuori c’è il sole ma in base al meteo dell’iPhone dovrebbe piovere. Incrocio lo sguardo di un lavavetri arrivato fin qui dall’ultimo piano. Ha una fune robusta agganciata in vita, una spugna nella mano destra e il resto dell’attrezzatura assicurato alla cinta – sembra a proprio agio nonostante l’altezza, mentre io sembro a disagio nonostante la t-shirt in cotone biologico e i pantaloni di lino e le sneakers bianche identiche ad altre migliaia di sneakers bianche indossate in questo momento nel mondo. Oggi è il venerdì casual. La poltrona ergonomica segua alla perfezione le linee della mia spina dorsale e ora il lavavetri ha smesso di guardarmi e io vorrei dirgli: “Ciao”. Lui risponderebbe: “Ami il tuo lavoro?” Io gli chiederei: “E tu?”

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Mathias è un ragazzo francese di ventisei anni che ho conosciuto all’interno di un ex-mattatoio occupato dove ogni weekend organizzano eventi di musica elettronica. Qualcuno sostiene che l’odore del sangue sia rimasto nell’aria, ma io lo ritengo improbabile perché l’ultimo animale è stato ucciso molto tempo fa. Queste persone, fra cui un’amica vegana che in base al suo LinkedIn ha appena ricevuto una promozione, parlano in senso figurato, sottintendendo che il sangue versato non si può mai cancellare. Mathias stava bevendo una birra mentre osservava da lontano la mia amica vegana. Lei se n’era accorta, eppure fingeva di no, io non me n’ero accorto ma avevo finto di sì, come a voler simulare uno spirito protettivo che in realtà non ho. Avevamo chiacchierato tutti e tre insieme di varie cose, toccato diversi argomenti, senza però scendere nei dettagli, finché non si erano appartati con una scusa banale. Nel frattempo avevo ordinato da bere e iniziato a riflettere su su problemi complessi e stratificati nelle variabili come la mia ansia in relazione al mondo e viceversa e avevo concluso che non c’era alcuna conclusione da trarre. Tutto sarebbe rimasto identico. Ho twittato la frase TUTTO RIMARRÀ IDENTICO in stampatello e poi l’ho cancellata perché mi sembrava vuota e superficiale. Ho aspettato seduto su uno sgabello vintage con l’imbottitura che fuoriusciva da un taglio verticale.

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Dopo quella sera ho perso i contatti con la mia amica vegana. Invece ho rivisto Mathias, anche lui aveva perso i contatti seppur lei avesse provato a mantenerli invitandolo all’inaugurazione di un negozio d’antiquariato dove sperava di trovare un regalo per la madre, che il giorno prima aveva compiuto gli anni. Mathias aveva accettato, controvoglia, e alla fine non si era presentato all’appuntamento.

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La stagista del piano di sopra si avvicina e mi chiede se posso inviarle i documenti che ieri ha sollecitato via e-mail. Deglutisco il boccone – sto mangiando un tramezzino seduto alla scrivania – e un po’ in imbarazzo le rispondo di sì, scusandomi per il ritardo. Lei mi sorride, io le sorrido, entrambi sorridiamo ma stiamo pensando ad altro. Le relazioni umane, spesso, sono difficili da sostenere. Vorrei avere qualcuno a cui dirlo per sentirmi ribattere che non è vero. È tutto ok, non preoccuparti. Mastico il tramezzino che ho preparato questa mattina mentre ascoltavo le notizie in TV. Il tonno è come sbriciolato, l’avocado è diventato grigio per via dell’ossidazione. Bevo un sorso d’acqua e mi rimetto al lavoro.

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Tornando a casa, sull’ultimo vagone della metropolitana, penso che chiunque mi stia inviando messaggi anonimi in codice binario sia una persona originale, molto riflessiva, probabilmente del segno del Cancro. Da più di un mese li ricevo via Whatsapp, nella casella di posta elettronica, in generale su tutti i miei account. A ogni modo il brunch migliore da fare in città è all’interno di un giardino botanico, quindi è come se non fosse in città. Sul sito web consigliano la prenotazione. Chi potrei invitare? L’interno di un giardino botanico è un ambiente esterno separato dal resto del mondo, sarebbe bello andarci. Proprio qui, nel tragitto ufficio-casa, fra decine di persone ammassate, potrei fare un respiro profondo e bloccare una sconosciuta e dirle: “Ciao, posso chiederti una cosa?” Lei risponderebbe: “Non sono una sconosciuta, stai tranquillo, puoi chiedermi quello che vuoi”, poi mi bacerebbe e magari andremmo via insieme.

(continua in libreria…)

 

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