Su ilLibraio.it la seconda parte del reportage di Simonetta Tassinari, insegnante e scrittrice, alla scoperta della scuola svedese. In cui i periodi di vacanza sono disseminati durante l’anno scolastico, i metodi di insegnamento sono contrassegnati da una grande libertà, non esiste la bocciatura e, nella Primaria, neanche il voto. E dove, a mensa, anche i più piccoli danno una mano, e i colloqui si svolgono in modo decisamente diverso dal nostro. Non solo…

Alla Scuola primaria svedese…

Per quanti giorni all’anno frequentano la scuola i bambini svedesi? Siedono ai loro banchi per 178 giorni, meno dei nostri (che sono 200). Le scuole riaprono i battenti nella seconda metà di agosto e li chiudono all’inizio di giugno, ma le date precise divergono perché vengono decise, con grande autonomia, dai singoli istituti.

I periodi di vacanza sono disseminati durante l’anno scolastico: i primi giorni di pausa, circa una settimana, cadono a cavallo di Halloween (“Alla helgons blodiga natt”) e si chiamano “vacanze autunnali”; poi ci sono Santa Lucia, il 13 dicembre; il periodo di Natale (più o meno come il nostro, comincia un po’ prima e termina un po’ prima; tra l’altro, curiosamente per noi, Natale in svedese si dice “Jul”, sicché il classico “Buon Natale” da quelle parti suona “God Jul”).

Arriva quindi una settimana di “vacanze invernali” a febbraio; qualche giorno a Pasqua; qualche altro per l’Ascensione e la Pentecoste; infine le vacanze di giugno, all’incirca una settimana. Ovunque, in ogni grado, funziona la settimana corta, e il sabato si resta in famiglia. Poiché, tuttavia, l’aggiornamento obbligatorio degli insegnanti si svolge di mattina, possono capitare altri momenti di chiusura in qualsiasi periodo.

I metodi di insegnamento sono contrassegnati da una grande libertà; per tenere sotto controllo la qualità e l’uniformità generale della scuola svedese, nelle classi terza, sesta e nona si tengono delle prove nazionali. Del resto i piani scolastici dei Comuni si fondano su un curricolo nazionale, ma la preoccupazione maggiore, frutto di una precisa scelta pedagogica, più che quella di predisporre veri e propri programmi, è di applicare nell’educazione un approccio costantemente di tipo “induttivo”. Questo significa che i bambini devono essere “guidati” a scoprire le soluzioni e essere il più attivi possibile, applicare, usare le mani, costruire, riprodurre, inventare e, naturalmente, giocare.

Nella scuola svedese non esiste la bocciatura e, nella Primaria, neanche il voto (si assegnano voti solo dai 13 anni in poi); si formulano dei giudizi, ma va notato che, più di colloqui con i genitori (ripetuti e ravvicinati), sarebbe meglio parlare di “colloquio con il bambino davanti ai genitori”. I maestri chiedono al loro scolaro se si trovi bene nella classe, che cosa gli manchi, che cosa possa fare l’istituzione per lui; gli obiettivi di apprendimento sono individuali, per non mettere in imbarazzo nessuno, e si considera ognuno in gara con se stesso (per colmare le proprie lacune nella lettura, o nel calcolo, e su quei precisi punti l’insegnante insiste).


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Non si affidano compiti per casa se non una volta al settimana, i quali non richiedono gran tempo per essere eseguiti; le lezioni tenute in classe sono piuttosto brevi e, diremmo noi, “interattive”, con pause gioco e pause di lettura (magari seduti su un comodo divano o sull’onnipresente “tappetone”). Al docente prevalente se ne affiancano altri, di Educazione fisica, Musica, Arte; le materie considerate più importanti sono lo Svedese, la Matematica e l’Inglese.

La collaborazione tra i maestri è essenziale, perché gli argomenti che vengono scelti nel corso delle frequentissime riunioni dello staff sono poi svolti da tutti, ognuno nel proprio ambito. In terza elementare, alla Katedralskolan di Lund, si decide ad esempio di affrontare l’argomento “spazio”: e così in classe si parla del cielo, dei pianeti e del moto della terra in riferimento alla poesia e all’arte, nelle scienze e nella matematica, si imparano canzoni e si visionano filmati. Si affidano ai bambini dei lavori, li si invita a drammatizzare, a produrre, a mostrare agli altri quel che si è ricercato.

Prendiamo July; si è occupata di Marte; ha preparato un progettino al computer (in terza elementare hanno già quasi tutti, tra l’altro, un indirizzo mail) e ha dato una sua versione pratica del “pianeta rosso” uscendo in giardino e riempiendo una scatola da scarpe con della sabbia. Dopo averla opportunamente colorata con un colorante alimentare ci ha poggiato un rotolo di carta igienica con la funzione di rappresentare una sonda, e ha spiegato ai compagni che cosa sia la missione “Exomars” e che cosa ci si aspetti da essa.

Oscar, invece, a cui è stato affidato il Sistema Solare, ha fissato con due puntine un elastico tra un pallone (il sole) e una pallina da ping pong (la terra), facendo girare quest’ultima in modo regolare e stupendo i suoi compagni con la rivelazione che tutti stiamo girando attorno al sole con una velocità media di 1700 chilometri all’ora, superiore a quella di qualunque normale aereo.

Maja è un’”esperta” dei buchi neri, che ha realizzato con la cartapesta, e Axel, addirittura, ha parlato della materia oscura. Alla fine dell’argomento si va tutti in visita guidata al Planetarium della città coi mezzi pubblici, mentre, per visitare altri musei, o mostre un po’ più lontano (per esempio a Malmö, a meno di venti chilometri di distanza), si preferisce il treno.


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Un’altra attività svolta in aula, e poi calata immediatamente nella realtà, è stato lo studio dei segni, delle insegne, dei cartelli stradali come forma di comunicazione immediata tra gli uomini ed essenziale alla convivenza, specie nei grandi agglomerati. I bambini li hanno disegnati, li hanno studiati, li hanno proiettati, li hanno realizzati con le loro mani e poi via, per la strada, ciascuno con una lavagnetta, a prendere nota di tutti i segnali di divieto d’accesso, di limite alla circolazione, entrata, uscita, corsia obbligatoria, e a spiegarne l’importanza.

Le attività per le quali si deve lasciare l’aula sono molto spesso accompagnate dai genitori (non sempre esclusivamente le madri), che danno una mano per la sorveglianza anche all’entrata e all’uscita da scuola.

E quando scocca l’ora del pranzo? Si va tutti ordinatamente a lavarsi le mani, e poi in mensa, con tavoli da quattro o cinque posti, interscambiabili. Si prendono le posate e il vassoietto e ci si mette in fila. La scelta è libera, e il vitto offre la pasta, almeno una volta alla settimana (magari per noi condita in modi piuttosto fantasiosi, ma sempre pasta è); un paio di volte alla settimana c’è il riso; tutti i giorni compaiono la carne (generalmente con patate) e il pesce (salmone o aringa). L’unico obbligo è di prendere (e mangiare) almeno un frutto o una porzione di verdura. L’insegnante stabilisce, all’inizio della settimana, a chi toccherà il turno delle “pulizie”, perché è “bene”, mi dice una maestra, “che i bambini si rendano conto che le cose non si fanno da sole, neanche le pulizie, e che dietro tutto quel che sembra già pronto, o facile, c’è sempre il lavoro delle persone, che va condiviso e rispettato”. Sicché due bambini alla volta, dal lunedì al venerdì, spazzeranno il pavimento dopo pranzo e, con uno straccetto, spolvereranno i tavoli e le sedie, sentendosi molto soddisfatti, e ammirati, per questo.

L’AUTRICE * – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967.
È da poco tornata in libreria, sempre per Corbaccio, con La sorella di Schopenhauer era una escort, un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana. Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita.
L’autrice è nata a Cattolica ed è cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino. Vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico- filosofica e romanzi storici.

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