Il saggio “Che cosa è il sesso?” di Alenka Zupančič, stimata studiosa di psicoanalisi lacaniana e di filosofia continentale, propone un’innovativa teoria della sessualità e del suo impatto sulle nostre vite

Come scrive il suo noto collega Slavoj Žižek, il saggio Che cosa è il sesso? di Alenka Zupančič, in libreria per Ponte alle Grazie, “si adatta benissimo alle dieci categorie dell’essere secondo Aristotele: la sua sostanza è il chiarimento delle conseguenze ontologiche della differenza sessuale; la sua quantità è piccola, è un libro breve e di agile lettura; la sua qualità è il massimo, un classico istantaneo; in relazione ad altri libri simili, è di gran lunga il migliore; il suo luogo è il punto cruciale del dibattito filosofico odierno; il tempo della sua pubblicazione è quello giusto, poiché il discorso pubblico s’incentra sulla differenza sessuale; la sua situazione è all’incrocio fra Hegel e Lacan; ciò che ha è la chiara argomentazione filosofica, senza alcuna forma di gergo postmoderno; l’azione che compie è smuovere dal profondo le acque oggi stagnanti della scena filosofica; ed è pieno di passione autenticamente filosofica, fatto tanto raro in questi giorni. Dunque, se vi interessano l’attuale dibattito sul gender o le questioni ontologiche di base, questo è il libro per voi!”.

Non è finita: per Massimo Recalcati, ad Alenka Zupančič (studiosa di psicoanalisi lacaniana e di filosofia continentale) “dobbiamo una lettura non scolastica, sempre concettualmente intensa e vibrante di Lacan”.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto dall’introduzione:

«Ora non sto scopando con te, sto parlando con te. Ma posso trarne la stessa soddisfazione come se stessi scopando».
È questo l’esempio che fa Lacan per mostrare come la sublimazione possa essere un sostituto della pulsione senza che vi sia alcuna rimozione. Di solito pensiamo che la sublimazione stia al posto del piacere: invece di «scopare», mi metto a parlare (o a scrivere, dipingere, pregare…) – e con questa attività posso raggiungere un soddisfacimento di tipo diverso rispetto a quello «mancante». Le sublimazioni sarebbero dei sostituti del piacere sessuale. La psicoanalisi lacaniana dice però qualcosa di ben più paradossale: anche se l’attività è diversa, la soddisfazione è esattamente la stessa. Il punto non è spiegare il piacere che si prova quando parliamo con la sua «origine sessuale», ma sostenere che questo piacere è esso stesso di tipo sessuale. È questo che ci spinge a porre il problema della natura e dello status della sessualità in modo radicale. È noto come Marx abbia detto che «l’anatomia dell’uomo sia una chiave per comprendere l’anatomia della scimmia» (e non viceversa). Così potremmo dire che il piacere che proviamo quando parliamo sia la chiave per comprendere il piacere sessuale (e non viceversa), o semplicemente sia un modo per capire la sessualità e le sue contraddizioni.

È qui che nasce la semplice (e tuttavia difficilissima) domanda che muove questo libro: che cos’è il sesso? Il modo in cui propongo di approcciare la sessualità è di considerarla una questione squisitamente filosofica per la psicoanalisi – con tutto quello che questo termine si porta con sé, a partire dall’ontologia, dalla logica e dalla teoria del soggetto.
La psicoanalisi (nella sua tradizione freudiano-lacaniana) è stata, tra le altre cose, un’invenzione teorica estremamente importante, con conseguenze dirette e significative per la filosofia.
L’incontro con la psicoanalisi ha permesso infatti alla filosofia contemporanea di produrre alcune tra le letture più innovative e originali di filosofi e di concetti filosofici classici (soggetto, oggetto, verità, rappresentazione e reale) e ha aperto un filone di pensiero autenticamente nuovo. Nel momento in cui la filosofia sembrava pronta ad abbandonare alcuni dei suoi concetti classici, ritenendoli parte di un passato metafisico del quale era urgente liberarsi, arrivò Lacan e ci insegnò qualcosa di un’importanza incalcolabile: il problema non erano i concetti,
ma la cancellazione e il misconoscimento, in alcuni modi di fare filosofia, delle contraddizioni e degli antagonismi che si portavano con sé e di cui erano parte. Per questo, se facessimo a meno di questi concetti, abbandoneremmo soltanto questo campo di battaglia senza vincere alcuna battaglia significativa.
Allo stesso modo, pure se la cosa non è simmetrica, anche la psicoanalisi clinica ha fatto dei grandi passi in avanti lavorando con dei concetti filosofici e prendendo parte a dibattiti di tipo teorico. In questo modo ha continuato a rimanere all’interno di un contesto intellettuale più ampio, ha preso parte ai suoi conflitti e ai suoi antagonismi, e non si è chiusa in un campo specialistico al riparo della propria tecnica e della propria pratica.
È stata questa divisione che Lacan ha continuato a ribadire e che è stata al centro del suo conflitto con (o per meglio dire, della sua espulsione da) l’International Psychoanalytical Association: la differenza tra la psicoanalisi come pratica terapeutica riconosciuta inevitabilmente confinata all’interno di un campo e di un dibattito specialistico, e quelle che sembravano essere delle idiosincrasie intellettuali e pratiche di Lacan, che spaziavano letteralmente ovunque, dalla filosofia, alla scienza, alla letteratura. Era qui, e non tanto nella battaglia tra diversi orientamenti psicoanalitici, che Lacan situò la vera divisione.
Al di là delle famose sedute brevi, era l’«intellettualizzazione» la parola chiave e l’insulto principale che veniva mosso da molti analisti al suo «insegnamento» (che pure avveniva al di fuori della pratica clinica ed era destinato a un pubblico universale) – e Lacan non esitava a rispondergli per le rime, chiamandoli «ortopedici dell’inconscio» e «garanti di un sogno borghese».
La cosiddetta «intellettualizzazione» non dipendeva solo dalla persona di Lacan (dalla sua intelligenza, dalla sua erudizione,
dalla sua ambizione), ma anche da quello che riteneva essere il cuore della scoperta freudiana e il suo vero scandalo: «l’inconscio pensa» è la formula con cui Lacan amava sintetizzare la scoperta di Freud. La ricercatezza dei sogni, dei lapsus, dei motti di spirito, così come di molte altre forme e creazioni sofisticatamente teoriche, sono tutte manifestazioni del lavoro dell’inconscio… Non c’è niente di irrazionale nell’inconscio.
Lacan diceva anche che il più grande scandalo provocato dall’idea freudiana della sessualità (nel suo legame con l’inconscio) non fosse tanto la sua cosiddetta bassezza, ma il fatto che fosse così intellettuale. «Era in questo senso che mostrava di essere degno lacché di tutti quei terroristi che avrebbero dovuto rovinare la società». È esattamente in questo senso che sostenere che il piacere di parlare (o di qualunque altra attività intellettuale) sia di natura «sessuale» non riguarda soltanto l’abbassamento di un’attività intellettuale, ma anche l’elevazione della sessualità a un’attività sorprendentemente intellettuale…
Ci sono pochi dubbi su dove Lacan voglia collocare la più importante divisione e il più importante conflitto nella psicoanalisi: «vorrei dire, a quelli che mi stanno ascoltando, come possono riconoscere dei cattivi psicoanalisti: dalla parola che usano per squalificare tutte le ricerche sulla tecnica e la teoria che fanno avanzare l’esperienza freudiana nella sua dimensione autentica. Questa parola è intellettualizzazione».2
Ma se l’incontro tra psicoanalisi e filosofia ha dimostrato di essere così interessante e produttivo per entrambe, l’ultima moda sembra invece essere quella di evitarlo a tutti i costi. I filosofi hanno riscoperto la filosofia pura e in particolare l’ontologia: occupati a inventarsi nuove ontologie, hanno poco interesse in quello che sembra, nel migliore dei casi, una teoria regionale legata a una pratica terapeutica particolare. Mentre gli psicoanalisti (lacaniani), sembrano più interessati a riscoprire il cuore «sperimentale» e clinico dei loro concetti, che spesso amano presentare come se fossero il sacro Graal – il Reale definitivo con cui soltanto loro, e nessun altro, hanno il privilegio di essere in contatto.

In questo senso questo libro, metodologicamente e ideologicamente, va contro al buon senso dei «nostri tempi» e si rifiuta di abbandonare questo terreno d’incontro a favore di «prodotti concettuali», «servizi» o «esperienze singolari» più accomodanti. Le pagine che seguono nascono da una doppia convinzione: innanzitutto che il sesso in psicoanalisi sia un concetto e che indichi una persistente contraddizione della realtà; e poi che questa contraddizione non possa essere circoscrittao ridotta a un livello secondario (come contraddizione tra enti già costituiti), ma che – in quanto contraddizione – riguardi la struttura e l’essere stesso di questi enti. È in questo senso che il sesso ha una rilevanza ontologica: non in quanto realtà, ma come torsione interna o inciampo della realtà.
Il rapporto tra «Lacan e la filosofia» viene affrontato qui nel punto dove la posta in gioco è più alta. Il sesso è la questione che normalmente viene lasciata fuori anche nelle appropriazioni più filosofiche di Lacan e dei suoi concetti; e l’ontologia è Lacan stesso a considerarla come parte del discorso del padrone, giocando con l’omonimia di maître (padrone) e m’être (da être, essere). L’ontologia implica «l’essere in riga», «l’essere agli ordini».
Eppure è proprio per questo che ci sembra fondamentale porre la questione «del sesso e dell’ontologia». È qui che si decide dell’incontro di psicoanalisi e filosofia.
Come disse Althusser, nel suo importante saggio Su Marx e Freud, una delle cose che il marxismo e la psicoanalisi hanno in comune è che si situano all’interno del conflitto che vogliono teorizzare, che loro stessi sono parte della realtà che riconoscono come conflittuale e antagonistica. In questo caso il criterio dell’oggettività scientifica non è una supposta neutralità, che non è nient’altro che una dissimulazione (e quindi una perpetuazione) di questo antagonismo o del luogo reale dello sfruttamento. In ogni conflitto sociale, la posizione «neutrale» è sempre e necessariamente la posizione della classe dominante, e lo è proprio perché ha raggiunto lo status di ideologia dominante e ci sembra fuori discussione. Il criterio dell’oggettività in questo caso non è la neutralità, ma la capacità della teoria di occupare un punto di vista singolare e specifico all’interno della situazione. In questo senso l’oggettività è legata alla capacità di essere «parziali» o «partigiani». Come dice Althusser: quando si ha a che fare con una realtà conflittuale (come accade per la psicoanalisi o il marxismo) non si può vedere tutto ovunque (on ne peut pas tout voir de partout): alcune posizioni dissimulano questo conflitto, mentre altre lo rivelano. Si può vedere l’essenza di questa realtà conflittuale solo se in questo conflitto si occupano alcune posizioni e non altre. Quello che questo libro si propone di mostrare è che nella psicoanalisi il sesso, o il sessuale, siano proprio questa «posizione» e punto di vista. Non per i suoi contenuti («sporchi» o controversi), ma per la forma singolare della contraddizione che ci costringe a vedere, a pensare e con la quale avere a che fare…

(continua in libreria…)

 

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