“Si nota all’imbrunire” il testo della drammaturga, regista e attrice Lucia Calamaro (vincitrice di tre premi UBU) in scena al Piccolo Teatro di Milano fino al 31 marzo, con Silvio Orlando nel ruolo del protagonista, affronta il tema della solitudine sociale, un male oscuro e insidioso, diffuso non solo tra gli anziani

Dopo la morte della moglie, Silvio (Silvio Orlando) si rifugia in una casa di un paesino spopolato. Lì, da solo, lontano da tutto e da tutti, si sente bene. Trascorre le giornate seduto, a rincorrere i pensieri che si affollano nel labirinto della sua mente, e non ha bisogno di nient’altro. Qualche volta canta una canzone, altre volte legge una poesia di Caproni, l’importante è sempre e comunque alzarsi il meno possibile. È questa la sua fissazione, la sua mania, il comportamento in cui si manifesta tutta la sua solitudine.

Proprio per mettere fine al suo isolamento e riportarlo alla vita reale, irrompono nella sua esistenza i tre figli: la noiosissima Alice (Alice Redini), l’inconcludente Riccardo (Riccardo Goretti), l’aspirante poetessa Maria Laura (Maria Laura Rondanini) e il fratello maggiore Roberto (Roberto Nobile), grande appassionato di citazioni e corse di moto.

Si nota allimbrunire

È estate e il tempo passa lentamente nella grande casa di campagna, dove la famiglia non può fare a meno che scontrarsi di continuo, litigare, impuntarsi su ogni piccolo evento quotidiano, dal caffè bruciato alla scelta del film da guardare insieme. Sono tutti esasperati dalla presenza dell’altro che ormai, nonostante il legame di sangue, non riconoscono più.

Come si trasformano i rapporti famigliari quando si invecchia e si diventa adulti? Cosa resta se non una logora e snervante confidenza? Una confidenza che però, come dice Silvio, “tutto sommato fa schifo”. Ci si ritrova soli, anche quando si è insieme alle persone che ci sono state accanto per tutta la vita.

Si nota allimbrunire

Si nota all’imbrunire (Marsilio) il testo della drammaturga, regista e attrice Lucia Calamaro (vincitrice di 3 premi UBU) in scena al Piccolo Teatro di Milano fino al affronta il tema della solitudine sociale, un male oscuro e insidioso, diffuso non solo tra gli anziani, ma ormai anche tra i più giovani.

Riprendendo un discorso già sviluppato nelle opere precedenti, come La vita ferma e L’origine del mondo, l’autrice si interroga sulla morte e sulla memoria, su come sia possibile sopravvivere a un lutto in una società che sembra non avere più spazio per la sofferenza. Appena stiamo male, sentiamo il bisogno di trovare una cura che possa guarirci. Tutto ci dice di dimenticare, di andare avanti, di ricominciare. Ma quando inizia a sbiadire il dolore, inevitabilmente, comincia a evaporare anche il ricordo.

Lucia Calamaro Si nota all'imbrunire

E allora cosa si fa? Lucia Calamaro non dà una risposta precisa. La sua scrittura è una continua riflessione che si attorciglia su se stessa, che scopre problemi e che poi, proprio nel momento in cui sembra arrivare a una soluzione, viene distratta da altri pensieri. L’impressione che si ha sentendo parlare i suoi personaggi – flussi di parole densissimi, monologhi e dialoghi fitti e ironici – è che si muovano di continuo, senza mai arrivare da nessuna parte.

Lei stessa una volta ha utilizzato un’espressione che rende perfettamente quello che sono i suoi testi: “drammi di pensiero“. La trama infatti è sempre pressoché inesistente, l’intreccio esile e tenue. Il palco diventa un luogo dove prendono il sopravvento i pensieri, e non le azioni. Eppure, nonostante questo impianto, difficilmente lo spettatore riesce distrarsi dalla rappresentazione, che sa dare voce e ordine a tutte quelle riflessioni che si trovano in un angolo della nostra mente ma che non conoscevano la strada per venire fuori.

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