Nati a Bologna nel 1977, gli Skiantos ci hanno lasciato un’eredità non indifferente, portando nella musica italiana qualcosa che prima, se non in misura omeopatica, non c’era: l’ironia. Ci hanno consegnato un nuovo strumento, il Demenziale, per destrutturare e superare la poetica dominante, le canzonette leggere, il gusto piccolo borghese, l’insopportabile mondo del Buon Senso Comune. Il risultato è un cocktail di “ironia, improvvisazione, poesia quasi surreale, cretinerie, paradossi e colpi di genio” – L’approfondimento sulla band di Roberto “Freak” Antoni

Il Demenziale: cos’è? Una specie di post dadaismo artigianale? Una specie di punk sarcastico, caustico e barzellettaro? Una scopiazzatura simil-patafisica? Una bravata da DAMS? Una cagata?”. Se lo chiede un ragazzo bolognese che al DAMS ha discusso la sua tesi di laurea.

“Il demenziale” prosegue “decide di essere banale, “stupido”, allusivo, esagerato, trasversale e aggressivo in contrapposizione alla retorica dei buoni sentimenti, alla prosopopea del linguaggio da cantautore, para-filosofo e finto poetico… Contamina con violenza tutta concettuale l’insopportabile mondo del Buon Senso Comune”.

Quest’uomo si chiama Roberto Antoni, e nel 1977, nella cantina di casa sua, fonda il gruppo degli Skiantos, quando il punk all’italiana è solo agli albori. L’anno seguente, in concomitanza con l’uscita del secondo album, lo stesso Antoni proporrà il suo manifesto del rock demenziale – da cui le precedenti citazioni – e coniando di fatto l’espressione stessa.

Cosa ha reso gli Skiantos così peculiari nel panorama italiano, apripista a numerosi altri bolognesi – Windopen, Teobaldi Rock, Luti Chroma, Gem Boy… – e ispiratori di fenomeni come Vasco Rossi, Elio e Le Storie Tese e Lo Stato Sociale?

Sempre a protestare, sempre a reclamare

Breve inquadramento: siamo a Bologna, sullo sfondo si consuma il Movimento del ‘77, nato da una protesta contro il progetto di riforma del ministro dell’Istruzione, che da Roma si era diffuso e rapidamente aveva attecchito in territorio emiliano. La situazione è carica di giovane rabbia: nello stesso periodo arriva dall’Inghilterra un genere nuovo, teso, perfetto per essere intriso di connotazioni politiche e comunicare da quale parte della barricata si vuole stare. È il punk, e la sua popolarità è alle stelle: cominciano a emergere i primi gruppi emiliani tra cui appunto gli Skiantos, che però, alla politica, dimostreranno presto di preferire altro. 

Questi giovani bolognesi rompono con la tradizione in senso sia contenutistico che formale. Dal punto di vista formale quello che gli Skiantos fanno, “molto semplicemente e quasi ingenuamente”, per citare Paolo Bertrando, “è mascherare il gioco delle simulazioni. Stanno sul palco, e fanno notare che sono gente che sta sul palco”. Il gruppo, la loro presenza scenica, sono uno spettacolo “totalmente destrutturato, fuori dal crisma della serietà”. È uno spettacolo che di fatto non funziona, ma “si serve del proprio stesso non funzionare”.

Troppo rischio per un uomo solo

Qualche esempio: siamo al Picchio Rosso di Carpi, alla fine degli anni Settanta. Il pubblico attende trepidante un’esibizione che in effetti ci sarà, anche se non della natura attesa. I membri del gruppo salgono sul palco con un fornello, prendono delle uova, le friggono. Il pubblico ride, è divertito – in fondo sono gli Skiantos – ma dopo un po’ comincia a spazientirsi. Lamentele, insulti, oggetti volano sul palco, alla fine sono tutti incazzati: ed è in questo clima che, come se niente fosse, i membri del gruppo consumano il suddetto pasto. Sarà solo dopo aver terminato con calma il loro spuntino che attaccheranno col primo pezzo.

Sempre di natura gastronomica, ma ancora più hardcore, la provocazione del 1979 – che lo stesso Roberto Freak Antoni diceva aver toccato “a seconda dei punti di vista, il fondo e l’apice nello stesso momento”. Sul palco del Bologna Rock questa volta si portano una cucina, un frigo, un tavolo e un televisore: mettono a bollire degli spaghetti e se li mangiano, senza suonare nulla. Teatro dell’assurdo. Gli spettatori, più furiosi che mai, si beccano degli insulti memorabili: “Non capite un cazzo: questa è avanguardia, pubblico di merda!”. Questa esibizione, da molti estimatori non apprezzata e non compresa, fu da altri interpretata come il tentativo di trascendere un’immagine di rock band troppo tradizionale, percepita come falsa, limitante, ormai divenuta parte di quell’ordine costituito a cui gli stessi si proponevano di dare perlomeno una vigorosa spettinata.

Di tutt’altra natura ma ugualmente degni di menzioni altri due episodi. Il primo è il tentativo di concorrere a Sanremo (festival peraltro da loro aborrito) con una canzone sulle flatulenze, dall’eloquente titolo Fagioli. La loro prevedibile eliminazione all’ingresso venne definita da Jimmy Bellafronte, una delle voci del gruppo, uno dei loro “maggiori successi”. Secondo episodio: edizione di Telethon, trasmessa in diretta da Rai1. Dubbi serpeggiano nella band, ma Freak Antoni ha le idee chiarissime: suoneranno “Calpesta il Paralitico”, che egli presenterà come “suggerita da un amico handicappato molto intelligente e molto ironico, contrario alla retorica dei buoni sentimenti, contro tutti i falsi pietismi”.

Gli Skiantos si appropriano di fatto dell’ideologia dadaista conosciuta e approfondita al DAMS (tutti i membri ne erano studenti), costituita dal superamento degli standard e dal rifiuto delle convenzioni, dalla loro ridicolizzazione, dalla volontà di sorprendere esteticamente e contenutisticamente, il tutto imbevuto di ironia e comicità in salsa bolognese.

Bau Bau Baby

Non deludono, chiaramente, anche i contenuti. Come sono le loro canzoni? A tratti volgari, ma principalmente allusive, ironiche, dissacranti, superficiali solo in apparenza. 

La più famosa a oggi è forse Mi piaccion le sbarbine, dall’album Kinotto. Qui il sarcasmo è al suo meglio: le sonorità più dure e “rock” si fanno più soft, e la voce di Antoni prende un improbabile accento britannico, parodia di quei cantanti inglesi che negli anni Sessanta, con le loro (banali) strofe d’amore e il loro fascino esterofilo, facevano breccia nei cuori dei più. Dall’abusato tema dell’amore per una ragazza, unica e speciale, si passa a una dichiarazione sì, ma per un sacco di ragazze, nello specifico per innocue ragazzine (dal femminile di sbarbino, da sbarbo, sbarbato) intercambiabili nella loro apparente diversità.

Ma a essere considerata pietra miliare del rock demenziale è Eptadone, dal secondo album MONO tono. Una serie di rime baciate e una narrativa lineare, parodia della banalità di molte canzoni italiane (Sono andato alla stazione / ho cercato l’eptadone / poi m’ha preso l’emozione / son scappato col furgone), precedute da una serie di frasi in gergo giovanile alterate con un octaver (Sbarbi, sono in para dura. Schiodiamoci, schiodiamoci) danno giusto qualche pennellata ma riescono a dipingerci una panoramica puntuale e dissacrante della Bologna tossica degli anni Settanta, ispirando la produzione artistica di numerosi musicisti. Rivoluzionaria, secondo gli Skiantos stessi, l’introduzione di slang che “oggi è dilagante ma a metà degli anni ’70 non si usava, perché l’italiano dei cantautori era pulito”. Il brano è stato tra le altre cose scelto per la colonna sonora del film Paz!, dedicato ad Andrea Pazienza, e spunto per il nome dello Slego, celeberrimo locale rock del riminese.

Il pezzo che si avvicina di più a un manifesto programmatico è invece Largo all’avanguardia: le sonorità sono sporchissime e punk al pari dei testi, dove viene insultato un pubblico che vuole fare “cori che profumano di fiori”, mentre gli Skiantos ci vituperano e ci fanno presente che “l’avanguardia è molto dura, e per questo fa paura”. 

Poi in tempi molti più recenti Sanissimo (da Sogno Improbabile del 2005), che potremmo spingerci a considerare una versione moderna e demenziale de La Morte di De André: di nuovo in rima baciata, gli Skiantos ricordano che per quanto tu possa rispettare il tuo corpo come un tempio, aver raggiunto le alte cime del Sapere e una posizione economicamente invidiabile, al massimo “morirai sanissimo”, e “ti piacerà pochissimo”. 

Infine, da segnalare il 45 giri con le tracce Karabigniere Blues e Io sono un autonomo. Qui sono rappresentati (ironicamente) due mondi antitetici, la disciplina dell’Arma e la libertà intellettuale e politica dell’autonomia, ed entrambi vengono più o meno bonariamente derisi: questo ci fa capire la loro posizione di mine vaganti, contro la retorica istituzionale ma anche contro quella nascente della sinistra, abitanti di una terra di nessuno in anni e luoghi dove arte e impegno politico erano soliti andare a braccetto. 

Sono un ribelle mamma

Gli Skiantos, sebbene oggi non molti fuori dal contesto bolognese ne siano consapevoli, ci hanno lasciato un’eredità non indifferente. Dal punto di vista prettamente musicale e tecnico non hanno portato grandi contributi (non erano dei grandi virtuosi, Antoni stesso si è sempre definito un dilettante), a eccezione di elementi come un’interessante mescolanza di punk con assaggi metal, disco, funky – miscellanea ripresa in primis da Elio e Le Storie Tese – e sicuramente possiamo ravvisare dei precursori – negli anni Sessanta Clem Sacco con brani come O mama, voglio l’uovo a la coque e Baciami la vena varicosa, o i più conosciuti Squallor, che ci hanno regalato anche due film grotteschi oggi cult – ma sono stati gli Skiantos più di tutti a portare nella musica italiana qualcosa che prima, se non in misura omeopatica, non c’era: l’ironia.

Ci hanno consegnato un nuovo strumento, il Demenziale, per destrutturare e superare la poetica dominante, le canzonette leggere, il gusto piccolo borghese, l’insopportabile mondo del Buon Senso Comune. La rima domina sul significato, ai classici oggetti di attenzione poetica (l’amore, la sofferenza, l’impegno) viene contrapposto qualcosa di molto, molto diverso: pastasciutta, caccole, piedi enormi, sesso e karnazza, bibite e formaggi. Non è che il tentativo di instupidire liriche già banali, mostrando con ribaltamenti ed estremizzazioni quanto ci sia già di grottesco in moltissime canzoni italiane, ridicole nella loro innocuità – e di ridicolmente serio sul versante impegnato, dove la rima veniva rifiutata a prescindere per la sua “volgarità”. Ma non si fermano qui: a distinguerli dagli altri gruppi punk una critica che finisce per rivolgersi anche al punk stesso, alla sua eccessiva carica politica e ideologica. Un’opposizione al sistema, insomma, che passa per la ridicolizzazione del sistema stesso: negli anni della lotta, i cantori della satira alla lotta.

Merda d’artista

Gli Skiantos sono musica “nata per disperazione”, suoni disturbanti venuti fuori dalla voglia di reagire con furia a una situazione musicale costipata tra disco/dance, cantautori più o meno impegnati e qualche rock “anemico e ripiegato su se stesso e i suoi stereotipi”. Il risultato è un cocktail micidiale di “ironia, improvvisazione, poesia quasi surreale, cretinerie, paradossi e colpi di genio”. Un beverone a tratti di difficile digestione, ma che col suo stesso fare schifo ci trascina in un mondo capovolto dove prendersi gioco di tutto, provocatoriamente, stupidamente, approda al significato originale: rispedire al mittente, nei modi tutti loro, la sua inaccettabile (insensata) ricerca di senso.

nota: la foto grande è tratta da Onda Rock

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