“Confesso: io non ho sorelle. Sono costretta a spiegarlo quando mi chiedono perché ne ho scelte due – le preadolescenti Jill e Mia, ambigue e conturbanti, in competizione tra loro fino alla morte, letteralmente – come protagoniste del mio romanzo “Un’assoluta mancanza”. Francesca Bussi, raccontando il suo libro d’esordio su ilLibraio.it, compie un breve viaggio tematico nella storia della letteratura e del cinema

«All’epoca, mi sembrava forse un sacrilegio essere migliore di mia sorella. Ero talmente abituata al suo essere la prima, da accettare di buon grado il mio secondo posto sul podio, senza nemmeno provare a capovolgere l’ordine delle cose. Jill era alfa, era uno: questo era il suo destino, nel bene e nel male, e a me sembrava inutile e quasi blasfemo cercare di oppormici».

Le sorelle si abbracciano, si confidano segreti, s’intrecciano i capelli l’una con l’altra prima di andare a dormire. Prendi una famiglia felice, e niente renderà più immediata questa felicità del legame solido e solidale tra sorelle: Meg, Jo, Beth e Amy March, le Piccole donne di Louisa May Alcott si raccontano storie davanti al caminetto.

Le sorelle si odiano, cercano di uccidersi, si pizzicano a vicenda la carne tenera delle braccia. Prendi una famiglia infelice, e niente renderà più immediata la sua rovina della rivalità tra sorelle: Jane e Blanche Hudson, le due star al tramonto di Che fine ha fatto Baby Jane? finiscono su una spiaggia tra gelati, secchielli e sepolture nella sabbia.

E forse queste ultime ci piacciono persino di più delle candide signorine March.

Perché non è vero, come dice proprio Beth in Piccole donne, che «gli uccellini dello stesso nido vanno d’accordo». Non è vero per niente. Spiega la psicologa Terri Apter in The Sister Knot che gli uccelli fanno proprio il contrario: tante specie, come l’aquila nera, si uccidono tra fratelli ancora pulcini, spingendosi giù dal nido, beccandosi a morte, in lotta per qualche verme e un po’ di tepore. Quindi, sì: avere una sorella può essere un’esperienza difficile. La psicanalista Juliet Mitchell dice nel suo saggio Siblings che il trauma della relazione con un fratello o una sorella è il trauma del rendersi conto che non si è unici. L’“altro” è come noi, dentro la famiglia ha il nostro stesso rapporto con i genitori, e però è anche qualcuno di totalmente diverso. Lo si ama con la forza cieca e tenace dei bambini, ma allo stesso tempo lo si detesta perché è una minaccia, un changeling scambiato in culla dalle fate e pronto a prendere il nostro posto.

Confesso: io non ho sorelle. Sono costretta a spiegarlo quando mi chiedono perché ne ho scelte due – le preadolescenti Jill e Mia, ambigue e conturbanti, in competizione tra loro fino alla morte, letteralmente – come protagoniste del mio romanzo Un’assoluta mancanza. Forse è proprio perché non ne ho, che mi è difficile immaginare un rapporto più enigmatico, fecondo di spunti inquietanti e ossessioni. Che le sorelle siano una coppia, e non di più, soprattutto mi sembra importante: viene l’uno, e poi il due, e poi basta. I rapporti di forza e potere hanno da subito i bordi netti del taglio di una lama, e personalità diverse si fronteggiano da poli opposti. Il fatto che non si tratti di gemelle, poi, aumenta le differenze, con un effetto ancora più straniante. Succede anche nelle storie a lieto fine, figuratevi in quelle dark: Biancaneve e Rosarossa, nella fiaba dei fratelli Grimm, sono lontane tra loro come il giorno e la notte; Elinor e Marianne Dashwood incarnano secondo Jane Austen una la Ragione e l’altra il Sentimento (d’accordo: qui ci sono anche una sorella, Margaret, e un fratello, John, ma sono personaggi decisamente minori).

Ho letto critici sostenere che, dopo una stagione di thriller sul matrimonio in stile L’amore bugiardo, potrebbe essere arrivato il momento del “noir sororale”, da Amy Gentry con La ragazza del passato a Nuala Elwood con I segreti di mia sorella, da Paula Hawkins con Dentro l’acqua fino a Mad di Chloé Esposito. Chissà, chissà. Di sicuro, da sempre sangue & sorelle sembrano andare d’accordo, s’incamminano a braccetto per la stessa, tortuosa, scala a chiocciola della psiche umana. Penso a Merricat e Constance Blackwood, le due misteriose recluse di Abbiamo sempre vissuto nel castello, quel gioiello di Shirley Jackson del 1962. La stessa aria gotica si respira – in un altro Paese, in un’altra epoca – nel film horror coreano Two Sisters, una trasposizione del 2003 di una leggenda di fantasmi, suicidi e matrigne cattive. E si sta diffondendo, come un gas letale: negli Stati Uniti hanno appena annunciato la serie tv true crime Twisted Sisters, racconterà vere storie di sorelle assassine. So già che dirò: quanto vorrei averle scritte io.

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Francesca Bussi (nella foto di Umberto Gillio, ndr) nata nel 1985, lavora come giornalista per la rivista Gioia! dopo aver scritto per anni su Vanity Fair. Nel 2001 è stata finalista al Premio Campiello Giovani con il racconto Eleneide. Bussi è al debutto nel romanzo con Un’assoluta mancanza, Rizzoli, che indaga il lato più oscuro del legame tra due sorelle.
La protagonista del romanzo, Mia, è sempre stata orgogliosa della sua memoria. Non c’è giorno, per quanto trascurabile, che lei non conosca nel dettaglio: ciò che mangia, ciò che indossa, ciò che sente, ogni cosa viene registrata e conservata con cura, come un’istantanea che resiste alla prova del tempo. Eppure nel suo passato c’è un grande vuoto, un’assenza che sfugge a ogni tentativo di ricostruzione: perché Mia, che ricorda tutto, ha dimenticato sua sorella Jill. Sa che c’è stata, e sa che a un certo punto è stata uccisa: il resto l’ha scordato, non saprebbe dire come. Jill è il grande tabù di cui non è consentito parlare. Per sfuggire al suo fantasma, la famiglia ha dovuto attraversare l’oceano e trasferirsi a Roma. Fino a quando, dopo anni, la polizia non contatta Mia per riaprire il caso. È così che i ricordi cominciano a riaffiorare…

 

Fotografia header: francesca bussi - foto di Umberto Gillio

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