“Che il tema della crisi dei trentenni sia ormai un caposaldo dell’informazione e dell’immaginario contemporanei lo dimostrano i numerosi luoghi comuni che circolano sull’argomento: ogni generazione si è ciclicamente confrontata con la frase ‘lascio tutto e apro un chiringuito in Costa Rica’…”. Simone Lisi, esordiente fiorentino in libreria con “Un’altra cena”, riflette su ilLibraio.it della crisi di una generazione, in bilico tra precariato e precarietà, e propone un compendio di famosi trentenni descritti in narrativa come nel cinema. Il loro caposaldo? Dante Alighieri…

Che il tema della crisi dei trentenni sia ormai un caposaldo dell’informazione e dell’immaginario contemporanei lo dimostrano i numerosi luoghi comuni che circolano sull’argomento: ogni generazione si è ciclicamente confrontata con la frase “lascio tutto e apro un chiringuito in Costa Rica”. Parafrasando il celebre slogan di una marca di pasta, si potrebbe affermare che oggi dove c’è un trentenne, c’è crisi. A dimostrazione di come il concetto sia ormai un topos si può riscontrare la presenza massiccia di un lessico specifico sull’argomento e che nel tempo sembra essersi, per così dire, storicizzato: i fannulloni, il posto fisso, il precario, la precarietà, il lavoro precario, etc.

Il tema del lavoro è, ovviamente, centrale: il giovane che si affaccia in quel mondo riesce a vedere qualcosa che l’abitudine e la fatica, nel giro di poco tempo, non gli permetteranno più di vedere. Grazie al suo sguardo “nuovo” è possibile per lui cambiare (o pensare di cambiare) qualcosa che per i suoi colleghi più vecchi è semplicemente ciò che esiste; d’altra parte la crescente velocità del mercato non permette di sedimentarsi mai realmente in un posto (il miraggio del posto fisso), non permettendo quindi di sentirsi mai, o raramente, parte attiva e stabile di un progetto. Ci sono, certo, fortunate eccezioni, ma in generale quasi tutto quello che avviene a un trentenne è appunto il risultato di una fruizione passiva, instabile, talvolta si può dire distonica.

Altro tema chiave è la questione della coppia. Da una parte si apre il modello della famiglia tradizionale che, per quanto scricchiolante, resiste e sembra l’unico in grado di garantire un po’ di sicurezza; dall’altra parte le vaste praterie della vita da single, prosecuzione idealizzata dello stile di vita che si è avuto da giovani. I numerosi tentativi di ridefinire la vita di coppia, con tutte le categorie e sottocategorie delle forme di amore sembrano cercare di riportare qualche appiglio, qualche possibilità di identificarsi, di poter dire “ecco, noi siamo questo”.

Una condizione instabile che rischia di mettere in crisi anche il grande imperativo biologico cui si giunge più o meno nel mezzo del cammin di nostra vita: la possibilità di mettere al mondo un figlio non si protrarrà all’infinito, ma sarà possibile averlo? Lo si vuole davvero?

La letteratura ha al riguardo una tradizione che possiamo quasi pensare come un sottogenere letterario. Se andiamo alle origini della grande letteratura vediamo quanto il tema sia universale, dalla flaubertiana Educazione Sentimentale alla Montagna Incantata di Mann, senza ovviamente dimenticare il trentenne più in crisi della letteratura mondiale, Dante Alighieri. Hans Castorp, ne La montagna incantata, durante il suo soggiorno al sanatorio si presenta ai nostri occhi come un trentenne in crisi. La febbre che lo accompagna non è diversa da una febbre metaforica che brucia nel petto di un trentenne alla ricerca di sé. E Dante? Nel mezzo del cammin di nostra vita, un’età che i critici hanno stabilito intorno ai 35 anni, mi ritrovai in una selva oscura: secondo il nostro ragionamento dobbiamo pensare all’autore della Divina Commedia come un precursore e il capostipite di questa filiazione.

Cercando classici più vicini a noi, ad affrontare la crisi dei trentenni potremmo annoverare La vita agra di Luciano Bianciardi e Le cose di Georges Perec: entrambi nei loro lavori anticipano tematiche oggi attuali, come ad esempio lo sfruttamento del lavoro creativo e le difficoltà che comportano contratti senza garanzia (“il riscaldamento te lo paghi da te”), oppure i desiderata dei giovani (le cose, appunto) con il fine ultimo di svelare che dietro allo sforzo di realizzazione proprio dei trentenni vi è un obiettivo oggettuale che è ben poca cosa.

Venendo all’oggi, non si può eliminare da questa carrellata la produzione cinematografica: basti pensare a pellicole di enorme successo di pubblico, come L’ultimo bacio di Silvio Muccino, Smetto quando voglio di Sidney Sibilia o Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, per citarne tre molto diversi; ma anche nella filmografia più di nicchia il tema è fortemente presente. La situazione “limbica” dei trentenni sembra insomma qualificarsi come una vera e propria cartina di tornasole per sentire il polso della società.

Anche nella narrativa, con la medesima varietà di stili, si avverte un’esplosione del tema, una diffusione dovuta in parte al fatto che, molto spesso, chi scrive è un trentenne in crisi e in parte all’altro fatto innegabile: che è una condizione ormai interiorizzata e quasi inscalfibile, quella della precarietà. E allora possiamo dire che un rappresentante di questa condizione esistenziale è Giorgio Falco, il quale in Ipotesi di una sconfitta affronta con toni sia autobiografici sia socio-economici il mondo del lavoro degli ultimi vent’anni. La connessione fortissima tra il protagonista/narratore e la vicenda di cui tratta, afferma che l’interno e l’esterno non sono separati, quanto l’opposto. Altro autore contemporaneo è Lawrence Osbourne che, nel suo Cacciatori nel buio, affronta il tema della fuga in Paesi asiatici dove la vita non costa quasi niente, ed è possibile sopravvivere con una piccola rendita proveniente dal Paese di origine.

Infine per citare due autori italiani possiamo pensare al Vanni Santoni di Personaggi Precari e al Paolo Gamerro di Sbiadire. In entrambi vi è un elemento ironico che quasi sfocia nella disperazione e nel cinismo. Il toscano con delle velocissime pennellate racconta tutte le idiosincrasie dei trentenni (di una quindicina d’anni fa, ma ancora attuali), il secondo racconta di un giovane che sogna di diventare uno scrittore e tutte le difficoltà per ottenere ciò che desidera.

Sono romanzi che lasciano poco spazio alla speranza, all’immaginazione. L’atmosfera che si respira è spesso cupa e opprimente: è però una condizione raccontata con una sorta di sorriso, quasi a lasciare intravedere che questi intellettuali giovani e tristi (per citare un altro romanzo, quello di Keith Gessen), infine ce la faranno, e, come il loro grande padre putativo, usciranno infine a riveder le stelle.

un'altra cena simone lisi copertina effequ

L’AUTORE E IL LIBRO – Simone Lisi, fiorentino classe ’85, scrive racconti per antologie e diverse riviste, cartacee e online, tra cui Gabinetto Viesseux, Marcos y Marcos, Scrittori Precari, Pratosfera, A few words, L’inquieto, Verde Rivista, Effequ). È uno dei fondatori di In fuga dalla bocciofila, collettivo che si occupa di cinema e narrazioni, ed è nella redazione della rivista online Stanza251.

Quattro amici trentenni a tavola, una cena qualunque, una sera qualunque. Parlano di tutto, di canarini liberati, di viaggi in Cilento, di mondi paralleli in cui i bambini non crescono oltre i tre anni di età. Discorsi pour parler, interrotti, troncati, in cui sono le parole stesse a mostrarci i caratteri dei quattro personaggi: chi saranno tra dieci anni, i tic, i desideri, i mutui, le colazioni, le case. I segreti che li fanno alzare al mattino. Una cena divisa in quattro atti, in una placida attesa del disastro inevitabile, che anche se cerchi di tenere lontano, fuori dalla porta di casa, torna sempre ad affacciarsi.

Libri consigliati