Con “Trump Sky Alpha” Mark Doten crea un universo narrativo in cui internet ha creato condizioni di totalizzazione tali da non poter condurre ad altro che alla fine del mondo. Trump schiaccia il famoso bottone, il mondo esplode e nel mentre la gente, naturalmente, si riserva online in un carnevale impazzito di vecchi e nuovi meme. Un libro che fa l’effetto disturbante di constringerci a guardarci in faccia e chiederci, come cultura, chi siamo – L’approfondimento

Mettete caso che sfili davanti ai vostri occhi, live, con tutta sua spettacolarità, la fine del mondo. Cosa fareste? Che succede al mondo durante la fine del mondo?

Il set delle risposte disponibili di solito non varia di molto, comprende: dichiarazioni d’amore fluviali ed elaborate scuse a errori imperdonabili; atti di bellezza, d’amore o di autodistruzione; prime e dunque ultime volte; miasmi delle droghe mescolati alle preghiere. Ci piace pensarla così, raccontarcelo.

Ma è ragionevole supporre che andrebbe diversamente. Più che un attaccamento inedito alla vita, fatto di azioni da emancipazione totale da se stessi, magari si intensificherebbero i flussi di azioni quotidiane; precisamente la fine del mondo la passeremmo online, al solito, di fronte al meme definitivo sugli zombie venturi, guardando la quota di angry reaction crescere davanti a foto bambini bruciati, il live tweeting da New York o Parigi, statua e torre: crollate, e ancora le stories da Bardonecchia, la zia che posta su Facebook la catena che, raggiunta la quota di like, interromperebbe l’apocalisse, e lunghissimi post in subreddit scarsamente popolati scritti da estranei che lottano a chi l’aveva previsto prima, eccetera eccetera.

La vede così Mark Doten in Trump Sky Alpha (Chiarelettere, tradotto da Teresa Ciuffoletti) – e non è l’unico: è un microimmaginario che passa da Lol di Teju Cole e salta fuori in certe immagini di Kate Tempest  –  un romanzo disturbante per la capacità di suggerire la stessa assenza di contraddizioni, lo stesso moto perpetuo di oscillazioni, tra due generi che hanno tradizionalmente convenzioni narrative opposte: la massima quota di realismo e la massima quota bizzarria fantascientifica, ma che sempre più spesso combaciano nella realtà.

trump sky alpha

Insomma, l’aria dei tempi: la realtà come black mirror ma noioso, senza i ritmi narrativi, senza montaggio: la realtà del sistema di credito sociale in Cina, di Cameron in odore di zoofilia con un maiale; dell’epopea quotidiana di Trump, coi ragazzini macedoni e le notizie false, il pissgate, Pepe, e ancora Trump che per il New York Times di recente ha inavvertitamente dato la luce alla Nuova Guerra Fredda; roba da Humans of Late Capitalism.

La gente nel romanzo di Doten scherzava sulla fine del mondo come se non ci fosse un domani”. Internet salta per pochi giorni per il più grande attacco informatico della storia, il mondo si paralizza e quando torna a funzionare ci sono sei miliardi di morti e nessuno sa cosa sia successo – Trump ha premuto il famoso bottone, inserito i codici, lanciato le testate nucleari e innescato una reazione a catena per poi scamparla su un lussuoso zeppelin dal quale continua a twittare.

Intanto, la cultura digitale rigurgita i vecchi meme ed emerge “il bisogno schietto e sempre più febbrile di conferme, di retweet, e di like, alimentando immediatamente nuove ondate di battute. Mi pappo tutti gli ultimi like metti like. Incetta di like. Se stai bene metti mi piace, ritwitta se stai GIF: [teschio urlante in fiamme]. Bebè che esulta alzando il pugno: Appena ottenuto l’ultimo like del mondo”.

Siamo in un universo narrativo postumo (“La storia è finita. È la fine della fine della storia. La storia si è presa tutto quello che ci stava a cuore e ha tolto il disturbo”) con tutto quello che ne consegue – sia al livello del romanzo, sia dei suoi significati (“Che cosa succede a quelli tra noi i cui contorni sono stati silenziosamente ridefiniti, coloro che sono stati plagiati, costretti a ripetersi che va tutto bene, che non sta succedendo niente, mentre in realtà parti di loro urlano).

Qui si muove Rachel, la protagonista. È una dei pochi sopravvissuti: una giornalista che ha perso la figlia e la moglie durante l’attacco. A distanza di un anno, il suo capo, Galloway, le assegna un pezzo sull’umorismo al tempo della fine del mondo, per la prima edizione di un redivivo New York Times. Rachel accetta perché in cambio le viene offerto di poter cercare i corpi della sua famiglia. Da qui si innescano i movimenti narrativi, che vanno dall’intervista a Sebastian de Rosales, romanziere filippino, autore del libro che ha ispirato l’attacco a internet, alle vicende del gruppo di hacker che ha messo ko il sistema (“La Voliera”), a storie di buchi nel cranio, di uccelli, di bambini e violenze, la ricerca di una password perduta.

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(via)

Non è un romanzo di trama, come si dice, però, ma uno di quelli che provano a rendere la frammentarietà dell’esperienza contemporanea e l’incapacità di ricomporla in una sintesi capace di darle senso destrutturando le strutture narrative, o per dirla diversamente: di dare la sensazione di cosa si provi a stare al mondo oggi attraverso l’uso del linguaggio; di incasellare questa sensazione in una forma.

In effetti, Mark Doten non vuole scrivere il romanzo definitivo sul questo clima da gotico futuro che si respira, ma forse chiudere internet in una stanza, dopo il suo precedente The Infernal. Di Trump Sky Alpha quello che stupisce è la capacità di gestire diverse opzioni stilistiche e narrative, dal linguaggio del web, alla narrazione più tradizionalmente romanzesca, ai monologhi di Trump fedeli al suo idioletto eccessivo, ai discorsi folli dei membri Voliera, in modo tale da creare effettivamente una mimesi significativa dell’esperienza che facciamo del linguaggio, e quindi del mondo, online e non.

Questo non significa che non affronti dei nuclei di significati densissimi. Al contrario, prende di petto quello che in qualche modo è il problema presente nella struttura profonda, nel codice sorgente, di alcuni dei discorsi più significativi in circolazione. Quello di essere immersi in sistemi totalizzanti e nell’interazione semiautomatica di sistemi di sistemi, di cui Internet, la rete, è solo il più evidente, il più familiare, il più adatto a un uso metaforico.

Doten ha dichiarato: “Sono affascinato dall’impulso a comprendere interi sistemi, siano piccoli o impossibilmente vasti. Come possiamo includere un mondo come un oggetto conoscibile (cognizable) nella fiction?”. Di conseguenza, com’è la vita, all’interno  e di fronte, a sistemi enormi, vasti, interconnessi che forse sono stati sempre lì, ma adesso ci si stagliano di fronte? Provare a includere questi oggetti nella fiction significa esplorare i corollari della loro esistenza. Che ci facciamo? Cerchiamo collettivamente forme più semplici? (“E poi arrivò il vento, la grande rititrata, la Polonia, l’Ungheria e la Brexit, una fuga dai mercati internazionali, dai sistemi totalizzanti”). Come muoversi se l’enormità di questi sistemi renda una comprensione a livello sintetico impossibile; dove finiscono i sottoprodotti dei loop di cause ed effetti? (“Si setacciavano gli anniversari in cerca di indizi e parallelismi, di motivi ricorrenti. Si facevano distinzioni e collegamenti, si stabilivano rapporti di causa-effetto per creare una parvenza di significato”, “il sistema non si vede, non puoi vederlo davvero o conoscere un oggetto in sé, un atomo in sé, tuttavia gli oggetti esistono e gli atomi pure, sono fisicamente presenti”). Anche perché un sistema che tende alla totalità è dove un assunto e il suo contrario sono contemporaneamente veri. (La cifra peculiare della visione del mondo di Trump, scriveva Corey Robin su n+1, è che per lui A non è A). E cosa succede all’esperienza se proprio questi sistemi sono strutturati a partire dalla realtà, ma a loro volta la strutturano? (Internet è dialettico: “é un prodotto delle condizioni economiche e a sua volta le produce”).

Come sottrarsi dalle sue logiche veramente profonde e inavvertite? (“è così che si crea un sistema, piegandoti a protocolli che non vedi e che fai finta di non vedere”). Non ci sono vie percorribili, o questa è la sensazione, ma solo i grumi del desiderio e la nostalgia soffocante della possibile, così come si è cristallizata nel racconto di precise fasi passate in cui una nuova forma di umanità sembrava una possibilità concreta (Mentre oggi “avevo la sensazione, me lo ricordo ancora, di guardare dei fantasmi che mettevano in scena qualche vecchio dramma dimenticato”). Gli hacker del romanzo basano le loro azioni sulla volontà di uscire dal sistema totalizzante di internet, perché a loro dire “l’universo è stato programmato affinché internet nei suoi suoi quarant’anni di esistenza creasse condizioni di totalizzazione tali da rendere possibile la fine del mondo. Così da eludere, grazie alla diffusione e all’infiltrazione ubiquitaria della rete, il controllo esercitato della distruzione mutua assicurata”, ma le opzioni in campo sono: uno, letteralmente la fine del mondo, due, un buco in testa. Perché a modificare anche solo di un millimetro qualcosa con un equilibrio così fragile e così densamente stratificato ti ritrovi senza “brodo primordiale, o mastodonte che barrisce, niente TV, niente nastro isolante, niente polistirolo né computer per noi”.

Insomma, Doten è capace di sfaccettare la vastissima tematica della totalizzazione chiedendosi come un discorso al tempo stesso così astratto e così concreto (plasticamente rappresentato da Internet) interagisca con le nostre esperienze private, la vita pubblica e il sistema di desideri, paure e aspirazioni che emergono nell’immaginario. Ma non solo, è anche una tematica che si trasla su un piano strettamente letterario.

trump sky alpha

Qualche anno fa Tom McCarthy scriveva sul Guardian un pezzo provocatorio intitolato così “La morte della scrittura – Se James Joyce fosse vivo oggi starebbe lavorando da Google; l’idea, semplificando, è che la concezione di romanzo al centro di gran parte delle estetiche della modernità era quella di un uber-libro capace di dare un’idea così vasta e complessa del reale da esserne una rappresentazione in scala, ma dotata di significato: nell’Ulisse, secondo McCarthy, Joyce volesse rappresentare un’intera cultura, offrirne appunto una rappresentazione totalizzante, dal micro al macro livello: dalle sue pubblicità, ai suoi riti, al suo passato e futuro. L’aspirazione di Mallarmé era che tutti gli oggetti del mondo esistessero per finire nel livre; in due parole, Google, se è vero che quanto non esiste su Google è a rischio di inesistenza. Ma in quale modo può competere il romanzo se internet, la cultura digitale, è quella della traduzione di tutto l’esistente nel suo linguaggio, dall’immagine in pixel, alle vite privati in dati quantificabili e monetizzabili (Data – ripetono ovunque – is the new oil). Se il mondo, le sue forme, per dirla con Trump Sky Alpha, è il luogo dove internet ha ludicizzato il microcredito e monitorato i sogni, elaborando ogni notte transazioni per cinquantamila miliardi di dollari, la produzione è stata soffocata, essenzialmente, dai mercati internazionali. E le persone sono diventate le principali esportazioni, prendendo il posto delle merci. Se la sua logica profonda, il siate affamati, siate folli, è una logica da sciame di cavallette, come scrive Doten (e grazie per averlo scritto) ed è una logica, che estremizzata e socializzata, può condurre solo ai margini di un’esplosione.

Naturalmente sembra una visione eccessiva, iperbolica; una visione che giustamente ha il suo universo di riferimento in un mondo già esploso, ma è curioso notare come quando si riescano a intersecare questa somma di temi, le costanti di equilibrio del reale, i suoi linguaggi e i suoi idioletti e, volendo, addirittura a oscure questioni di teoria letteraria, sembra quasi, che, a volte, in alcuni punti precisi, come per magia, i libri siano in grado di guardarlo in faccia, il mondo, e guardarlo davvero.

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