Nikel ha trent’anni, è originario dell’est ma vive in Italia da quando era bambino. La sua vita è spartana e solitaria. L’unica persona che frequenta è un anziano bibliotecario che gli dà lezioni di italiano e gli consiglia i libri da leggere… – Su ilLibraio.it un estratto da “L’ultima menzogna” di Giovanni Pannacci

Nikel ha trent’anni, è originario dell’est ma vive in Italia da quando era bambino. La sua vita è spartana e solitaria, nessun amico e nessuna relazione stabile. L’unica persona che frequenta è Attilio, un anziano bibliotecario che gli dà lezioni di italiano e gli consiglia i libri da leggere. La vita di Nikel cambia radicalmente quando conosce Olga Kersten, un’affascinante scrittrice con un passato oscuro e doloroso molto simile al suo. I due iniziano a frequentarsi ma la relazione è turbata dalla presenza di Lyubim, l’ex compagno di Olga, un uzbeko che lavora come guardia del corpo, che non intende rinunciare a quella che considera la sua donna.

Attraverso minacce e provocazioni Lyubim si insinua nella vita della coppia, finché fra i tre si instaura un rapporto erotico molto forte e ambiguo, che s’interrompe solo quando l’uzbeko viene ritrovato morto sugli scogli. L’ultima menzogna (Fernandel) di Giovanni Pannacci (che insegna lingua italiana agli stranieri e si occupa di certificazioni linguistiche) è un romanzo sul potere della scrittura, sul confine invisibile che separa la realtà dall’invenzione, sul patto che lega lo scrittore al lettore; ma è anche un romanzo che ruota attorno a un desiderio ambiguo e pericoloso che finisce col portare i protagonisti lungo strade inaspettate ed estreme.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un breve estratto

Quando ritrovarono l’uzbeko sugli scogli, io stavo finendo il turno alla pompa di benzina. Il mio è un lavoro semplice, di quelli ovvi. Di quelli che la gente quasi non si accorge che lo stai facendo e va via senza salutare. Una cosa banale, che se non la fai tu la fa qualcun altro, dunque che c’è da ringraziare. Mica mi hai venduto un appartamento o progettato un grattacielo. Mica mi hai guarito il cane, fatto vincere una causa, sistemato il computer. Macché.

Io questi lavori non li posso fare, perché sono straniero. Ma io la tua lingua l’ho studiata, me la sono pigiata dentro al sangue da quando ero un bambino di dieci anni e ne parlavo un’altra, di lingua, buona solo a farmi sopravvivere in un posto freddo e rinsecchito che ricordo appena.

Non ho fatto altro, in questi vent’anni, che aggrapparmi alle parole nuove, chiedendo loro di farmi diventare me.

Però il punto è questo: io non sono italiano, io sembro italiano. E qualcosa, non chiedermi cosa perché non lo so, però qualcosa di ostile e maligno, ma in modo anche un po’ distratto, l’essere straniero me l’ha sempre fatto pagare.

Tutto normale, in apparenza, ma se butto un occhio alla mia vita c’è sempre stato qualche intoppo, piccole storture che hanno finito per intralciare e rallentare il corso della mia esistenza.

C’è una sorta di tranquilla ferocia, sempre in agguato, nella natura degli italiani. Cani allegri e mansueti pronti però a ringhiarti contro appena sentono che il tuo odore è diverso. Alla fine mi sono arreso e pian piano sono diventato quasi invisibile.

(continua in libreria…)

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