“Molte donne e molti uomini pensano che la possibilità di affittare un utero per chi non può avere un figlio sia un esercizio di libertà. Libertà di comprare e di vendere. Perché – si dice – anche chi vende esercita una scelta…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice (in libreria con “Di questo amore non si deve sapere. La storia di Inessa e Lenin”), su un tema delicato e assai discusso in queste settimane

Molte donne e molti uomini pensano che la possibilità di affittare un utero per chi non può avere un figlio sia un esercizio di libertà. Libertà di comprare e di vendere. Perché – si dice – anche chi vende esercita una scelta: il corpo è suo e può farne ciò che vuole. Non è questo, del resto, ciò che le donne hanno preteso da una società arretrata e patriarcale? E allora perché limitarlo quando le tecnologie possono consentire ciò che la natura finora non ha voluto dare? Già perché?

Quando si parla di libertà i discorsi sono spesso astratti e interessati. Quindi, nella sostanza, falsi. Per riportarli a una verità accettabile la libertà va ricondotta alla concretezza. Nel caso dell’utero in affitto o della maternità surrogata alla materialità dei soggetti e della situazione in cui avviene questo scambio che si proclama “libero”.

I soggetti sono appunto il compratore e il venditore. Vediamo allora che comprano o vorrebbero comprare coppie in gran parte (circa l’80 per cento) eterosessuali e in parte minore, ma non irrilevante (circa il 20 per cento) omosessuali che vivono nella parte ricca del mondo e che hanno la possibilità di sborsare per l’operazione “figlio” decine e decine di migliaia di euro o di dollari.

Chi vende è una donna, povera, anzi molto povera, che vive in quella parte del pianeta dove non esistono altre possibilità che mettere a disposizione l’utero con quello che ne consegue. Nove mesi di gravidanza e il parto. E poi la consegna del bambino in cambio di alcune migliaia di dollari e di euro. È libertà la sua? È davvero libero chi vende o affitta una parte del proprio corpo per sopravvivere?

Non avviene così anche per la prostituzione? rispondono i fautori della libertà assoluta, quella che prescinde da condizioni e situazioni. Paragone assurdo e sbagliato perché ancora una volta astratto. Intanto la prostituzione può anche essere libera. Quando non lo è si parla di tratta e di schiavitù e questa è da eliminare, da abolire senza se e senza ma. La comparazione non regge perché nel caso della maternità surrogata non è in vendita l’uso del corpo femminile per il piacere maschile. Con l’utero in affitto si pensa di comperare “ la maternità”, cioè una relazione, un dono, un rapporto umano che in quell’utero si costruisce e si forma, un sentimento. Non apprezzo, ma non mi sentirei di introdurre alcuna misura proibitiva o punitiva nei confronti della libera prostituzione, neppure nei confronti degli uomini che vi ricorrono, ma credo che vada radicalmente combattuta ed eliminata la tratta. Allo stesso modo non mi sentirei di formulare alcun divieto nei confronti di una ricca coppia occidentale che, non riuscendo ad avere un figlio, chieda a una altrettanto facoltosa e consenziente amica o parente di fare un figlio per loro. Non si tratterebbe in questo caso di compravendita.

La libertà calata in questa situazione specifica sarebbe effettivamente esercitata e il rapporto fra la donna e la coppia richiedente non potrebbe che essere determinata da una relazione, dal desiderio di fare un dono, da una comprensione che rende l’atto libero. Sappiamo che non è così, che non è di questo che stiamo discutendo. Quello che con l’utero in affitto s’introduce è un rapporto di mercato in una sfera che con il mercato non ha nulla, o meglio, non dovrebbe avere nulla a che fare. Un rapporto fra forti e deboli fondato sulla sopraffazione.“Fammi un figlio e io ti pago” è un atteggiamento di una prepotenza e una violenza difficilmente tollerabile e che solo in un pensiero in cui la libertà è assimilata al mercato può essere accettata o presa in considerazione.

Ed è questa la scelta alla quale siamo di fronte. Accettare che il mercato e le sue regole entrino in una sfera che non appartiene alla compravendita, ma a quella – a mio parere da preservare con particolare cura – dei sentimenti, del dono, della relazione è una scelta violenta e non condivisibile. È una scelta ovviamente possibile. In molti paesi è consentita. Al Parlamento italiano è in discussione una legge, quella sulle convivenze civili delle coppie omosessuali, che di fatto, senza affermarlo, apre la strada, a questa soluzione. Ma non diciamo che è libera.

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