L’editore Luigi Spagnol racconta la Buchmesse, le sue “regole” e i suoi protagonisti a chi non ha mai partecipato alla fiera letteraria più importante al mondo…

Mi è capitato una volta di assistere all’asta del pesce di Le Guilvinec, uno dei porti di pesca più importanti in Francia. Le casse di pesce venivano scaricate dai pescherecci appena attraccati e portate in uno stanzone vuoto, piastrellato di bianco. Non appena una nuova cassa veniva posata sul pavimento, il banditore vi si posizionava dietro, mentre davanti a lui, dall’altra parte della cassa, si istallava una dozzina di grossisti. Una volta aggiudicate le casse, i grossisti le avrebbero recapitate, nel giro di poche ore, a ristoranti, negozi e mercati di tutta la Francia e, credo, di buona parte d’Europa.
Tre aspetti di queste operazioni erano stupefacenti.  La prima era la rapidità: a ogni cassa venivano dedicati pochi secondi. La seconda era il silenzio: se qualcuno (come me, per esempio) si fosse aspettato il chiasso e le grida dei mercati pubblici del pesce, sarebbe rimasto del tutto deluso; l’asta, che si svolgeva tra un manipolo di persone competenti e che si conoscevano l’un l’altra, procedeva per cenni del capo e occhiate, quasi nessuna parola era necessaria. La terza era l’assoluta impenetrabilità da parte di un osservatore esterno (me, per esempio): non era assolutamente possibile seguire l’andamento dell’asta, capire chi si fosse aggiudicato un lotto e a che prezzo; tutto troppo veloce e silenzioso, i cenni che i partecipanti si scambiavano erano, per me, impercettibili. Suppongo che un simile senso di meraviglia colpirebbe uno spettatore esterno degli incontri che si svolgono in un altro mercato, in cui si decidono gli scambi di una merceologia piuttosto diversa: la Fiera del libro di Francoforte.
La principale fonte di stupore, credo, sarebbe l’assenza di libri, intesi come i volumi rilegati che vediamo sugli scaffali delle librerie. Naturalmente, alla Fiera i volumi rilegati sono presenti, anzi ce ne sono enormi quantità, da far girare la testa e da chiedersi se ci siano al mondo abbastanza lettori per smaltirli tutti (la risposta come sappiamo è no, proprio tutti no). Ma sono generalmente assenti dagli incontri che si svolgono tra chi vende e chi compra i diritti internazionali di traduzione, che rappresentano la merce principale che si vende a Francoforte o ad altre fiere simili, dette appunto fiere di diritti.
A venderli sono o gli agenti letterari o le case editrici, qualora all’atto di acquisire i diritti di pubblicazione nella patria dell’autore si siano assicurate anche quelli di traduzione. Nel caso di grosse agenzie o delle case editrici, ci sono persone addette specificamente alla vendita dei diritti esteri. Dall’altra parte del tavolo delle trattative (l’equivalente dei grossisti di Le Guilvinec), ci sonogli editori di tutti gli altri Paesi, i loro editor, i loro scout e i loro responsabili delle acquisizioni.
A differenza dell’asta del pesce, gli incontri in cui vengono presentati i libri sono individuali e raramente decisivi, nel senso che raramente è lì che l’acquirente passa l’offerta, il perché lo vedremo tra poco. Gli incontri con i venditori delle case editrici si svolgono ai loro stand, quelli con gli agenti letterari all’Agent Center, un’immensa infilata di tavoli, abbastanza simile per asetticità alla sala dell’asta del pesce di Le Guilvinec, ma molto più grande e un po’ più elegante. Lì dentro, i volumi rilegati sono una rarità.
Addirittura, nel mercato dei diritti di traduzione di testi scritti in inglese, che è di gran lunga il più importante (un po’ perché la lingua inglese è oggi culturalmente dominante, un po’ perché oltre ad americani e britannici comprende anche scrittori indiani, canadesi, sudafricani e australiani) e che è più di altri dominato dagli agenti letterari, un libro stampato è visto con sospetto da chi ne dovrebbe comprare i diritti di traduzione. Vuol dire che l’agente non è riuscito a venderlo prima che fosse pubblicato, come avviene di solito; vuol dire quindi che lo ha già proposto a molti altri editori che lo hanno rifiutato. Non è un buon segno, anche se la storia dell’editoria è piena di libri rifiutati che poi sono diventati dei best-seller.
Non tutti i Paesi si comportano così: i francesi, per esempio, raramente propongono un libro prima che sia stampato; suppongo che lo facciano soprattutto per distinguersi dagli inglesi e dagli americani. Ma anche in questo caso, la copia fisica del libro non è centrale all’incontro alla Fiera di Francoforte. Del resto, un incontro dura di solito mezz’ora e verte su un numero di libri che può andare dai due o tre fino anche a una dozzina. Ci sarebbe il tempo di leggerne al massimo poche righe, certamente non di formarsi un giudizio (fanno ovviamente eccezione a quanto ho detto i libri illustrati, che però sono una parte largamente minoritaria del business che si svolge alla fiera).
L’assoluta protagonista degli incontri di Francoforte è la Rights List, ovvero Catalogo dei Diritti, che può prendere qualsiasi forma, dall’opuscolo rilegato e riccamente illustrato da copertine e foto degli autori al mucchietto di fogli fotocopiati e spillati con la pinzatrice. L’esperto frequentatore di fiere (me, per esempio) ha imparato nel corso di lunghi anni che l’avvenenza della Rights List non ha alcun rapporto con la qualità dei libri che ospita né con l’importanza dell’agenzia o della casa editrice che ne detiene i diritti. Al suo interno sono sommariamente descritti i libri di cui si cercano di vendere i diritti di traduzione, spesso ordinati per categorie: narrativa e saggistica, innanzitutto, ma in certi casi anche thriller, fantasy, romance o, per la saggistica, politica, storia, musica, eccetera eccetera.
La descrizione consiste generalmente in un breve riassunto, nella biografia dell’autore, in alcuni spunti che possano destare l’interesse di chi compra, nei giudizi della critica (su opere precedenti dello stesso autore, spesso, trattandosi di libri ancora non pubblicati), dell’elenco dei Paesi dove l’opera o l’autore sono già stati venduti. Poco, pochissimo, quasi niente, per giudicare un libro. Ma qui non si tratta di giudicarlo: come si diceva, non è durante l’incontro che si passano le offerte. Si tratta di fare una prima cernita tra le centinaia di libri che vengono proposti in tre o quattro giorni di fiera, al ritmo di un appuntamento ogni mezz’ora a partire dalle nove di mattina fino alle sei di sera. Si tratta di decidere soltanto a quali libri dedicare la nostra attenzione nei giorni (o nelle ore, nel caso di libri particolarmente “caldi”) che seguiranno. Del resto, neanche i grossisti dell’asta di Le Guilvinec hanno bisogno di assaggiare il pesce per decidere come comportarsi. Siamo, o dovremmo essere, esperti professionisti del settore; siamo, o dovremmo essere, in grado di farci un’idea di un libro (o della sua vendibilità sul nostro mercato, per essere più precisi) dalla vivacità del suo occhio, dal rossore delle sue branchie, dalla lucentezza delle sue squame. L’esperienza ci dice che non sempre lo siamo; forse, tutto sommato, i libri sono più complessi del pesce.
I diversi venditori dei diritti hanno stili diversi durante gli incontri. Alcuni insistono nel raccontarti a fondo le trame dei libri che hanno in qualche modo catturato la tua attenzione; non sono tra i più amati, per lo meno da me: è raro che la trama dettagliata sia l’elemento essenziale di un libro ed è ancora più raro che chi la racconta abbia grandi doti di narratore, altrimenti invece che vendere diritti li produrrebbe, cioè farebbe lo scrittore. Altri, ahimè, ripetono le cose che stai leggendo nella scheda che ti hanno presentato e che, evidentemente, hanno mandato a memoria. I più bravi sanno convincerti in poche parole che quel libro sarà una delle letture più affascinanti in cui hai avuto la fortuna di imbatterti negli ultimi anni.
Il mio preferito era il mai abbastanza compianto Paul Marsh, uno degli agenti più simpatici e più importanti del mondo, rappresentante tra gli altri di Vikram Seth, di Jonathan Safran Foer e di Desmond Morris. Ti consegnava la sua lista, estremamente spartana ed estremamente ben fatta, e ti osservava senza aprire bocca mentre la scorrevi o, se l’appuntamento era all’ora di pranzo, aprendola solo per mangiare un panino. Se però dimostravi interesse per un libro della lista, allora te ne parlava, dimostrando di conoscerlo meglio di quanto tutti gli altri agenti conoscessero i propri.
Una volta, una brava responsabile dei diritti esteri di una casa editrice francese terminò il nostro incontro dicendomi: “Di quest’ultimo libro non ti parlo, perché non l’ho ancora letto”. “Cara signora” ero tentato di risponderle, “se tutti facessero come lei, non ci sarebbe la fiera”. In effetti, forse gli scrittori dovrebbero pensare (o forse no, meglio di no) a quanti passaggi compiono i loro libri, nel lungo tragitto che li porta dalla loro scrivania fino alle mani del lettore, tra persone che non li hanno letti. Una delle battute che meglio descrivono la Fiera di Francoforte è la seguente: “Hai letto il tal libro?” “Sì, ma non personalmente”. E’ matematicamente impossibile che tutte le persone che vendono diritti in una fiera abbiano letto tutti i libri che cercano di vendere. E se, come in molti casi, non sono le stesse persone che li hanno acquisiti per le loro agenzie o le loro case editrici, forse non è nemmeno strettamente necessario; utile, ma non necessario.
Va da sé che ne parlino a persone che non li hanno ancora letti. E una volta che queste persone si sono convinte a prenderli in considerazione, la battaglia del libro per essere letto non è ancora vinta. Perché quando noi possibili acquirenti torniamo a casa e riceviamo tutti i file, tutte le bozze e tutte le copie che abbiamo richiesto in fiera, ci accorgiamo di avere esagerato e che, una volta approdati sulla nostra scrivania o sul nostro desktop, quei libri hanno perso gran parte del fascino di cui le belle parole (o qualche volta, lo ammetto, i begli occhi) di chi ce li ha presentati li avevano ammantati.
Se passa questa ulteriore selezione, il libro trova in casa editrice una prima oasi di lettura in quel tragitto di cui si diceva, perché lo leggono l’editor che l’ha richiesto e a volte uno o più suoi fidati collaboratori. Se ne viene decisa la pubblicazione, segue un altro intenso periodo di letture.Lo legge il traduttore, con l’estrema attenzione di chi lo deve riscrivere in un’altra lingua; non è raro che in questa fase si scoprano piccole incongruenze sfuggite all’autore stesso e ai redattori della casa editrice originale. Lo leggono i redattori della casa editrice in cui è approdato, lo leggono i correttori di bozze, a volte lo rilegge l’editor. Dopo di che, ricominciano i passaggi tra persone che non l’hanno letto: il responsabile della casa editrice lo presenta ai suoi venditori, che non l’hanno letto; i venditori, sempre senza averlo letto, lo presentano ai librai, che non l’hanno letto.
Naturalmente, i bravi librai leggono i libri che devono vendere; più sono bravi e più ne leggono. Ma anche in questo caso è matematicamente impossibile che un libraio abbia letto tutti i libri presenti nella sua libreria. E naturalmente li deve vendere a persone che ancora non l’hanno letto, le quali a volte non lo comprano per leggerlo ma per regalarlo a qualcuno che sperano che non l’abbia ancora letto.
Tutto questo spiega forse come mai a volte ci sembra che non siano necessariamente i libri più belli ad avere più successo, ma quelli di cui è più facile capire qualcosa senza averli letti…

 

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