Conversazione con Nanni Svampa autore di Scherzi della memoria. I peggiori sessant’anni della mia vita ISBN:8879286110

Nei primissimi anni Sessanta del XX secolo, il severo, mastodontico atrio dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano era invaso, come oggi, da un continuo formicolio di studenti. Se qualcuno si fosse dato la pena di cinematografare questo incessante andirivieni, tra quegli studenti si potrebbero adesso riconoscere le fattezze adolescenti del Commissario Europeo Mario Monti, del rappresentante italiano nella Banca Europea Tommaso Padoa Schioppa, del ministro Lucio Stanca, di una schiera di importanti banchieri, allievi dell’Istituto di Tecnica Bancaria diretto da Giordano Dell’Amore con l’assistenza di Tancredi Bianchi, di uno stuolo di futuri docenti e dirigenti d’azienda. Ma c’erano anche i futuri editori “impegnati” Gabriele Mazzotta e Mario Guaraldi. E altri giovanotti destinati ad attività piuttosto lontane da quelle previste nel pesante piano di oltre 30 esami di quella facoltà — ricordiamolo — di Economia e Commercio. Tra di essi c’era anche un giovane non altissimo e tendente a una certa rotondità, che adesso campeggia in tutù da ballo sulla copertina di un divertentissimo libro, Scherzi della memoria. I peggiori sessant’anni della mia vita: il cantante, cabarettista, umorista, traduttore ed esecutore di Georges Brassens, anima del famoso gruppo dei Gufi e di tanta parte del cabaret italiano, Giovanni Battista Ferdinando Maria (Nanni) Svampa. Tra quegli studenti ce n’era però un altro che, laureato in Economia Politica con il chiarissimo professor Giovanni De Maria, ha poi deviato bruscamente dalla retta via mettendosi a fare lo scrittore: Mario Biondi. Dopo una quarantina di anni i due si sono ritrovati e hanno fatto una chiacchierata.

Biondi Come mai tanti “rami di libertà” di carriere e destini? C’era qualcosa di particolare nell’aria di quella Bocconi? O eravamo noi a essere un pochino “fuori dell’ordinario” (come dice la vecchietta del gorilla di Brassens), un po’ matti?

Svampa Mah, credo che da tutte le università escano persone che poi fanno mestieri del tutto diversi da quelli a cui sembravano naturalmente destinati. Io non ho vissuto lo studio dell’economia (e della ragioneria!) come una missione. Avevo un certo interesse per la giurisprudenza, ma non avendo fatto il Liceo Classico, a quei tempi non potevo iscrivermi a Legge. Così ho fatto Economia e Commercio.

B. Per diventare un “umorista-manager”, come ti definisci nel libro. Un bell’esito. Bellissima definizione, tra l’altro, molto divertente.

S. No, un momento, “umorista-manager” mi sono definito soltanto per un certo periodo della mia vita e attività professionale, quando negli anni Ottanta ho creato con mia moglie la Ganiwell S.r.l., una società di consulenze realizzative per enti locali, aziende, convention. Proponevamo e poi realizzavamo e gestivamo eventi o intere stagioni ricreativo-teatrali. La mia attività di “umorista-manager”, quindi, si restringe a quell’esperienza.

B. Ah. Quanto a “ganivell”, sarà comunque opportuno spiegare che è una parola del dialetto lombardo, che significa ragazzo sveglio, galletto. “Marmocchio vivace”, lo definisce Cletto Arrighi nel suo Dizionario Milanese-Italiano.

S. Sì, ma noi, per darle un tono professionale, la scrivevamo con la “w”: “Ganiwell”. Così poi i potenziali clienti ci telefonavano storcendo tutta la bocca per pronunciare il nostro nome all’americana.

B. Ma, torno a chiedere, come mai uno studente della solida e quadrata Università Luigi Bocconi finisce a fare il cabarettista-ganiwell? Come hai cominciato?

S. In Bocconi c’erano altri che, come me, avevano passione per la canzone, per la musica popolare o per il teatro satirico. Il futuro regista Nuccio Ambrosino, per esempio, e altri. Intervenivamo a feste, facevamo sketch, imitazioni di Jerry Lewis. A un certo punto abbiamo cominciato a progettare di mettere su una rivista per i nostri compagni di università. La vera fortuna è stata avere per Rettore uno spiritaccio toscano come il professor Armando Sapori, un uomo con un grande senso della satira. Fu lui a darci la vera spinta per cominciare. Poi il professor Giordano Dell’Amore, il deus ex machina della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, quello che veniva a far lezione in bombetta. Ci mise a disposizione il Teatro delle Erbe. Era cominciata la mia attività di cabarettista. Ma non era affatto detto che sarebbe diventata la mia professione. Ho dovuto lasciar scorrere parecchia acqua sotto i ponti e superare parecchie difficoltà. Non è obbligatorio che uno, perché ha fatto una rivista per studenti, il giorno dopo diventi Robert De Niro. Calma.

B. Calma, gesso e silenzio chi sa il gioco. Tutto quanto sopra è naturalmente raccontato con dovizia di particolari e formidabile vis comica nel libro, al quale rimandiamo senz’altro il lettore. Ma a un certo punto di esso fai un’osservazione interessante, ovvero, meglio, un elenco: quello dei comici nati o cresciuti sul Lago Maggiore, come te. È un elenco davvero impressionante. A partire da Dario Fo e proseguendo con Pozzetto, Boldi, Iachetti, Salvi. Una tale abbondanza di humour concentrata su un territorio tanto limitato, secondo te ha una spiegazione?

S. Vi sono diverse teorie. Per esempio, una mia amica architetto di Cannobio dice che, secondo i geologi, dal Monte Verità di Lugano verso il Lago Maggiore scenderebbe una vena di un minerale magnetico che genera la pazzia. Non bisogna poi dimenticare l’alcolismo atavico delle zone montanare. Io però preferisco pensare a un fenomeno simile alla “desertificazione”. Si dice che la zona del Lago Maggiore sia molto dura, arida, che, per esempio, gli abitanti di Luino camperebbero soltanto per il mercato del mercoledì, cioè, in sostanza, per i soldi, per fare i loro affari con quelli di Lugano. Ecco, è da un simile “deserto” che spuntano per reazione i fili d’erba della satira.

B. Proseguendo nella lettura di questi nomi, temevo dimenticassi il principe degli umoristi del Lago Maggiore: Piero Chiara. Poi però l’ho trovato debitamente citato.

S. Be’, ma lui era di un’altra categoria, un grande scrittore…

B. L’umorismo è sempre umorismo, nasce dalle stesse radici. E sotto questo profilo tu tratti un po’ male il mio lago, quello di Como. Dici che non c’è nessun autore satirico venuto da quelle parti. Be’, prima ho citato Cletto Arrighi, da lui si passa subito alla Scapigliatura, e da lì a Carlo Dossi. Viveva a Cardina, appena sopra il Lago di Como. E da quelle zone è venuto a Milano anche un certo abate Parini. E anche l’ingegner Gadda mi pare avesse qualche rapporto con i dintorni di Como. Insomma, io parlerei di “umorismo lombardo” tout court. Esiste, secondo te? Ha un suo specifico?

S. Esiste senza dubbio, ma non se si possa parlare di un suo specifico. Tutte le regioni, tutte le zone hanno un loro umorismo, legato alla cultura locale, alle tradizioni locali, alla lingua locale. Sempre con un’abbondante spruzzata di “grassoccio”.

B. Progetti dell’umorista-manager, dopo i peggiori sessant’anni della sua vita?

S. Io sono un “ottimista per disperazione”. Se non ci tirano a breve scadenza una bomba sulla testa, sto progettando un monologo con ballate che sarà in parte una rappresentazione teatrale del libro Scherzi della memoria. Vorrei raccontarne in maniera teatrale i punti più poetici, o satirici, o comunque legati alla malinconia di un mondo milanese e lombardo che non c’è più. Insomma, un “racconto della memoria” di questi ultimi sessant’anni.

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