“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa”, saggio di Walter Benjamin del 1936, è ancora “vivo e fecondo…” – Su ilLibraio.it torna la rubrica #lettureindimenticabili. Con l’intervento di Cesare De Michelis, presidente della Marsilio, che ricorda: “Allora la natura problematica e contraddittoria della modernizzazione novecentesca non mi sembrava centrale come poi mi si rivelò, fino a diventare il nodo cruciale di ogni interpretazione del Novecento…”

Sulla mia copia ho segnato la data d’acquisto: marzo 1966, giusto cinquant’anni fa, d’altronde il libro dichiara “finito di stampare” il 27 gennaio dello stesso anno; lo avevo comprato subito, appena arrivato in libreria.

L’anno prima, infatti, con Massimo Cacciari avevamo dato vita a una rivista intitolata “Angelus novus” e, quindi, di Walter Benjamin ci sentivamo discepoli e del suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa (Einaudi, traduzione di Enrico Filippini, prefazione di Cesare Cases) eravamo in trepida attesa.

Fu una rivelazione: rispetto ai saggi raccolti nel volume Angelus novus (1962), quello che dava il titolo alla nuova raccolta era più immediatamente legato al dibattito in corso e sollevava questioni che a me apparvero di stringente attualità, prendendo posizione con chiarezza didascalica e sorprendente originalità, e così, se metteva in crisi ogni certezza modernista e molte fiducie progressiste, non rinunciava a considerare “l’avvento delle nuove tecniche e il loro carattere di massa da un angolo visuale per cui tale processo è considerato non solo inevitabile, ma largamente positivo, in quanto pone termine a una concezione aristocratica dell’arte”, come spiegava nella prefazione Cesare Cases.

Allora la natura problematica e contraddittoria della modernizzazione novecentesca non mi sembrava centrale come poi mi si rivelò, fino a diventare il nodo cruciale di ogni interpretazione del Novecento: Benjamin, invece, mi mise di fronte alla “riproduzione tecnica dell’opera d’arte” come a “qualcosa di nuovo”, che liquidava, rendendoli definitivamente inutili, “un certo numero di concetti tradizionali, quali i concetti di creatività e di genialità, di valore eterno e di mistero”; a un cambiamento radicale che azzerava ogni unicità e irripetibilità della creazione artistica, o, in altre parole, con una definizione suggestiva, ogni aura.

Di questa trasformazione Benjamin sottolineava le conseguenze secondo lui rivoluzionarie e, quindi, nella sua prospettiva, positive: la tradizione riconosceva le opere d’arte “al servizio di un rituale, dapprima magico, poi religioso”, la loro riproducibilità trasformava la loro “funzione”: “al posto della sua fondazione nel rituale s’instaura la fondazione su un’altra prassi: vale a dire il suo fondarsi sulla politica”.

Eppure Benjamin, mentre annunciava l’avvento del nuovo, segnalava il manifestarsi di una perdita irrimediabile, il venir meno di quella unicità irripetibile che aveva caratterizzato nella tradizione occidentale la specificità dell’opera d’arte, la sua autenticità: la tecnica trasformava l’opera in prodotto e il pubblico nella massa metropolitana, che prima consumava e poi esercitava anche il ruolo di giudice e di interprete, sostituendo la critica.

Il moderno, insomma, vanificando l’aura cancellava anche ogni autonomia dell’arte e alimentava un’inconsolabile nostalgia di quanto era andato perduto, una malinconia che avrebbe accompagnato per sempre l’individuo lungo i percorsi di quella città dove era destinato a vivere e a vagare più povero e solo, dopo lo sgretolarsi della tradizione e il confondersi dei punti di riferimento.

Benjamin, mentre annunciava l’alternativa tra “l’estetizzazione della politica che il fascismo persegue” e “la politicizzazione dell’arte”, che è la risposta del comunismo, illuminava la scena della contemporaneità come lo spazio di uno scontro tra tradizione e rivoluzione che avrebbe drammaticamente cambiato il destino di tutti noi,  in questa Europa per sempre “tramontante”.

In una recente introduzione al saggio in questione Massimo Cacciari (2011) spinge più in là il senso dell’approccio benjaminiano, dove la perdita dell’aura dell’opera d’arte non dipenderebbe dalla sua riproducibilità, quanto dall’innovazione tecnico-scientifica che ha prodotto” il contesto in cui le forme artistiche possono riassumere pieno valore”, e così il “malinconico” Benjamin, inquieto e preoccupato testimone dell’affermazione del moderno, viene capovolto nell’appassionato profeta di una rivoluzione trainata “dall’energia innovativa” delle forze produttive, che condurrà fino in fondo la distruzione dell’aura, sviluppando “in tutti i sensi” le potenzialità della riproduzione tecnica; l’arte, insomma, va oltre sé e si compie, finalmente, “esprimendo” e non “rispecchiando” la  marxiana struttura economico-sociale.

Letture così distanti e contrastanti mostrano come come quel saggio ormai quasi secolare – fu scritto nel 1936 – sia ancora vivo e fecondo e forse spiegano perché la sua lettura abbia segnato quanto meno la mia esistenza.

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti. Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.

Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, e dopo il successo dell’iniziativa proposta recentemente sui social da ilLibraio.it, #ilLibroPerMe, in occasione della presentazione della ricerca sul rapporto tra lettura e benessere, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

L’AUTORE – Questa volta l’autore della rubrica è Cesare De Michelis, editore, presidente della Marsilio.

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