Intervista a Bruno Arpaia autore di L’angelo della storia ISBN:8882462978

Chi sono i due personaggi che una notte di settembre del 1940 si incontrano in cima ai Pirenei, al confine franco-spagnolo? Uno, il giovane Laureano Mahojo, è un uomo d’azione che ha combattuto nella guerra civile spagnola e ora è costretto a fare il contrabbandiere tra Port Bou e Port-Vendres; l’altro, Walter Benjamin, è un “bizzarro e geniale” intellettuale ebreo, che ha inseguito “la vita zoppicando, cercando di mascherare la sua inettitudine a viverla” e adesso sta tentando di mettersi in salvo dai nazisti e di fuggire a New York. Eppure non è un caso che i loro destini si incrocino proprio lì, su quella frontiera maledetta. In L’angelo della storia, Bruno Arpaia attraversa i grandi eventi dell’Europa nei suoi anni più bui, con un romanzo a due voci che fonde finzione e realtà. I due protagonisti del libro, Laureano Mahojo, il combattente pieno di ideali, e Walter Benjamin, il raffinato saggista, sono i due capi di uno stesso spago, i due volti della stessa Europa che il nazismo e la guerra spazzeranno via. Entrambi, infatti, hanno conosciuto la sconfitta, l’esilio e i campi di concentramento francesi, ed entrambi hanno finito per mettere il piede in una delle più tragiche tagliole della Storia. Le loro vicende, insomma, sembrano procedere in qualche modo parallele lungo tutti gli anni Trenta.

D. Le storie parallele di un personaggio reale e di una “invenzione narrativa”, dunque.

R. Sì. In fuga dal nazismo, Walter Benjamin ha già lasciato la Germania nel 1933 e conduce una vita stentatissima a Parigi, dove lavora a quella che ritiene la sua opera fondamentale, i Passages. Allo scoppio della guerra, come moltissimi esuli antinazisti, viene internato in un campo di concentramento francese, al quale sopravvivrà a stento. Ma nemmeno allora, preso dal suo lavoro e vittima della propria inettitudine alla vita, penserà a lasciare la Francia, a fuggire. Vi sarà costretto, già stanco e malato di cuore, solo poche ore prima che i suoi connazionali raggiungano Parigi. Invece il giovane Laureano, originario delle Asturie, combatte nella guerra civile spagnola, poi, insieme a mezzo milione di sconfitti, finisce anch’egli nei terribili campi di concentramento francesi e nelle trincee della drôle de guerre. Anch’egli, mentre i nazisti invadono la Francia, riesce a fuggire e a raggiungere miracolosamente la sua donna a Port-Bou, un paesino dei Pirenei spagnoli vicino alla frontiera. È lì che, alla fine, le loro vite brevemente si incrociano, con esiti diversi…

D. Com’è nata l’idea del libro?

R. È nata più o meno nove anni fa, quando la tragica storia di Benjamin, per così dire, mi ha scelto, è diventata una specie di ossessione. Benjamin, però, era un personaggio troppo statico per animare da solo un romanzo: trascorreva ore e ore seduto alla sua scrivania della Biblioteca Nazionale di Parigi, pensando e scrivendo. A me invece, più che il suo lato intellettuale, interessava l’aspetto umano della sua vicenda, che ne faceva una specie di simbolo, un emblema. Laureano Mahojo, il coprotagonista, è nato invece da qualche viaggio nelle Asturie, dai racconti di Paco Taibo sui suoi nonni che avevano combattuto nella rivoluzione del 1934 e nella guerra civile, da molte interviste ai sopravvissuti, da decine di libri di testimonianze e da migliaia di fotocopie… Poi, una notte, durante un viaggio in treno verso Napoli, mi venne l’illuminazione. Capii all’improvviso come conciliare le due storie. Uno dei rari privilegi di uno scrittore è quello di vivere momenti bellissimi come quello. Sono, purtroppo, molto rari, ma è come se ti si squarciasse un velo sulle storie che vorresti raccontare, sui personaggi che ti ronzano in testa in forma vaga, confusa. All’improvviso diventano chiari, netti, ti sembra di conoscerli da anni e anni e di averli accanto in carne e ossa. Nella cuccetta, in uno stato di inquietissimo dormiveglia, ho visto nitidamente quei due, Benjamin e il contrabbandiere, parlare fitto fitto sui Pirenei, la notte che Benjamin è rimasto solo durante la sua avventurosa fuga prima di suicidarsi. Dopo, si è trattato “soltanto” di scriverla, quella storia…

D. Laureano Mahojo è anche il protagonista del suo libro precedente, Tempo perso.

R. Già, è stato stranissimo perché, mentre mi accingevo a scrivere L’angelo della storia, il personaggio di Laureano mi ha preso la mano, si è impossessato della scrittura, mi ha quasi dettato il romanzo, mi ha detto: questo è il mio libro, non quello di Walter Benjamin. Laureano, con questa sua smania di vita, con la sua ingenuità adolescenziale, mi ha costretto a poco a poco a lasciare da parte Benjamin e a scrivere Tempo perso, che racconta le avventure del sedicenne Laureano nella rivoluzione del 1934. Soltanto dopo sono stato in grado di riprendere il vecchio progetto e di mettere a confronto i due, Laureano e Benjamin. Soltanto dopo ho potuto scrivere il libro che avevo in mente in origine.

D. Come nasce, invece, questo interesse così coinvolgente nei confronti di Benjamin?

R. Potrei dire di essere stato attratto dalle sue opere, dal suo pensiero capace di insolubili oscurità, di profezie smentite, ma anche e soprattutto di geniali e straordinarie capacità di aperture al futuro, andando vigorosamente controcorrente: e sarebbe vero, almeno in parte. Eppure, molto benjaminianamente, sono i dettagli, i “cascami” della sua esistenza ad avermi attratto sul serio: per esempio, Benjamin ci mise dieci anni per concedere al suo miglior amico, Gershom Sholem, il privilegio di dargli del tu; oppure mi ha attirato la smania di misteriosità che gli faceva erigere barriere di riservatezza attorno alle cose più futili e innocue; oppure, ancora, il suo continuo fare a pugni con la sfortuna, con “l’ometto gobbo” che lo perseguitava. Dettagli, scarti: ma nessuno più di lui avrebbe saputo ricostruire il senso della sua stessa storia a partire da questi “cascami”, dal “mucchio di cocci” che costituiva la sua esistenza. Era un filosofo che pensava come un romanziere. Per un narratore, che è una cosa diversa dal critico o dallo storico, sono importantissimi gli elementi concreti che contribuiscono a costruire le storie personali: i dettagli, appunto. Dio è nel dettaglio, diceva Flaubert. Benjamin, inoltre, è l’emblema delle sofferenze e dei guasti provocati da una sconsiderata fiducia nel progresso. Proprio quell’idea che aveva tanto combattuto nelle sue meravigliose Tesi sulla storia. Una lezione attualissima, la sua.

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