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“Il libro di X” di Sarah Rose Etter è un romanzo di una tristezza allucinata e stravagante

Il libro di X di Sarah Rose Etter

Foto di Natalie Graf

“Spesso immagino un uomo con un corpo come il mio, un uomo che potrei sposare.
«Gli uomini nascono mai con i nodi?» chiedo.
«Abbassa la voce. E no. Non è mai esistito un uomo con un nodo. Quello è un fardello da donne.»”

Vivere dentro un corpo di donna vuol dire sottomettersi quotidianamente all’esame degli altri, che misurano, valutano, giudicano: vuol dire specchiarsi nelle aspettative, nelle convenzioni, nei parametri mortificanti di canoni sociali che chiedono perfezione, standardizzazione. Il libro di X di Sarah Rose Etter (Pidgin, traduzione di Stefano Pirone) è un’esplorazione della femminilità attraverso tutti i disagi, le ossessioni e le sofferenze viscerali dell’essere donna. 

La X del titolo è un cromosoma, ed è per uno scherzo della genetica che il corpo della protagonista Cassie è deturpato da un nodo all’altezza del ventre: come lei sua mamma, e prima ancora, la nonna. Una caratteristica scomoda, che non altera nessuna funzione, non compromette sessualità e maternità, è “solo” una nota estetica, un intralcio. 

Per tutti il nodo è una mostruosità, che viene guardato con disgusto, che diventa motivo di mortificazione per Cassie tra i coetanei adolescenti, una barriera al primo amore, un elemento di disagio persino per la sua amica del cuore. Il nodo è una vergogna, da coprire sembrando sempre grassa, impacciata, infagottata, è uno shock che mette in fuga gli uomini, schifati.

“Dico a Sophia cosa c’è dentro di me. «Dentro di me è tremendo,» dico.
«Cosa c’è lì dentro?»
«Ho un pozzo di cattiveria nella pancia,» dico.”

Mentre un lembo di carne impedisce a Cassie di vivere pienamente, avviluppando il suo addome in una caverna buia, è una cava di carne, rossa e pulsante, la fonte di sussistenza della sua famiglia, un orgoglio nel territorio. 

Sarah Rose Etter crea un paesaggio gotico e raccapricciante e sposa un registro che ha i toni dell’horror per una prima parte di racconto cupa e cruda: il padre e il fratello estraggono pezzi di carne in un lavoro da miniera, per poi venderla al mercato, immergono le mani nei filoni viscidi del loro giacimento, strappano pezzi preziosi come gemme, riemergono alla luce grondanti di sangue. 

Quando Cassie parte per la metropoli, dove inizia a lavorare e a vivere una parvenza di normalità, la dimensione grottesca si trasforma in una inquietudine claustrofobica. Perché il lavoro in ufficio è mortificante, l’ambiente è sessista e disumano, la città è popolata di freddezza e di donne “letali e appuntite”. Il controllo e consumo dei corpi del capitalismo è l’altra faccia dell’allevamento rurale di carne, disgustosi entrambi.

È l’orrore della solitudine e dell’emarginazione quello che si sostituisce all’orrore del sangue, dove sopravvive chi è normale, e accettato. Cassie, che ritagliava figurine di donne dalle riviste, complici le ossessioni della madre per vederla magra, accarezza l’illusione di un’operazione che la possa guarire, per essere finalmente amata. Il suo nodo è l’alienazione e l’isolamento del diverso, e, come Gregor Samsa, Cassie è marchiata come deforme e inaccettabile, per la sua anomalia e le sue cicatrici.

Il suo sogno di normalità e di affetto, che l’adolescenza aveva soffocato, e che l’età adulta vede quotidianamente calpestato, prende forma in visioni, che creano blocchi discontinui all’interno della narrazione, dove Cassie “riscrive” i suoi momenti più sgradevoli. A questo si aggiungono elenchi, spiegazioni scientifiche, allucinazioni che raccontano le difficoltà di una società che respinge. Sono frammenti strazianti dove la carne ricorre protagonista, nel negozio che vende uomini, anche a pezzi, moncherini per chi non può pagare il prezzo pieno, nel centro dove la gelosia si espelle dal corpo e si porta via, nei campi di gole che si allungano verso il Sole come steli, col colore del sangue al centro.

“Curo la mia tristezza come una ferita ogni giorno.”

Febbrile e a tratti disturbante, metaforico e macabro, Il libro di X è un implacabile racconto della scomodità di essere donna in una società ormai compromessa, che chiede il sacrificio di sé per compiacere e uniformarsi. Abbandonandoci alla visione surreale della vicenda di Cassie, ci accorgiamo che a quella X possiamo sostituire il nostro nome, ci riconosciamo nella sofferenza dei nodi con cui il corpo di ogni donna convive: nodi sullo stomaco, sui fianchi, nodi alla gola in quel tentativo continuo di essere accettate, ed è il dolore di quando acconsentiamo a giudicarci con gli occhi degli altri e non ci perdoniamo.

Il libro di X è un romanzo di struggente tristezza, che è continuamente bilanciata dalla stravaganza: la scrittura di Sarah Rose Etter mischia linguaggi, li distorce, sperimenta con audacia attraverso i generi, muovendosi a cavallo di mondi narrativi diversi, e sorprende per l’intensità poetica, che aggroviglia immagini e emozioni in nodi feroci con un’originalità lirica sconcertante.

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