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“Non credo che ci trasformeremo in automi”: il futuro secondo il filosofo Žižek

slavoj zizek hegel e il cervello postumano

GettyImages

È un sabato di settembre e al Festivaletteratura di Mantova, se non fosse per le mascherine, sembrerebbe di essere tornati al periodo precedente alla pandemia: il centro della città è gremito di persone, lettrici e lettori curiosi che si dividono tra conferenze e ristoranti con i tavoli all’aperto.

Per arrivare all’evento che vede protagonista il filosofo Slavoj Žižek, si entra dall’ingresso coperto in piazza Santa Barbara, che fa sì che la bellezza e le dimensioni imponenti di piazza Castello arrivino agli occhi quasi all’improvviso. Il grande tendone dedicato alla conferenza, che la occupa quasi interamente, si riempe in fretta: in tanti sono venuti ad ascoltarlo.

Žižek non si fa aspettare e arriva puntuale, insieme al filosofo Mauro Carbone e all’interprete Marina Astrologo. Dopo una breve introduzione di Carbone dedicata alla carriera del collega, Žižek prende la parola, che faticherà a lasciare per l’intera conferenza, intervenendo con le sue battute anche durante le traduzioni di Astrologo.

Žižek a un certo punto le confessa che sta raggiungendo il podio dei suoi interpreti preferiti, nonostante – afferma ironico – lei non abbia ancora superato la migliore, cioè l’interprete che, quando lui a una conferenza di Shanghai rispose con una lunga e confusa improvvisazione a una domanda di cui non sapeva la risposta, tradusse il tutto con una frase sola.

Dopo una divagazione sui suoi generi preferiti di cinema italiano e su Monteverdi (“ispirandomi al verso ‘Lasciatemi morire’, oggi il mio motto sarà ‘Lasciatemi parlare'”, spiega ridendo), giungiamo al tema della conferenza: il futuro della soggettività in un mondo di cervelli connessi alle macchine (e quindi interconnessi tra di loro). La questione è quella su cui si interroga Žižek nella sua ultima pubblicazione, Hegel e il cervello postumano (Ponte alle Grazie, traduzione di Leonardo Clausi).

Analizzando il tema tramite schemi filosofici hegeliani, Žižek si chiede se si possa parlare di autocoscienza in una realtà di connessioni tecno-biologiche. Più tardi, in conferenza stampa, Žižek argomenterà a proposito della sulla sua scelta interpretativa: “Hegel è un pensatore aperto; più che il pensatore della sintesi, per me è il vero teorico dell’assioma che se pianifichi qualcosa, non importa quali sono i tuoi piani, le cose andranno sempre per il verso sbagliato. Un esempio è la rivoluzione francese, in cui la voglia di libertà è sfociata nel terrore. Riconciliazione per Hegel non significa arrivare a un punto in cui va tutto bene, ma è il momento in cui ci si riappacifica con il fallimento”.  Ed è questo, secondo Žižek, a rendere il pensiero di Hegel adatto a interpretare i tempi in cui viviamo.

Uno degli esperimenti citati da Žižek per concretizzare la possibilità di questo futuro apparentemente irrealistico, è il progetto Neuralink di Elon Musk, il miliardario conosciuto per il suo ruolo in compagnie come Tesla Motors, SpaceX e The Boring Company. Neuralink prevede lo sviluppo di un’interfaccia cervello-macchina che una volta inserita con la chirurgia permetta di controllare dispositivi digitali attraverso gli impulsi elettrici, e quindi “con il pensiero”. Sul blog della compagnia si può già osservare il video in cui Pager, un macaco a cui sono stati impiantati due dispositivi Neuralink, controlla i comandi di un videogioco senza attività motoria.

Sono diverse le implicazioni filosofiche e morali, oltre che i dubbi logici, a cui questo scenario pone di fronte, nonostante Neuralink prospetti utilizzi positivi, come quello di rendere i dispositivi digitali utilizzabili da persone affette da paralisi. Non serve l’immaginazione però (bastano i numerosi libri e film fantascientifici che si sono occupati del tema) per chiedersi cosa ne sarà della nostra coscienza nel caso in cui venissimo collegati a delle macchine. “Nel caso in cui questo progetto riuscisse nel suo intento”, sottolinea Žižek, “non credo che ci trasformeremmo in automi. L’inconscio freudiano sopravviverebbe“. Lo stesso inconscio freudiano che, secondo il filosofo, è un punto che andrebbe considerato nel dibattito contemporaneo sull’identità di genere. Si ritiene un sostenitore del diritto all’autodeterminazione personale, spiega, ma non è d’accordo sull’idea che basti guardarsi dentro per capire che cosa si vuole, perché questa idea dimentica il ruolo fondamentale dell’inconscio. E questo non è l’unico problema freudiano a cui la contemporaneità ci sottopone: c’è anche un imperativo del super io contrario a quello delle generazioni precedenti: “Oggi ci sentiamo in colpa se non ci divertiamo. È quello che ci impone il super io, ed è per questo che il compito della psicoanalisi oggi è di liberarci dalla pressione del doverci sempre divertire“.

Non può mancare, infine, tra i numerosi riferimenti alla “teoria alta e cultura bassa” toccati durante la conferenza, qualche parola riguardo alla pandemia e all’emergenza ambientale. “Servirebbe una reazione globalmente controllata. Non possiamo lasciare che il capitalismo risolva a modo suo, perché le cause degli effetti locali si trovano a livello globale, è impensabile risolvere questi problemi localmente. Per arginare questo fenomeno anche il coordinamento deve essere globale, ma – specifica – non con un governo globale, che sarebbe solo l’occasione per un fiorire di corruzione”.

Ed è proprio la pandemia che ci offre una ulteriore riflessione su un futuro di cervelli sempre connessi: molti di noi sanno cosa significhi essere sempre online, soli in casa ma mai lasciati in pace da messaggi, email, videochiamate. Al riguardo Žižek spiega che il suo ideale di solitudine è quello che si prova in mezzo alla folla di una grande città: la solitudine durante la pandemia non l’ha percepita perché c’era sempre qualcuno che voleva mettersi in contatto con lui.

Il momento più bello della sua vita? Quello in cui, a causa di un problema con i voli da Istanbul a Mosca, è stato solo in un hotel per qualche giorno, fingendo di essere partito ed evitando tutte le persone che volevano andarlo a trovare. Proprio a questo riguardo confessa che, nonostante il consenso del pubblico, che ha accolto le sue parole con flussi di applausi e risate, non manca di risentire “della pressione di questi momenti, mi sento in dovere di stare simpatico. La parte migliore è quando alla fine degli eventi posso tirare un sospiro di sollievo“.

Eppure, non appena la conferenza termina, con il microfono sembra spegnersi anche il sorriso che l’ha accompagnato durante tutte le parole della giornata.

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