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Passeggiata letteraria a Trieste, tra statue, palazzi, natura e caffè

Vista del canale di Trieste

GettyEditorial 28-05-2021

Se dalla stazione centrale di Trieste si imbocca via Ghega e si svolta più avanti a destra su via Roma, per poi continuare diritto fino al Canal Grande, in meno di quindici minuti ci si ritrova davanti alla statua a grandezza naturale di James Joyce, creata da Nino Spagnoli e collocata sul ponte nel 2004, a cento anni dall’arrivo dello scrittore irlandese nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia.

La mia anima è a Trieste”, recita una citazione dell’autore collocata nella targa ai suoi piedi, e basta guardarsi intorno per rendersi conto che è ancora così. Dopotutto, Trieste è una città che non cancella: si sviluppa per aggiunte e per ferite non sempre rimarginate.

Bisogna immaginarsela fin dal 1907-1908, con Joyce che leggeva al fratello Stanislaus dei passi dal suo Ritratto dell’artista da giovane al Caffè Stella Polare (oggi in via Dante Alighieri 14, allora nota come via Sant’Antonio) e con Umberto Saba che nel 1909 ritornava da Salerno in compagnia della sua novella sposa, Carolina Wölfler.

Già da secoli cruciale a livello politico e commerciale per via della sua posizione, Trieste apparteneva allora all’impero austro-ungarico e non mancava di stare al passo con il mondo circostante, organizzando fra gli altri dei corsi d’inglese alla Berlitz School che nel 1907 permisero sempre a Joyce di conoscere Italo Svevo, scrittore e drammaturgo con cui strinse presto una grande amicizia.

E il rapporto dello scrittore con la città non è finito qui, dal momento che Joyce frequentava spesso anche la trattoria Il Trionfo di piazza Barbacan, dove è collocato l’Arco di Riccardo, oltre a essere un assiduo frequentatore dello stesso Teatro Verdi di cui fino a qualche anno fa è stato direttore il Maestro Ezio Bosso.

Al di là dell’amore per la letteratura, ad accomunare Svevo a Joyce fu peraltro la collaborazione con le pagine de Il Piccolo, principale quotidiano locale, mentre pochi anni dopo Gabriele D’Annunzio sarebbe partito sì dal rapporto che a sua volta sentiva con la città di frontiera, ma in questo caso per il suo famoso volo propagandistico del 22 agosto 1915.

Di tutti loro, oggi, tra le sue strette salite e i suoi caffè, tra le sue rive e i suoi quartieri bene, Trieste conserva ora una statua e ora una targa, ora un museo e ora una libreria antiquaria, ora un appartamento preso in affitto e ora lo stralcio di una poesia dedicata alla sua “scontrosa grazia”.

Protagonista solo in apparenza periferica della Storia del Novecento, infatti, la città lo è stata altrettanto degli slanci letterari che hanno caratterizzato il secolo scorso, e non c’è da stupirsi se quest’anno si è candidata per l’ennesima volta a Città Creativa UNESCO, con la consapevolezza di custodire un patrimonio inestimabile per il nostro Paese.

Alla fine della guerra, con il trattato di Rapallo del 1920, la vita di Trieste si riallacciò effettivamente al Regno d’Italia, fra alterne vicende che proseguono fino al 1954 e di cui restano tracce nel discorso di Mussolini del 1938 in piazza Unità d’Italia, nel lager della risiera di San Sabba e, poco lontano, nelle foibe della regione carsica.

Il “sublime e l’immondo” sembra che a Trieste vivano dunque mano nella mano, come si evince anche dai suoi numerosi e diversi luoghi di culto, e dalla storia controversa del Narodni dom, sede delle organizzazioni degli sloveni triestini. Incendiato dai fascisti nel 1920, venne poi ricostruito e, insieme al monumento agli esuli istriani, fiumani e dalmati di piazza Libertà, è diventato un simbolo dal duplice valore, dal momento che ormai da anni ospita la prestigiosa Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori.

E, se questo non dovesse bastare, sarà sufficiente che dalla stazione centrale, anziché dirigersi verso il centro città e girovagare tra il Salone degli Incanti e il Ghetto Ebraico, si imbocchi il viale Miramare per fare letteralmente un tuffo nella letteratura dell’Ottocento.

A meno di dieci km da piazza Libertà, infatti, si erge l’omonimo castello di Miramare, cinto da un lussureggiante parco e costruito tra il 1856 e il 1860 per Massimiliano d’Asburgo-Lorena e per sua moglie Carlotta del Belgio. All’edificio, oggi museo arricchito da una vasta biblioteca, nel 1878 Giosuè Carducci dedicò inoltre l’ode Miramar, ispirata proprio alla sorte del suo primo nobile inquilino.

E, spingendosi ancora più in là per poco più di 15 km, il territorio triestino ci spalanca di fronte il sentiero Rilke, una strada a strapiombo sul mare che unisce il paesino di Sistiana a quello di Duino, dov’è arroccato l’omonimo castello.

Il sito, che secoli prima aveva già ospitato Dante Alighieri, fu poi meta di soggiorno del poeta praghese all’inizio del XX secolo, che mentre era ospite dei principi Thurn und Taxis si lasciò catturare a tal punto dal suo paesaggio panoramico da iniziare in loco la composizione delle sue celebri Elegie duinesi, poi pubblicate nel 1923.

Se piace, una città così multietnica e stratificata è davvero “come un ragazzo aspro e vorace”, che in ogni anfratto conserva finora “un’aria strana, un’aria tormentosa”, accanto alla sua inconfondibile atmosfera raffinata e suggestiva.

D’altronde, Trieste è da sempre un crocevia di idee, un porto pronto all’ormeggio di qualunque nave. Niente di strano che sia stata anche la culla di molte storie e che sia rimasta la Musa ispiratrice di grandi scrittori (anche contemporanei) provenienti da ogni angolo del mondo.

“Tutti gli addii ho compiuto. Tante partenze
mi hanno formato fino dall’infanzia.
Ma torno ancora, ricomincio,
nel mio ritorno si libera lo sguardo.

Mi resta solo da colmarlo,
e quella gioia impenitente
d’avere amato cose somiglianti
a quelle assenze che ci fanno agire”.

(Rainer Maria Rilke, traduzione di Roberto Carifi per Crocetti Editore)

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